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è che questa parola, che dimostra la vetustà del costume e della canzone, si usa ancora in alcuni paesi, mentre in altri è abbandonata e sostituita dal fucile, col quale anche si costuma di rendere il canto più rumoroso e caratteristico.

Notisi che tre giorni, nè più nè meno, furono necessari onde formare un freddo perfetto, non stimandosi perfetto nemmeno il freddo senza quel tre: tanto erano gli antichi osservatori dell' omne trinum est perfectum.

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Però la spiegazione che io ho dato sulla favola della merla non accontenta tutti, e ne convengo. Quel passo col quale il mese di gennaio cerca il mezzo di allungare la propria durata onde aver agio di castigare convenientemente la merla, fa correre col pensiero ad una antichità molto più remota, al tempo cioè della correzione del calendario operata da Giulio Cesare. Il signor Alberto Moiana, dotto cronista del giornale Lo Spettatore, e poi dell'Osservatore cattolico, forse ignaro dei costumi lodigiani, dice che la favola ed altre novelle, alle quali verrò in seguito accennando, sono fantasie vernacole, niente attendibili, e non servono a spiegare la denominazione dei di della merla data a quei tre ultimi giorni di gennajo. Anche egli però si basa sopra tante ipotesi e congetture, che alla loro volta lasciano in forse, e non riescono ad appagare pienamente la curiosità del lettore.

Questo signore adunque, dopo aver tenuto in non cale per molto tempo la favola, al leggere Dante si ricrede, tanto più che ne vede il passo illustrato da dotti ed antichi commentatori, e conviene che la favola merita attenzione: dice che essa richiama ed attesta un fatto, cioè che in fine di gennaio i merli sieno fra gli uccelli, se non i soli, i primi o fra i primi, che si diano a divagare per l'aere, mentre in fatti nè allodole, nè tordi, nè quaglie si vedono di questi giorni. E da questo volare esso da solo viene appunto, secondo Varrone (1) il nome di merlo.

Merula, quod mera, idest sola, volitat.

« In fine, egli prosegue, la favola ci avverte che, per trovare il perchè del nome di merla dato ai tre ultimi giorni di gennaio, bisogna cominciare a ricordare appunto questo fatto che in tali giorni i merli sono forse i soli uccelli che volino intorno ».

Questo non è vero: a ben altri uccelli si tendono insidie nei cortili dai nostri fanciulli. Se del resto non vi fossero altri ammaestramenti da cavarsi dalle favole, sarebbe il caso che questo genere di componimento così antico venisse radiato dai trattati di letteratura e di pedagogia. Informerebbe molto meglio un libro qualunque di storia naturale.

Ma veniamo al meglio: «Ricordato questo fatto, prosegue il signor Moiana, bisogna poi ricordarne un altro, che cioè gli antichi pigliavano gli auguri, oltre che dalle viscere palpitanti degli animali, anche dal volo degli

(1) De lingua latina, lib. IV, II.

uccelli. Ora nulla di più probabile che quelli augelli dei quali in questi ultimi giorni di gennaio gli auguri ed i pontefici avevano da augurare, fossero, se non solamente, almeno principalmente, i merli. Imperocchè i merli sono, come il senso della favola più sopra riportata attesta, quegli uccelli che prima fra gli altri si spaziano per l'aere in fin di gennaio. Di qui gli ultimi giorni di gennaio potrebbero essere stati caratterizzati dal volo dei merli, e detti giorni dei merli dagli auguri e dal popolo, sempre tenero custode di quanto ha fondamento nel sentimento religioso.

« Ma perchè soltanto gli ultimi tre? Anche quì, se ricordiamo le antichità romane (1), troviamo un fatto che si combina cogli altri e agevola la spiegazione. Il mese di gennaio era ai tempi di Numa di soli 29 giorni, e fu aumentato di due giorni sotto la dittatura di Cesare. È naturale che i tre ultimi giorni di gennaio rimanessero per tale novità spiccatamente distinti nella memoria popolare, e che a motivo dello speciale augurare di quei giorni si dissero i tre di dei merli.

