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avrebbe fatto affondare più che non soleva con altrui la sua barca, come poi fece quella di Flegiàs. L'ironia può esserci e non può. Se si ammette che Caronte prevede che Dante passerà all'altra riva per virtù divina, allora il per altre vie, ecc. si riferisce a questo diverso mezzo di tragitto, e siccome predice una cosa vera, non c'è nessuna ironia nelle sue parole, salvo forse una punta nell'ultimo verso per quell' aggettivo lieve: se non si ammette che Caronte abbia preveduto il passaggio miracoloso di Dante, supposto che questo passaggio avvenendo per protezione celeste, non si rivela con precedenza agli spiriti d'abisso, l'ironia c'è. Infatti quelle parole varrebbero: « Che! tu vuoi passar dunque davvero? Passerai, se ti piace, per altre vie e per altre navi, ma non sarà mai che tu lo faccia per questa mia barca: io non ti ci voglio. Affinchè tu pervenga di là bisogna che ti tragitti un legno più leggero di questo mio ». Ma, ride qui e dice fra sè il vecchio demonio: «< Sta a vedere come tu passerai non essendoci in Acheronte altro navalestro che io nè altra barca che la mia!» L'ironia starebbe dunque in questo sottinteso e maligno pensiero di Caronte; e in questo secondo caso sarebbe pure senza dubbio in quell' aggettivo lieve, il quale pigliato per quel che vale fa capire che è detto per burla, perchè una nave da ombre, qual' era la sua, sarebbe stata talmente leggiera che non si sarebbe potuto desiderare di più per un vivo; se pigliato per il suo contrario, cioè massiccia, pesante, allora è per sè stesso canzonatorio, dappoichè vuol denotare l'opposto di quello che propriamente significa; e l'antifrasi è sempre un'ironia. Quale di queste due interpretazioni può esser la vera?

La quistione, al pari di ogni altra dantesca, come si vede, è complessa, perchè si collega al passaggio d'Acheronte avvenuto in un certo modo che il poeta non dice, ma che da tutti vien predicato per miracoloso, e che, se non ha dato, darà molta carta da sciupare agli studiosi del poema: per la qualcosa, avanti d'indagare se Caronte abbia potuto oppur no prevederlo, vediamo se è probabile che in esso ci sia stato un intervento divino. Io affermo che no.

Il prof. Puccianti, scrivendo nel Fanfulla della domenica del <«< greve tuono », rilevò come dal commento dell' Ottimo si possa dedurre essere stata opinione di questo chiosatore che Dante sia stato trasportato di là nella barca di Caronte, e perciò senza aiuto d'angelo alcuno; ed annunziò che il sig. G. Donati sosteneva con buone ragioni una consimile spiegazione. Anch' io sono d'un tal parere, ma non conosco per quali ragioni il Donati credesse così;

anzi non so neppure se egli si sia mai deciso a mettere in carta codeste sue ragioni: tutto ciò che dirò son dunque le mie vedute personali; e siccome nel presente scritto l'argomento è complementare, mi restringerò ad esporre succintamente quello che mi induce a credere come l'Ottimo, il Donati e, si può aggiungere, il Rambaldi.

Argomento principalissimo e sufficiente, secondo me, sarebbe questo: Se il passaggio d' Acheronte fosse stato fatto per intervento divino, Dante avrebbe dovuto farne almeno un cenno o prima o dopo: il suo silenzio assoluto, salvo che non ci si creda autorizzati a fargli dire più di quello ch'ei dice o lascia intendere, mi pare che dovrebbe in primo luogo interpretarsi per mancanza assoluta di qualunque fatto nuovo avvenuto durante il suo stordimento. Bisogna escludere, s'intende, dai fatti nuovi il passaggio nel modo previsto, cioè per mezzo della barca carontiana. E che ciò può esser vero conforta a crederlo l'avere il poeta narrato minutamente il come avvenne la sua traslazione quando nel purgatorio fu preso dal sonno ed allo svegliarsi si trovò in altro sito da quello in cui si era addormentato, e, in generale, il non aver mai lasciato nel dubbio o nell'oscurità il più piccolo atto riferentesi al suo progredire per i regni regni degli spiriti; perchè la verisimiglianza della visione fondandosi principalmente sulla possibilità di superare gli enormi ostacoli che presentava il cammino, se di tutti questi ostacoli non avesse specificato o accennato i modi come furono superati, avrebbe infirmato la base della sua concezione artistica, e nella mente del lettore, coll' accumularsi delle incertezze, sarebbe andata svanendo l'illusione del vero. Perciò qui, se non dice affatto nulla, io sostengo che si debba credere che nulla ci fu di nuovo. Dante, fuor dei sensi, com'è facilmente supponibile, fu messo nella barca; giunto all'altra sponda e posato a terra fu desto da un tuono. Il quale tuono è un altro di quei fenomeni naturali che avevano preceduto, anzi provocarono, il suo cadere per terra, quali il tremore del suolo, il balenio vermiglio, il vento: proprio un terremoto accompagnato da una procella nella quale, oltre a dei lampi, nulla di strano che vi siano stati anche dei tuoni.

