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I NUMERI NEL DIVINO POEMA

Come ho detto altrove, la scienza dantesca si ritrova all'epoca presente in uno stato d'incertezza, che non può durare per sempre. Da una parte stanno quelli che vorrebbero mantenere gli antichi dubbi e l'antica ignoranza d'ogni cosa; dall' altra, i maledetti e viziosissimi riformatori, che mettono innanzi fatti scientifici, e considerano come inutili quelle autorità che non poggiano sull' esattezza delle dimostrazioni.

L'unico modo di vincere è, in casi di quel genere, quello che tennero gli Euclidi, i Galilei, i Lavoisier e insomma tutti quelli che surrogarono i pregiudizi dei secoli colla verità matematica; è di non dir niente che non sia chiarissimo e certissimo; è di prender per base della scienza nuova l'esame di quei principî che possono ridursi a osservare che due e due fan quattro e che due e quattro fan sei.

Dante si dilettava assai di far combinazioni di numeri. Di questo è esempio quel che si legge nella Vita Nuova sul mese tisri che il Lubin, fidandosi di certa traduzione d'Alfergano, giudicò a proposito di chiamar tixryn; cosa impossibile, poichè è noto a tutti come la lettera X non esista in arabo, e nè anche in ebreo. Il tisri è mese del calendario siriaco, ideato dai rabbini del quarto secolo. Quel calendario è in usanza ai nostri giorni, in tutte le sinagoghe, e non so come il Lubin può dire che sia identico al giuliano, il quale è calendario solare, mentre il siriaco è lunare e ammette anni embolismici, nei quali il tisri non risponde alle fantasticherìe dantesche, poichè allora il giugno diviene il decimo mese dell'anno, invece del nono.

Il sommo maestro non si limita a quelle considerazioni; introduce nella sua opera massima la poesia dei numeri, in modo strano e elegantissimo, e fa dipendere da quei principì l'equilibrio materiale delle parti e delle divisioni del viaggio settimanale ai tre regni dell' altra vita.

Il numero dei versi del Paradiso è uguale a 4758, il quale, ridotto ai suoi fattori primi, ci somministra l'equazione seguente:

47582 X 13 X 61.

Ora poniamo che vi siano altre divisioni del poema, che abbiano per fattore primo il 61, e vediamo quale sia la probabilità per ammettere che Dante abbia fatto quel riscontro per semplice combinazione, senza accorgersene in nessun modo, e senza intenzione determinata.

È ovvio che sarà uguale, per un solo riscontro di quel genere, a

per due, a

I

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I

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I

60

3600, per tre, a
216 000 per quattro, a
15 960 000 per cinque,
Il denominatore di quest'ultima frazione è vicinissimo al

Nel Paradiso i nove primi canti formano il racconto di tutto il viaggio ai tre pianeti inferiori. Nessuno può pretendere che qui non ci sia certa divisione determinata e evidente. Orbene, il numero dei versi di quei canti è uguale a 12813 X 7.X 61.

Il viaggio ai quattro pianeti superiori incomincia col canto decimo e finisce al verso 99 del canto XXII, Poi come turbo, ecc., giacchè in quella terzina si dipinge l'ultima visione del poeta in Saturno, e al verso seguente si dice:

La dolce donna dietro a lor mi pinse.

In quel verso dunque si tratta del rapimento al cielo stellato. Beatrice e Dante non sono più nell' ultimo pianeta: il viaggio di Saturno è finito. I versi dei canti X, XXI coi 99 del XXII, sono 18302 X3 X5 X61. Quindi segue che il rimanente del poema avrà anche un numero di versi divisibile per 61, come può verificare agevolmente il lettore; pure è osservazione di poco momento, a meno che il detto lettore sia puntiglioso e voglia assicurarsi di tutto per sè stesso, cosa che non mi dispiacerebbe in nessun modo.

Fin qui abbiamo due riscontri nel Paradiso.