«Ma perchè della merla? a questa domanda può rispondare un buon ginnasista, il quale sappia che in latino il merlo dicesi merula, ed è di genere femminino. E così dies merulae e corrottamente poi giorni o, meglio, di della merla.

«< Rimane ora a spiegare perchè spesse volte in questi giorni il verno inincrudisca, dopo avere rallentato di vigore lungo il gennaio. Questa ragione cosmica proprio non ve la so dire; aspettiamola da qualche geologo e meteorologo. In attesa di questa ragione fisica il popolo però ne ha creato esso una morale nella favola già riferita, la quale, come tante altre della mitologia pagana, in cui l'allegoria e il mito celano il senso dando pensiero e parola alle bestie, alle stagioni, ai fenomeni, quì serve di mito e di allegoria non solo dello sciocco carattere che si attribuisce al merlo, onde è fatto anzi tipo, ma anche di quanto sia sciocchezza e presunzione, propria di un merlo, il beffarsi della natura e del suo Autore.

» Simili spiegazioni però io le dò come semplici ipotesi. A onor del vero, nè Ovidio nei suoi Fasti, nè i più accreditati scrittori di antichità romane, come, per esempio, Aldo Manuzio, il Goltrio, il Rosino, il Pontano, il Pitisco, non mi forniscono altri particolari dettagli per sostenere la mia ipotesi ».

Ai nostri tempi però molti proverbi che si riferiscono alle stagioni ed allo stato atmosferico non corrispondono più ai fatti da cui trassero origine. La ragione per cui questi proverbi hanno perduto il loro credito si deve trovare nella correzione del calendario giuliano operata da papa Gregorio XIII nel 1582 per la quale vennero soppressi dal calendario di quell'anno dieci giorni, anticipando perciò di altrettanto tempo tutti i giorni e i santi del lunario. Se però l'autorità e la scienza poterono rimediare al calendario, le stagioni, rette da altre leggi, proseguirono imperturbabilmente il loro corso e non badarono alla correzione gregoriana. Da ciò avvenne che i proverbi, già appicicati ai diversi giorni, mente prima del 1582 corrispondevano alla stagione corrente, dopo questo tempo non quadrarono più e hanno perduta la loro importanza. Ripigliamo il nostro cronista:

« Trovo che nell'anno 667 di Roma era sacerdote diale - Flamen dialis L. Cornelio Merula. Flamen dialis, come è noto, era il sacerdote di

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(1) V. il Rosini, Antiquit rom., p. 129.

Giove dialis significando Ad Jovem pertinens. Dialis però, come nota il Forcellini, non vuol dir sempre ad Jovem pertinens, ma può anche derivare da die, e in questo senso presso Macrobio (1) leggesi: Solent esse Flamines diales. Ora si sa che alla formazione e alla disciplina del calendario. presiedevano i sacerdoti, i flamini. Potrebbe essere che al tempo di Cesare fosse al possesso del flaminato diale, sia nel senso di sacerdote di Giove, sia nel senso di sacerdote diale, giornaliero, quella gente Cornelia, famiglia Merula; che i sacerdoti membri di questa famiglia avessero, dietro ordine di Cesare, provveduto essi alla regolarizzazione giuliana del calendario, aggiungendo, per le altre cose, quei due nuovi giorni del gennaio, e che di qui quegli ultimi tre giorni fossero detti dal popolo, in memoria della famiglia Merula, dies merulae, e corrottamente poi: di della merla (2).

Questo Lucio Cornelio Merula lo troviamo al di qua del Po: racconta Tito Livio (3): « Essendo ferma la guerra de' liguri intorno a Pisa, l'altro console Lucio Cornelio Merula, condusse l'esercito per gli ultimi confini della Liguria nelle terre dei Boi, ove si teneva molto diversa maniera di guerra che co' liguri. Il console usciva fuori in ordinanza, ed i nemici. fuggivano la giornata, ed i romani, non uscendo alcuno loro incontro, scorrevano predando pel paese. I Boi volevano piuttosto che le robbe ne fossero portate che per difenderle essere costretti di venire alle mani. Ma poi che ogni cosa era oramai guasta col ferro e col fuoco, il console si partì dal paese loro e andavasene alla volta di Mutina, senza temere, come per le terre delli amici... ».