Quello che indubitatamente ha imbrogliato il raziocinio dei commentatori è stato il fatto che Dante svenuto non poteva entrare da sè nella barca, nè uscirne giunto di là; e perciò, lavorando di induzione, ne hanno tirato la conseguenza che, come nel purgatorio lo porta Lucia, qui debba portarlo un angelo, senza badare ai diversi significati del fatto, ma riguardando materialmente all'azione. Ma e Virgilio e Caronte, domando, non possono levarlo di peso? É inutile obbiettare che quelli essendo ombre non avreb

bero avuto forza da sollevare un vivo, perchè basta rammentare quello che il primo fa nel canto XXIV uscendo dagl'ipocriti, senza tener di conto che Caronte, come demonio, è dotato di potenza soprannaturale e quindi capace di ben altro che questo.

Potrei fermarmi qui e ritenere per il mio assunto abbastanza provata l'opinione dell' Ottimo, però il tragitto angelico è talmente. entrato nella persuasione comune, e si è oramai tanto avvezzi a spiegar sì bene mediante esso il silenzio del poeta, che nessuno vi rinunzierà facilmente; ed io mi attendo di vederlo difeso con tutti gli arzigogoli immaginabili: non dispiaccia quindi che alleghi pure altre ragioni che confermino la nuova interpretazione.

Prima ragione sarebbe la risposta che dà Virgilio al lanoso barcaiuolo, a replica delle sue ultime parole.

Caron, non ti crucciare:

vuolsi così colà dove si puote

ciò che si vuole, e più non dimandare.

Il così ribatte precisamente le difficoltà e il cruccio di quello. Egli non vuol tragittar Dante; ebbene, Virgilio lo ammonisce che in cielo vogliono così, cioè che lo tragitti, ossia che tragitti un'anima viva. Caronte allora si acqueta: è convenuto dunque che lo passerà, ed infatti i poeti non si muovono dal punto ove stanno. La stessa risposta dà a Pluto nel canto VII; e come là Pluto a quelle parole s'abbioscia e non impedisce che scendano la balza che cinge il quarto cerchio, qui si deve ritenere che Caronte tacendo s'è dato per vinto nè farà più opposizione a riceverli nella barca. Non dimandare ha detto Virgilio al barcaiuolo, e Caronte non ha fiatato più. Taci ha gridato a Pluto, e Pluto s'è buttato per terra struggendosi in silenzio di rabbia. Or se Caronte non si rifiuta più di pigliarli nella barca, a che far venire un angelo per passare il vivo all' altra riva?

Seconda, sarebbe l'osservazione che fece Virgilio a Dante prima che questi cadesse privo di sensi :

Quinci non passa mai anima buona;

e però, se Caron di te si lagna,

ben puoi sapere omai che 'l suo dir suona:

la quale vuol dire : « Siccome di qui non passano che tristi, se or che Caronte è costretto a dar passaggio a te, che non sei tristo, si cruccia, tu comprendi bene perchè lo fa.

Terza ragione sarebbe l'ultima parte dell' invettiva stessa di Caronte, la quale doveva fermarsi a non qui se alludeva veramente al transito miracoloso, (ammesso che l'abbia previsto); perchè lá notizia che aggiunge dopo, cioè che occorreva un legno più lieve, è affatto aliena da questo modo di passaggio, accennando al bisogno di un mezzo di trasporto di cui l'angelo non avrebbe saputo che farsi.

