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usata nell' Apocalisse, e che si rinviene nel Cantico al Sole di S. Francesco e nella Epistola ai Fiorentini (Ep., VI, 2) pur, come credesi, di Dante, che si oppone all' interpretazione degli antichi. Infatti essa significa ben altro che l'annichilamento dello spirito.

Abuserò della pazienza de' lettori col riferire tutti i passi a me noti, ne' quali questa seconda morte è ricordata: passi che già trovai citati in parte nell' egregio commento dello Scartazzini, nel commento del Tommasèo, nell'ottimo Dizionario dantesco del Poletto e in un articolo del prof. Vincenzo Pasquini (1).

Nell' Apocalisse è detto (2): 1.° « Sii fedele infino alla morte ed io ti darò la corona della vita.... chi vince non sarà punto offeso dalla morte seconda» (Cap. II, vv. 10 e 11); 2.° « Beato e santo è colui che ha parte nella prima risurrezione: sopra costoro non ha podestà la morte seconda >> (cap. XX, v. 6); 3.o « E la Morte e l'Inferno furono gittati nello stagno del fuoco. Questa è la seconda morte » (cap. XX, v. 14); 4.° « Ma quanto è a' timidi ed agl'increduli ed a' peccatori ed agli abominevoli ed a' micidiali ed a' fornicatori ed a' maliziosi ed agl'idolatri ed a tutti i mendaci, la parte loro sarà nello stagno ardenté di fuoco e di zolfo, che è la seconda morte » (cap. XXI, v. 8).

S. Agostino (De Civ. Dei, XII, 2) dice: « Mors est cum anima a Deo deserta, deserit corpus. Ita enim nec ex Deo vivit ipsa, nec corpus ex ipsa. Huiusmodi autem totius hominis mortem illa sequitur, quam secundam mortem divinorum eloquiorum appellat auctoritas ».

S. Paolino (citato dal Tommasèo) in un punto chiama morte seconda la vita penale (Epist. XXVI), e in un altro, dopo aver detto che la morte prima è la dissoluzione della natura animale, dice che la seconda è il patimento del dolore eterno (Ep., II).

S. Francesco nel cantico al Sole esclama: « Beati quelli ke se trovarà ne le tue santissime voluntati ka la morte secunda nol farrà male ».

Le parole dell' Epistola ai Fiorentini sono le seguenti: «Vos autem divina iura et humana transgredientes, quos dira cupiditatis ingluvies paratos in omne nefas illexit, nonne terror secundae mortis exagitat?»>

Per seconda morte dunque e nell' Apocalisse e in S. Agostino

(1) In Alighieri, anno I, p. 113.

(2) Cito dalla traduzione del Diodati, perchè non ho altro testo fra mano.

e in S. Paolino e nel Cantico del Sole e nell' Epistola ai Fiorentini s'intende non un desiderio dei dannati, ma una punizione; e precisamente il patimento dell' eterno dolore, come vuole il Tommasèo, la dannazione stessa, come vuole il Poletto. Non altrimenti intende lo stesso S. Agostino in altri passi delle sue opere e S. Ambrogio nel commento all' Apocalisse. Inoltre il Boccaccio, allorchè fa il catalogo de' poeti, nell' Amorosa Visione, ha la seguente terzina, nella quale se la dannazione non è chiamata morte seconda, è chiamata però gran morte, che è espressione equivalente:

Costui è Dante Alighier fiorentino,

il qual con eccellente stil vi scrisse

il Sommo Ben, le Pene e la Gran Morte.

A proposito del Boccaccio, anzi, è anche da notare che nel Commento al verso 117 del c. I, egli, tra le altre opinioni, non esclude quest'ultima, che dice dei teologi (1).

A questo modo d' intendere la morte seconda si aggiunga ora quanto ho detto a proposito dei due passi del Purgatorio XXIII, 121-123 e XXX, 136-139, riferiti sul principio di questo scritto, e si dica se non sia il caso di dichiararsi a dirittura favorevoli alla terza opinione, che è quella del Tommasèo e del Poletto.

