Slike stranica
PDF
ePub

non perchè la credesse migliore delle altre, ma perchè gli parve che con le altre si andasse incontro a serie difficoltà grammaticali. Seguiamolo, se non dispiace, ne' suoi ragionamenti. Dante con le tre terzine del primo canto, vv. 115-123, vuole alludere all' In ferno, al Purgatorio e al Paradiso; ma «< di grazia, dice egli, chi sono gli antichi spiriti dolenti e qual è la seconda morte? » Tutti i commentatori, antichi e moderni, su per giù, si risponde, hanno inteso per morte seconda la distruzione dell'anima, interpretazione, che correrebbe benissimo, se non s'incespicasse nell'epiteto di antichi. Per questo epiteto è impossibile ammettere l' opinione del padre Bonaventura Lombardi, il quale dice che Virgilio chiama antichi tutti coloro che sono stati al mondo prima di Dante, ed è strano accettare il significato di grande, celebre, eccellente, che qualcuno, sfogliando i classici, ha trovato alla voce antiquus in latino e antico in italiano, perchè non si capirebbe per quale ragione solo i grandi debbano gridare la seconda morte, e perchè gridare non ha il significato di piangere. Strana è anche la proposta di Gregorio di Siena, che, nella proposizione la seconda morte ciascun grida, dà valore di soggetto a seconda morte e di complemento oggetto a ciascuno, così che interpreta: «< la seconda morte grida, cioè palesa, ogni dannato ». È meglio accettare il vocabolo antichi nel senso che ha generalmente nella Commedia, e supporre che Virgilio con le parole ove udirai le disperate strida alluda a tutti i dannati nell' Inferno e co' due versi successivi accenni soltanto ai suoi compagni di pena, cioè agli antichi spiriti del Limbo, genti di molto valore, che desidererebbero rinascere e morire una seconda volta, dopo essersi fatti cristiani.

[ocr errors]

La distinzione in due schiere, per dir così, di tutti i dannati, fatta dal Della Giovanna, è felicissima, ed io son convinto che nessuno oramai farà più confusione tra il primo e il secondo verso della terzina 115-117. Ma è necessario proprio, concordare il terzo verso col secondo soltanto? Perchè considerare il che come pronome e non come congiunzione? Vediamo qual senso ne verrebbe in quest'ultimo caso: «Io ti trarrò di qui per loco eterno, ove udirai le disperate strida degli altri dannati, vedrai gli spiriti antichi, cioè i miei compagni (è Virgilio che parla), che sono anch'essi dolenti, poichè tutti gridano la seconda morte ». Questo senso a me sembra molto più chiaro di quello che propone il Della Gioyanna. Di più anche altre due osservazioni si potrebbero fare all'opinione manifestata da lui, e sono che, preso anche nel senso d'invocare, il verbo gridare per i soli spiriti antichi, per quelle genti cioè, che parlan rado e con voci soavi (Inf., IV, 114) diventerebbe

.

troppo forte; e che in ogni modo non una seconda morte desidererebbero gli spiriti antichi, ma la seconda morte: il che è quanto dire una morte che già sanno quale sia, una morte che c'è o che deve esserci.

Il Macrì-Leone notò già al Della Giovanna, il quale, per dimostrare che il verbo gridare significa invocare, aveva anche citato il verso

E ciascun santo ne grida merzede

(Vita Nuova, Canz. I);

notò, dico, che in questo caso il verbo gridare significa invocare per ragione del suo complemento, ma non per sè (1). Ora a me piace di fare osservare che, qualora si voglia intendere per seconda morte l'eterna dannazione, anche il verbo gridare presenta un significato semplice ed ammissibile, al quale non pensarono nè il Tommasèo, nè il Poletto. Ho visto citati da altri a questo proposito i passi della Commedia, ne' quali gridare sta per palesare o pubblicare. Essi sono, salvo errore, tre: cioè Purg., VIII, 125; Parad., XXVI, 44 e XXIX, 105. Francamente, non mi soddisfano molto per l'interpretazione del verso 117 dell'Inferno nel senso voluto. L'unico forse, che più meriterebbe d'essere citato dei tre, è quello del Purgatorio, dove il poeta dice, parlando dei Malaspina :

La fama che la vostra casa onora

grida i signori e grida la contrada.