Una quarta ragione si ricava dall'analogia di contegno fra Caron dimonio e gli stizzosi diavoli del canto nono. Perchè, come all'entrata di Dite, anche qui il rifiuto di lasciarlo proceder oltre doveva nettamente specificarsi, se davvero Caronte s'ostinava in esso; ed in questo caso una strapazzatina da parte del cielo non sarebbe stata fuor di luogo. Invece, nulla di tutto questo. Caronte borbotta dapprima un poco, ma poi s'acquieta inteso il verbo di Virgilio; però, secondo i commentatori, negal sempre di pigliar Dante nella barca. Ciò dà cagione a far incomodare un messo celeste, e tuttavia ei ne va impunito! Così dunque si oltraggia chi gira per i luoghi bui con salvacondotto divino? Alle porte di Dite non avvenne così.

Finalmente una quinta ed ultima ragione mi par che sia questa Destatosi, Dante non si meraviglia affatto del trovarsi di là: ha capito come la cosa sia andata, e poichè crede che il lettore l'abbia pur capita da quanto egli ha scritto nel canto precedente, non ricorre all' artifizio di chiederne a Virgilio e farsela narrare. Infatti dice senza alcuna sorpresa:

E l'occhio riposato intorno mossi,
dritto levato, e fiso riguardai,
per conoscer lo loco dov' io fossi.
Vero è, ch'in su la proda mi trovai
della valle d'abisso dolorosa, ecc.

Ciò che vorrebbe dire : « Alzatomi, mi diedi a guardare attorno e m'accorsi che non era più nel luogo di prima: allora riguardai fiso per vedere dove mi trovassi (pensando che durante il tramortimento mi avessero portato alla sponda di là); ed appunto mi trovai dall'altra parte, sull'orlo della valle infernale ». Ma quel pensiero che io ho chiuso fra le parentesi non può ammettersi che cada in mente a Dante se non si ammette nello stesso tempo che non gli restava più alcun dubbio sui modi come effettuare il passaggio; e poichè ignorava la venuta dell' angelo, egli questo passaggio non può presumere che di averlo fatto per opera di Caronte,

e per conseguenza se, prima di tramortire, non erano appianate tutte le difficoltà dell' opposizione di costui, gliene doveva nascere una gran meraviglia, la quale invece ei non mostra punto. Ed io spiego, come ognun vede, il « vero è» in forma dichiarativa, quando, secondo la giusta spiegazione del prof. Puccianti, se si ammette il passaggio dell' angelo, deve intendersi in forma dubitativa: «Io non so come, il fatto sta che io mi trovai, ecc. ». Ma allora nasce rebbe spontanea la domanda: «Se per Dante è sorpresa trovarsi, senza saper come, di là, perchè non ne domanda a Virgilio, egli sempre si curioso di tutto? E Virgilio, così preveniente col suo discepolo, perchè non gliene fa motto?» Il Puccianti si meraviglia di questo silenzio e del silenzio pure dei chiosatori a questo riguardo, e ne ha ben donde; ma la spiegazione che egli dà del tacere dei poeti non mi pare soddisfacente: « Vuol lasciare, egli scrive (1), questo particolare del suo passaggio nel mistero, ciò che conferisce tanto al sublime, specie nella parte miracolosa, nella macchina del poema sacro ». Ma, o io m'inganno, o da questo silenzio si ricava oscurità e dubbiezza, le quali non credo siano doti precipue del sublime; mentre questo, secondo il mio parere, poteva essere accresciuto da qualche accenno il quale, pur rendendone certi del modo come il passaggio si effettuò, ci lasciava incerti riguardo alle circostanze particolari di esso; essendochè non il silenzio del mezzo di passaggio, ma il modo rapido, impreveduto, come questo si praticò, può darci un'alta idea della potenza del messo celestiale, e quindi un'impressione sublime. Dunque, poichè in nessun altro punto del viaggio si ha esempio di un silenzio simile, poichè è inammissibile che Dante, rifiutandosi Caronte, non abbia avuto curiosità di conoscere in qual modo si trovi all' altra sponda; poichè si deve ammettere che la medesima curiosità si desta nel lettore e che era suo dovere di narratore di soddisfarla, se ne deve indurre che il tragitto avvenne nel modo più semplice e previsto, cioè per la barca.

IV.

A qualcuna delle precedenti ragioni si può opporre quanto s'è accennato più su, che Caronte, e neppur Virgilio, non poteva prevedere quel che poi avvenne, cioè a dire, il tremore, il lampo e il

(1) Fanfulla della domenica anno 1887 n. 6 e segg. Su questo argomento non ho consultato altri scritti perchè non ne conosco di posteriori.

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