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Mi piace offrire agli studiosi di Dante una notizia della sua fortuna, nella prima metà del Quattrocento; una notizia curiosa, strana, e che fa sulle prime alzare le spalle come ad una notizia incredibile.

Ci è fornita da frate Antonio da Rho, il francescano che è il piú illustre rappresentante dell'umanesimo nella sua famiglia, e che è una tipica figura di frate, la quale meriterebbe d'essere meglio illustrata.

Tra il 1427 ed il 1430, nel triennio in cui fu Generale dei francescani Antonio Massa, il nostro frate fu accusato presso il superiore di vita non troppo corretta e di ignoranza.

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A capo degli accusatori stava un arcidiaconon so chi si fosse, né a noi importa saperlo ; ma ciò non vietò che il Raudense mettesse mano alla penna, e da buon umanista stendesse una lunga difesa modellata sull'apologia di Socrate, e sparsa piú di bile umanistica che di carità francescana.

I suoi accusatori difatti son ivi chiamati da lui Sicofanti, cani che latrano e scrofe che grugniscono avvoltolate nel fango; né questi sono i nomignoli piú graziosi che loro regala.

Una buona parte dello scritto è dedicata a rendere conto de' suoi studî; e se il buon frate non disse, per vanità, qualche bugia, possiamo ritenere che a torto l'avessero accusato d'ignoranza; perché c'è da restare maravigliati al numero dei libri greci e latini da lui letti e studiati; libri di storia, di filosofia, di teologia e sopratutto di letteratura, che

era la sua passione. Ora, infine alla lunga litania si legge:

"E florentina quidem civitate clarissima ingenia nescio ne divina dixerim nata sunt. Eiusque namque urbe oriundus dantes marone praevio me per stigias per manes perque umbras tartareas non latino quod cum plerique nescisse putant verum materno sub tegmine trahit.... poi lo conduce al Purgatorio ed al Paradiso.

"Sed et aliud ingenium ex ea ipsa urbe florentissima exortum est. Humanitatis quidem studia verius per id tempus extincta quam sopita franciscus petrarca ex somno excitasse videtur.... Per multam illi gratiarum debitionem non inficiamur, set enim fuit immo bellissimum immo operae precium quidem excitare tullianum leporem. Enumera quindi alcune sue opere latine e conchiude: Quo fit ut dum multas acmulabundus exprimere certarit ne unum ex eis priscis quidem reddere potuerit tamen vulgari et quotidiana maternaque musa omnes excessit.

Il nuovo e lo strano non istà nelle idee di cui si intesse questo brano di prosa di frate Antonio, e nemmeno nello spirito di che è imbevuto; tutti gli umanisti suppergiú non la pensavano diversamente, ed avevano pieno il capo degli stessi pregiudizi.

1 Antonii Randensis Apologia adversus archidiaconum quomdam et alios sicophantos. Cod. Ambros., n. 49. F. inf.

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