In questo passo il verbo gridare assume chiaramente il significato di manifestare ad alta voce, che ben si converrebbe al patimento del dolore; ma anzitutto è in esso idea di gloria e non di dolore, e poi il soggetto, che consiste nella Fama personificata, ci fa subito accorgere che siamo innanzi ad una di quelle espressioni singolari, che non hanno più senso quando siano usate altrimenti.

Ho detto che gridare, nel senso di manifestare ad alta voce, ben si converrebbe all' interpretazione della seconda morte per il patimento dell' eterno dolore. Ho forse esagerato. Gli spiriti magni infatti non gridano ad alta voce, nè ad alta voce manifestano il

(1) Tuttavia si può rispondere al signor Macri-Leone che anche la frase gridare la morte può significare invocare la morte. Si cfr. infatti: Nicola Zingarelli, Gli sciagurati ed i mal vagi nell'Inferno dantesco, in questo Giornale, quad. VI, p. 257.

[merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][ocr errors][merged small][merged small]

loro eterno dolore Farinata, Capaneo e Bruto. Se non che giustamente si osservò che come il Petrarca scrisse nella canzone Perchè la vita è breve

Ma spero che sia intesa

là dove io bramo e là dove esser deve
la doglia mia, la qual tacendo i' grido;

così Dante potè dare allo stesso vocabolo un significato del tutto ideale. E che sia così possiamo rilevarlo da altri due passi consimili della Commedia, ne' quali l'espressione usata dal poeta è tutta nel concetto e non nella manifestazione. Il primo è a proposito degli avari e de' prodighi:

[blocks in formation]

il secondo è nell' enumerazione delle imprese dell'Aquila romana, là dove si accenna ad Augusto:

[blocks in formation]

Tutti sanno che Bruto nell'inferno non latra, ma << si storce e non fa motto » (XXXIV, 66); e che gli avari e i prodighi non abbaiano, ma danno tutt' al più con le loro grida l'idea dell' abbaiare. Questi verbi poi, a parte la restrizione, che ne abbiamo fatta circa l'uso, non possono significare altro, alla lettera, che manifestare con abbaio e manifestare con latrati. Gridare dunque perchè potrebbe significare manifestare con grida? Che se è vero che alcuni degli spiriti non gridano, la maggior parte peraltro grida, e

sul serio.

M'accorgo d'essermi un po' troppo trattenuto su questa seconda morte; eppure in favore dell' opinione, che accetto, ci sarebbe ancora molto da dire! Mi contenterò soltanto di rammentare ai lettori che essa è anche conforme a quanto i! poeta accennal singolarmente per ogni ordine di dannati, e particolarmente a quanto, fra i violenti contro natura, si fa dire da Brunetto Latini: Però va oltre; io ti verrò à panni;

e poi rigiungnerò la mia masnada,

che va piangendo i suoi eterni danni (Inf., XV, 40-41).

E dovrò pur fare un'osservazione, che non ho trovato in altri, che cioè delle cinque opinioni che ho esposte sopra, soltanto quella del Tommasèo e del Poletto e quella del Macrì-Leone ammettono che i dannati, gridando la morte seconda, non esprimano un desiderio; tutte le altre vogliono che i dannati invochino da Dio qualche cosa, che a torto o a ragione essi desiderano. Se così fosse, in tutta la prima cantica da nessuno spirito verrebbe mostrato un tale desiderio, mentre son pur tanti i desideri, che gli spiriti manifestano al poeta.