Che la venuta di L. Cornelio Merula nel paese dei Boi sia stata la causa per la quale qui si diffuse la favola della merla ed il costume di cantarla, è impossibile asserire con qualche fondamento: bisogna che altre cause, ignote alla storia, vi abbiano contribuito. Stando però nel campo delle ipotesi la venuta di questo generale romano al di quà del Po avrebbe potuto fornire materia ad un proverbio di cui parlerò più avanti. Non dovrebbe però recar maraviglia se il costume fosse giunto fino a noi da tempi tanto antichi, perchè i costumi e gli usi popolari vivono di una vita lunghissima, perenne, al pari della vita delle parole. A me però sembra che la favola, e il costume di cantarla, tragga origine più da cause morali che da fatti storici, ai quali, generalmente parlando, i contadini non prendono se non una parte meramente passiva.

La favola della merla trae seco il noto proverbio: La merla ha passato il Po. Molti hanno procurato di illustrare questo proverbio con diversi racconti, ma nessuno ha mai potuto precisare la storiella con dati cronologici per lo meno attendibili; ed anche coloro che hanno tentato di derivare il proverbio da un fatto storico ben definito, non sono riesciti a nulla. Il proverbio, sebbene alquanto più sintetico, è molto antico. Nel Pa

(1) Saturn., 7 e 8.

(2) Osservatore cattolico, 1886, n. 25.

(3) Traduz. di Jacopo Nardi, Della ÏV decade. Lib. V.

Giornale dantesco

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taffio, contemporaneo, se non più antico di Dante, al cap. 3. troviamo il

verso:

E valicato egli ha la merla il Po.

Francesco Petrarca, in una canzone tutta proverbi, senza soggetto, di quelle che gli antichi chiamavano frottole, ha un verso che suona:

E già di là dal rio passato è il merlo (1)

Il Vocabolario degli Accademici della Crusca (2) commenta: Qui è proverbio che altrimenti si dice: La merla ha passato il Po. Dicesi, per lo più, di donna, che per età, le sia mancato il fiore di sua bellezza. Pietro Fanfani, alla parola merlo, ha il proverbio: La merla ha passato il Po, o, il merlo ha passato il rio: proverbio antico che si dice del mancare il fiore dell' esser suo in chicchessia, p. es.: della bellezza di una donna.

Ognuno vede però che il merlo o la merla non hanno alcuna relazione col fiume Po, o con un rio qualunque. Il mettere poi a confronto la bellezza di una donna o d' altro col fatto che il merlo ha oltrepassato un fiume è cosa molto difficile, giacchè queste due idee sono tanto disparate che ben difficilmente possono offrire un punto di oggettività o di attività, fisica o morale, che possa spiegare la ragione del proverbio. Bisogna quindi che questa parola merlo sia presa in significato diverso da quello che propriamente ed anche traslatamente esprime.

Nella Lombardia vige un proverbio che in italiano suona: Gennaio fa i ponti, e febbrajo li rompe: cioè: nel mese di gennaio, congelandosi le acque nei fossati, questi offrono un facile tragitto da una sponda all'altra, come se formassero un larghissimo ponte; questo nel mese successivo viene rotto e squagliato col sopravvenire di giorni più lunghi e tiepidi. L'agghiacciarsi poi delle acque correnti dei fiumi, in modo da offrire sicuro passaggio a persone ed a pesanti veicoli, fa supporre un freddo intensissimo e straordinario.

Venendo al senso allegorico noi diciamo che uno è nell'aprile della vita, nella primavera, quando è giovane, nell'età più bella delle speranze, essendo questa stagione simbolo della gioventù in generale. Al contrario l'inverno, il rigido inverno, rappresenta la vecchiaia, la decrepitezza.