Nel Purgatorio, i sette primi canti ci somministrano il quadro esatto di tutto il primo giorno del viaggio, fino all'ora in cui. i poeti si fermano nel prato fiorito, l'ultima ora del giorno, l'ora che volge il disìo, ecc. Il numero totale dei versi è uguale a 976 = 2 × 2 × 2 × 2 × 61.

Nell' Inferno Dante accenna egli medesimo a una prima e semplicissima divisione, nel proemio del canto VIII, mentre dice:

Io dico, seguitando, ch'assai prima.

Non credo che ci sia chi abbia l'impudenza di spiegare quel seguitando come il Boccaccio, che nella sua Vita di Dante favoleggia di cose perdute e poi ritrovate, e di Moroello Malaspina e di sette canti dell'Inferno scritti prima dell'esiglio, giacchè in quel caso l' Allighieri doveva esser profeta e accennare a quell' esiglio medesimo, prima dell'avvenimento. Il senso del seguitando è dei più evidenti: l'abisso infernale si divide. in due grandi regioni, la Malebolge e l'Inferno superiore; e l' Inferno su

periore si divide in due parti, che sono i cerchi inferiori, dalla palude Stige in giù, e i superiori, che il poeta descrive nei sette primi canti. Ora i dieci canti che seguono, fino al principio del viaggio di Malebolge hanno versi 1 3422 X 11 X 61.

È questo il quarto riscontro.

Volendo ricercare divisioni minori, si vedrà come nel Paradiso la visione della Luna incominci al canto II, v. 23:

E forse in tanto, in quanto un quadrel posa.

Il fine è al canto V, v. 90:

Che già nuove quistioni avea davante.

Il numero dei versi è il 488 61 X 8.

Similmente si vedrebbe che nella visione di Saturno i versi sono 24461 X 4.

Ma lascio quel sesto riscontro e altri ancora. Mi basta aver dimostrato che Dante aveva in mente quel fattore primo 61. Non credo che le mie prove siano bastevoli per convincer quelli che si dilettano di leggere e di ammirare gli antichi commenti. In ogni caso saranno sufficienti per chi crede che un buon padre di famiglia non debba far scommesse, nelle quali si abbia, per perdere ogni cosa, la probabilità d'un migliardo contro uno. Ciò premesso, osservo che nessuno diede mai un senso determinato a quella terzina che si legge in fine del Purgatorio :

Ma perchè piene son tutte le carte

ordite a questa cantica seconda,

non mi lascia più ir lo fren dell'arte.

Conoscendo le preoccupazioni di Dante intorno ai numeri, vedendo ch'egli metteva dapertutto quel fattore primo 61, esaminiamo se per quelle parole egli non intenda che il numero dei versi di quel poema era determinato, e determinato secondo le medesime leggi che esistono per altre divisioni della trilogia.

Qui si osserva in primo luogo un fatto sospettoso e strano, ed è che il Purgatorio ha 4755 versi e il Paradiso, 4758.

Credere che Dante volesse dare il medesimo numero di versi ai due poemi, è idea ragionevole; ma credere che volesse lasciar quella differenza d'una terzina sola, è cosa che non si spiega.

Per altra parte, se il Purgatorio avesse i 4758 versi, quel numero sarebbe divisibile per il fattore primo 61.

Giornale dantesco

5

Poi il 4755 è uguale a 3 X 5X 317, e quel fattore primo 317 è numero che non risponde a niente. È cosa molto improbabile che Dante, volendo rinchiudere tutte le divisioni del suo poema in numeri più o meno notevoli, abbia lasciato stare, fuori di quella regola, appunto quella divisione massima, che è la seconda canzone.

Tutto si spiegherebbe, ammettendo che per trascuranza del primo copista manchi una terzina del poema. E allora, noi vediamo che il numero totale dei versi delle tre cantiche diviene tutto pittagorico. Difatti, se il Purgatorio ha veramente 4758 versi, il numero totale dei versi del poema è 14236.

Ma il poema si compone di due parti, che sono un brevissimo proemio e la visione dei tre regni dell'altra vita. L'azione incomincia quando Dante s'incontra con Virgilio. Prima di quell' istante, non v'è altro che smarrimento, incertezza, dubbi, deliri: non si sa, non si vede quale sia la tendenza generale dell'opera, e se Virgilio non veniva, l'opera medesima non poteva esistere.