Ma il gridare, si osserva, non ha mai in Dante il senso di piangere. E vero: esso però è stato anche osservato che non ha nella divina Commedia il senso d'invocare, o lo avrebbe soltanto al verso 117 del canto I dell' Inferno, che stiamo esaminando (2). Non si comprende quindi perchè tanta guerra si sia voluta fare a questo povero verbo nel senso proposto dal Tommasèo, per accettarlo poi nel senso d' invocare, dando al verso in questione significati abbastanza strani.

E dico così, perchè, per esempio, l'egregio prof. Della Giovanna, nel presentare l'interpretazione sua, non si nascose che non poteva con essa interamente persuadere chi si fosse interessato. della questione. Egli poi fu costretto alla nuova interpretazione,

(1) Il Comento di Govanni Boccacci sopra la Commedia con le annotazioni di M. Salvini per cura di Gaetano Milanesi. Firenze 1863, vol. I, pag. 147.

(2) Si confrontino: Blanc, Vocabolario dantesco, Scartazzini, La div. Comm., Inferno, Lipsia, 1874, p. 9 e Macrì-Leone, art. cit. Si potrebbero peraltro obiettare i vv. 50-51 del c. XIII del Purgatorio, ove gl' invidiosi cantano le litanie dei santi. A me pare che tra' due casi sia una differenza palese.

con le

non perchè la credesse migliore delle altre, ma perchè gli parve che con le altre si andasse incontro a serie difficoltà grammaticali. Seguiamolo, se non dispiace, ne' suoi ragionamenti. Dante tre terzine del primo canto, vv. 115-123, vuole alludere all' Inferno, al Purgatorio e al Paradiso; ma << di grazia, dice egli, chi sono gli antichi spiriti dolenti e qual è la seconda morte?» Tutti i commentatori, antichi e moderni, su per giù, si risponde, hanno inteso per morte seconda la distruzione dell' anima, interpretazione, che correrebbe benissimo, se non s'incespicasse nell'epiteto di antichi. Per questo epiteto è impossibile ammettere l' opinione del padre Bonaventura Lombardi, il quale dice che Virgilio chiama antichi tutti coloro che sono stati al mondo prima di Dante, ed è strano accettare il significato di grande, celebre, eccellente, che qualcuno, sfogliando i classici, ha trovato alla voce antiquus in latino e antico in italiano, perchè non si capirebbe per quale ragione solo i grandi debbano gridare la seconda morte, e perchè gridare non ha il significato di piangere. Strana è anche la proposta di Gregorio di Siena, che, nella proposizione la seconda morte ciascun grida, dà valore di soggetto a seconda morte e di complemento oggetto a ciascuno, così che interpreta: «< la seconda morte grida, cioè palesa, ogni dannato ». È meglio accettare il vocaboto antichi nel senso che ha generalmente nella Commedia, e supporre che Virgilio con le parole ove udirai le disperate strida alluda a tutti i dannati nell' Inferno e co' due versi successivi accenni soltanto ai suoi compagni di pena, cioè agli antichi spiriti del Limbo, genti di molto valore, che desidererebbero rinascere e morire una seconda volta, dopo essersi fatti cristiani.

La distinzione in due schiere, per dir così, di tutti i dannati, fatta dal Della Giovanna, è felicissima, ed io son convinto che nessuno oramai farà più confusione tra il primo e il secondo verso della terzina 115-117. Ma è necessario proprio, concordare il terzo verso col secondo soltanto? Perchè considerare il che come pronome e non come congiunzione? Vediamo qual senso ne verrebbe in quest'ultimo caso: «Io ti trarrò di qui per loco eterno, ove udirai le disperate strida degli altri dannati, vedrai gli spiriti antichi, cioè i miei compagni (è Virgilio che parla), che sono anch'essi dolenti, poichè tutti gridano la seconda morte ». Questo senso a me sembra molto più chiaro di quello che propone il Della Giovanna. Di più anche altre due osservazioni si potrebbero fare all'opinione manifestata da lui, e sono che, preso anche nel senso d'invocare, il verbo gridare per i soli spiriti antichi, per quelle genti cioè, che parlan rado e con voci soavi (Inf., IV, 114) diventerebbe

troppo forte; e che in ogni modo non una seconda morte desidererebbero gli spiriti antichi, ma la seconda morte: il che è quanto dire una morte che già sanno quale sia, una morte che c'è o che deve esserci.