Or ecco che cosa si viene da alcuni raccontando per ispiegare il nostro proverbio: «Sorridete.... e sentite quest' altra (3). Sempre in questi tre giorni di gennaio, il freddo erasi fatto intenso così che anche il massimo dei nostri fiumi, il superbo Eridano, come dicevano i nonni, il Po era gelato. Un certo capitano Merlo, per le sue mosse strategiche, approffittò dello strano caso per varcare il fiume, facendovi passar sopra le proprie truppe e i propri cannoni. L'ardita manovra si sarebbe appunto compiuta in questi tre giorni, che dal nome del fortunato stratega avrebbero poi presa la loro curiosa denominazione. Peccato che nessuna storia, nessuna cronaca

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rimanga a dare un po' di sapore di verità alla leggenda, ed anche il protagonista, questo signor capitano Merlo, sia qualche cosa meno di un Ĉarneade, un mito, nelle storie militari di tutti i tempi, anche di quelli dall'invenzione delle artiglierìe in poi.

» Pure una dizione antica così che se ne trovano traccie non solo nella memoria dei più vecchi, ma nelle primissime gazzette, nelle antiche strenne, negli almanacchi di cui ora appena resta memoria, non può essere nata senza motivo, senza occasione nella mente del popolo, ed essersi radicata in modo che ogni anno, faccia o non faccia più freddo del solito, al 29 di gennaio, sia di prammatica pei vecchi e per le massaie, di esclamare: Che freddo stamattina! Ma è giusto, son giunti i tre dì della merla!».

Se il Po, il primo fiume d'Italia, è stato congelato al punto di poter sopportare il peso di truppe e cannoni, bisogna convenire che il tempo fosse freddissimo. Il dire dunque la merla ha passato il Po, vale quanto asserire che è verno, cioè che si è vecchi e decrepiti; ed ognun sa che molte fattezze proprie della gioventù quali la fortezza, la sveltezza e la bellezza del corpo, vanno perdendosi man mano che ci avviciniamo alla vecchiaia. Il Salvini nella Pros. toscana, 1. 273, dice: A uno di noi di età avanzata sogliamo dire: La merla ha passato il Po; il che équivarrebbe al latino: Fuere quondam strenui Milesii.

Nella Raccolta der Modi di dire toscani ricercati nella loro origine (1), dopo riportato a pagina 110 quanto ne lasciò scritto il Tassoni, vi si vede aggiunto a pag. 329 che: «I milanesi sogliono ancor oggi chiamare gli ultimi tre giorni di gennaio i giorni della merla, in significazione di giorni freddissimi. L'origine del qual dettato dicono essere questo: dovendosi far passare oltre Po un cannone di prima portata, nomato la Merla, s' aspettò l'occasione di questi giorni, ne' quali essendo il fiume tutto gelato, potè quella macchina essere tratta sopra quello che sostenendola diede il comodo. di farla giungere all'altra riva. Altri altrimenti contano: esservi stato, cioè un tempo fa, una nobile signora di Caravaggo, nominata de Merli, la quale dovendo traghettare il Po per andare a marito, non lo potè fare se non in questi giorni, nei quali passò sopra il fiume gelato ».

Io però ho detto che in fondo alla canzone della merla si cantano altre storielle; da ciò si deriva che in ogni paese le canzoni d'aggiunta sono diverse e varie, riferentesi a fatti locali, per cui oggidì, credendo la stessa cosa l'appendice e la canzone prima della merla o colombina, si vuole dall'ultimo fatto inferire l'origine del proverbio della merla. Perciò avviene che quei di Gerra d'Adda derivino il proverbio dalla nobile signora di Cavaraggio, i mantovani invece raccontano un atto di coraggio del loro duca il quale avrebbe passato il fiume cavalcando una cavalla denominata la Merla.

Defendente Sacchi ci fa un racconto assai patetico. Un giovane di Montalino, nel vescovado di Pavia, sulla destra del Po, Merlo di cognome, ama una giovane sua parente, abitante a Port' Albera, sulla sinistra del Po. Le nozze si devono celebrare il 31 di gennaio: il Po è congelato: non potendosi traghettare in barca, il corteggio dello sposo passa a piedi: nel ritorno il suolo infido si sprofonda proprio sotto i piedi della povera sposa,

(1) Venezia, per Simone Occhi, 1761.

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