Il proemio finisce al verso 62, quando si dice:

Dinanzi agli occhi mi si fu offerto

chi per lungo silenzio parea fioco.

Quella prima parte ha appunto i 61 versi che rispondono al numero primo già tante volte adoperato per innalzare l'edifizio aritmetico del divino poema.

Chi toglie il 61 dal 1.4236 ha per risultamento il 14175, cioè un numero che si divide in quei piccoli fattori primi ai quali la filosofia pittagorica volle attribuire virtù grandissime e sensi misteriosi di somma importanza. Si ha l'equazione:

141753X 3X 3X3
X5 X 5
X 7.

Ora siamo innanzi a un problema nuovissimo, che è il seguente: Se nel Purgatorio manca veramente una terzina, quale è il luogo dove esiste quella lacuna?

Il presente studio dimostra assai come Dante volesse divider l' opera sua in parti che avessero un numero di versi determinato, e che dovessero, mediante quel sistema, rispondere alle idee pittagoriche.

Se dunque noi osserviamo che in qualche divisione naturale e evidente della seconda canzone vi sia un numero di versi al quale manchi appunto una terzina sola per innalzarlo a quella dignità allegorica, allora avremo per quella parte del poema la probabilità che qui si ricerca. E

esiste

questa per i sette ultimi canti, che sono la storia della visione del Paradiso terrestre, e hanno precisamente 897 versi. Si aggiunga la terzina che manca e avremo il numero notevolissimo del 900 invece dell'897, che non ha senso nessuno.

Qui si noterà ancora che il copista, lasciando stare una terzina, non poteva mettere insieme le rime necessarie, fuorchè in un caso solo, che è quello della dimenticanza dei tre versi al principio d'un canto. Ma in tutto quel poemetto del Paradiso terrestre, il fine di ciascun canto e il principio del seguente formano discorsi nei quali non si vede il mezzo di fare intercalazioni. L'unica eccezione è quella che si osserva per il canto XXVIII, dove noi intendiamo agevolmente che il poeta poteva metter qualche verso al principio, prima della frase Vago già di cercar, ecc., per dipinger lo stato della sua mente e la bellezza di quell'ambiente ch' egli vedeva intorno a sè, quando giunse nel bellissimo giardino.

In quel caso, la seconda rima della terzina che noi non abbiamo doveva esser tale da rispondere alle parole giorno e intorno. Esaminando un rimario di Dante, si vedrà come le uniche parole ch'egli suole metter con quelle due sono corno e adorno. Della prima non dirò niente; ma è ovvio che la seconda esprime precisamente l'idea che qui si vorrebbe ritrovare.

Non v'è dubbio che manchi una terzina in tutti i codici; ma che manchi qui, è cosa ch'io non posso dar per sicura; è probabile, forse probabilissima, ma sicurissima no.

Questo è uno degli esempi che possono esaminarsi per dimostrare che tutti i codici del poema derivano da una copia sola: altrimenti non si vede come potrebbero tutti esser concordi nello stesso errore. Ho fatto conoscere un altro sbaglio del medesimo genere nel mio studio dei Dottori del sole (1), osservando come nel canto XII del Paradiso al verso 137 si debba leggere Ambrosio invece d' Anselmo. Ma gli esempi di quella unanimità dei copisti in certi spropositi sono numerosi assai, con tutto che la critica dantesca non se ne sia accorta fin qui.

Mi

preme di fermarmi in tale conclusione, e perciò non voglio dire tutto quel che spetta allo studio dei numeri nelle opere dell' Alighieri. Pure è d'uopo rispondere a un'obbiezione che viene innanzi, in certo modo,

come resultamento dei nostri calcoli.

Si dirà che il numero 61 si sceglie fra i numeri primi per ragioni che nessuno intende e che Dante, in quella scelta, pare ubbidire a un capriccio sragionevole.

(1) nella Rivista l'Alighieri.

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