Il Macrì-Leone notò già al Della Giovanna, il quale, per dimostrare che il verbo gridare significa invocare, aveva anche citato il verso

E ciascun santo ne grida merzede

(Vita Nuova, Canz. I);

notò, dico, che in questo caso il verbo gridare significa invocare per ragione del suo complemento, ma non per sè (1). Ora a me piace di fare osservare che, qualora si voglia intendere per seconda morte l'eterna dannazione, anche il verbo gridare presenta un significato semplice ed ammissibile, al quale non pensarono nè il Tommasèo, nè il Poletto. Ho visto citati da altri a questo proposito i passi della Commedia, ne' quali gridare sta per palesare o pubblicare. Essi sono, salvo errore, tre: cioè Purg., VIII, 125; Parad., XXVI, 44 e XXIX, 105. Francamente, non mi soddisfano molto per l'interpretazione del verso 117 dell' Inferno nel senso voluto. L'unico forse, che più meriterebbe d'essere citato dei tre, è quello del Purgatorio, dove il poeta dice, parlando dei Malaspina :

La fama che la vostra casa onora

grida i signori e grida la contrada.

In questo passo il verbo gridare assume chiaramente il significato di manifestare ad alta voce, che ben si converrebbe al patimento del dolore; ma anzitutto è in esso idea di gloria e non di dolore, e poi il soggetto, che consiste nella Fama personificata, ci fa subito accorgere che siamo innanzi ad una di quelle espressioni singolari, che non hanno più senso quando siano usate altrimenti.

Ho detto che gridare, nel senso di manifestare ad alta voce, ben si converrebbe all' interpretazione della seconda morte per il patimento dell' eterno dolore. Ho forse esagerato. Gli spiriti magni infatti non gridano ad alta voce, nè ad alta voce manifestano il

(1) Tuttavia si può rispondere al signor Macrì-Leone che anche la frase gridare la morte può significare invocare la morte. Si cfr. infatti: Nicola Zingarelli, Gli sciagurati ed i mal vagi nell'Inferno dantesco, in questo Giornale, quad. VI, p. 257.

loro

eterno dolore Farinata, Capaneo e Bruto. Se non che giustamente si osservò che come il Petrarca scrisse nella canzone Perchè la vita è breve

Ma spero che sia intesa

là dove io bramo e là dove esser deve
la doglia mia, la qual tacendo i' grido;

così Dante potè dare allo stesso vocabolo un significato del tutto ideale. E che sia così possiamo rilevarlo da altri due passi consimili della Commedia, ne' quali l'espressione usata dal poeta è tutta nel concetto e non nella manifestazione. Il primo è a proposito degli avari e de' prodighi:

Tutti quanti fur guerci

sì della mente in la vita primaia, che con misura nullo spendio ferci. Assai la voce lor chiaro l'abbaia, quando vengono, ecc.

(Inf., VII, 40-44);

il secondo è nell' enumerazione delle imprese dell'Aquila romana, là dove si accenna ad Augusto:

Di quel che fe' col baiulo seguente

Bruto con Cassio nell' inferno latra (Par., VI, 73-74).

Tutti sanno che Bruto nell'inferno non latra, ma «si storce e non fa motto »>> (XXXIV, 66); e che gli avari e i prodighi non abbaiano, ma danno tutt' al più con le loro grida l'idea dell'abbaiare. Questi verbi poi, a parte la restrizione, che ne abbiamo fatta circa l'uso, non possono significare altro, alla lettera, che manifestare con abbaio e manifestare con latrati. Gridare dunque perchè potrebbe significare manifestare con grida? Che se è vero che alcuni degli spiriti non gridano, la maggior parte peraltro grida, e

non

sul serio.

M'accorgo d'essermi un po' troppo trattenuto su questa seconda morte; eppure in favore dell' opinione, che accetto, ci sarebbe ancora molto da dire! Mi contenterò soltanto di rammentare ai lettori che essa è anche conforme a quanto i! poeta accenna singolarmente per ogni ordine di dannati, e particolarmente a quanto, fra i violenti contro natura, si fa dire da Brunetto Latini:

Però va oltre; io ti verrò à panni;

e poi rigiungnerò la mia masnada,

che va piangendo i suoi eterni danni (Inf., XV, 40-41).

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