Ammessa la seconda morte per l'eterna dannazione, c'è chi ha creduto che la prima sia la vita nel peccato. Ed a questo proposito è stato citato Dante stesso, che nel Convivio dice: « Veramente morto il malvagio uomo dire si può »; e S. Tommaso, che nella Summa (22, 9) scrive: « Primi parentes senescendo incœperunt mori prima die, qua peccaverunt ». Ciò potrebbe essere. Ma, se ben si consideri, queste espressioni di Dante e di S. Tommaso sono piuttosto per estensione di significato che proprie. Invece nella Commedia, se non erro, Dante non ha mai usato un linguaggio simile, ma ha inteso sempre parlare delle due morti vere, la prima del corpo, la seconda dello spirito. La quale ultima dunque non è l'annichilamento, ma il dolore eterno. Anzi a me pare che si possa dir questo: che Dante immagina nel mondo di là una vita ed una morte, come una vita ed una morte sono nel mondo nostro. Ma per noi la vita è un passaggio su questa terra, è, cioè, un correre alla morte (Purg., XXXIII, 54), e la morte poi è un attimo, è, cioè, la sola dissoluzione della vita animale, come dice S. Paolino; per il mondo di là invece sì la vita che la morte sono eterne. La vita eterna è dei beati e la morte eterna è dei dannati. Ora la morte eterna, essendo uno stato che continua, diventa necessariamente perfetto sinonimo di vita infernale.

Delle due vite nella Commedia sono frequenti accenni. A Nino Visconti, che domanda al poeta:

egli risponde:

[ocr errors][merged small]

a piè del monte per le lontan acque? (Purg., VIII, 56-57),

... Per entro i lochi tristi

venni stamane, e sono in prima vita,

ancor che l'altra sì andando si acquisti (ivi, 58-60).

Adriano V (Purg., XIX, 109-111), dopo aver manifestata la sua ambizione di salire in alto, nel nostro mondo, esclama:

Vidi che lì non si quetava il core,

nè più salir poteasi in quella vita,

perchè di questa in me s'accese amore.

Innanzi agli avari ed ai prodighi abbiam visto che Virgilio dice a Dante :

[ocr errors][merged small]

E questa vita primaia, o vita terrena, mentre nell' Inferno è chiamata lieta (XIX, 102), bella (XV, 5), serena (VI, 51; XV, 49); nel Purgatorio, invece, è detta un correre verso la morte; rispetto alla vita migliore, che è quella del purgatorio stesso (Purg., XXIII, 77), e alla vita dolce (Parad., XXV, 93) e intera (Parad., VII, 104), che è quella del paradiso soltanto.

Le due morti dunque, secondo me, sono in perfetta antitesi con queste due vite.

Ciò posto, non sorge più alcun dubbio che si possa attribuire il medesimo valore di morte seconda alla morte che non sperano gl'ignavi nel canto terzo dell' Inferno. È vero che il prof. Nicola Zingarelli in un suo recente articolo, pubblicato nel quaderno VI di questo periodico (1) vuole che nel canto III dell'Inferno tanto la terzina vv. 40-42 (2) quanto l'altra vv. 46-48 si leggano in modo da intendere che Dante si riferisca a ciò che gl' ignavi fanno nel mondo e non a ciò che fanno nell'inferno; a questa conclusione io credo ch' egli sia venuto per avere accettata un pò troppo sicuramente l' interpretazione data alla seconda morte da coloro che la dicono l'annullamento dell'anima. Il prof. Zingarelli stesso non potrà non accorgersi che molta oscurità sarebbe in questo luogo del divino poema, se si dovesse pro

ma

(1) Vedi la nota a pag. 8.

(2) Egli legge questa terzina così, come leggesi anche in un buon numero di codici :

Càccianli i ciel per non esser men belli,

nè lo profondo inferno li riceve,

chè alcuna gloria i rei avrebber d'elli.

Altrimenti, dice, se in luogo di càccianli si legga cacciàrli, non potremo renderci ragione del presente riceve, che vien dopo. Vedremo che non è così.

« PrethodnaNastavi »