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Esso fu di una ricca famiglia, accennando le celle de' servi, la di lui nutrice comune con Bonoso, ed il di lui precettore Orbilio, sotto cui con fatica, com' egli dice (c), apprese gli elementi della lingua latina. Ebbe pure un fratello Panliniano, ed una zia materna, Castorina, Castorina, colla quale lungo tempo ebbe contese, che poscia dal santo furono troncate (d).

anno 1828 sorte alla luce in Roma per Bouriliè un opuscolo di D. Giovanni Capor dalmata, ed arciprete di S. Gisolamo degli illirici di pag. 114, con cui intende confutare il mio libro. Sospendo la stampa sino alla lettura di detta operetta, dalla quale maggiormente mi sono convinto, che S. Girolamo era nato nell' Istria. Quindi, ritenuto l'articolo di San Girolamo, diedi mano alla stampa della Biografia, estendendo contemporaneamente col linguaggio della moderazione un' Apologia, con cui si confuta l'opera del Capor, si rìmarcano i modi spinti ed inurbani si riconferma evidentemente S. Girolamo di patria istriano, e si pubblica colle stampe di Giovanni Marenigh in Trieste in 8. Chi amasse questo argomento legga la detta Agologia unitamente al mio opuscolo precedente.

(c) Apoi. II. adversus Rufinum.

(d) Nella lettera alla detta Castorina dice: Quid

Si crede che passasse alquanto tempo allo studio in Aquileja, ma è certo che si trovasse in Roma nel 360 insieme con Bonoso, allettati ambidue dalla fama degl' insigni letterati Vittorino rettore, a cui il senato eresse una statua nel Foro Trajano, e Donato grammatico. Nella scuola di questi celebri professori, che nomina sempre con riconoscenza, si applicò con studio indefesso alla rettorica, alla logica, alla filosofia; nè vi ha poeta, oratore, filosofo,

storico si greco che latino, di cui non facesse sommo profitto, della qual erudizione profana, piena la di lui memoria, in tutte opere di religione ne fece uso frequente.

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Suo malgrado però, ed a fronte di tanta applicazione, le delizie di quella capitale non l'esentarono dall' esserne attratto,

agemus nos in die judicii, super quorum iram non unius diei, sed tantorum annorum sol testis occubuit? Quomodo in quotidiana prece diximus, dimitte nobis debita nostra, sicut et nos dimittimus? Quod si tu, quod procul absit, volueris, ego liber ero. Epistola me hæc mea, cum lecta fucrit, absolvet.

mentre confessa egli stesso la sua lubrica vita, ed il suo trasporto per le danze e la compagnia di giovani donzelle. Si ammala, e tocco dalla grazia del Signore, chiede il battesimo, e lo riceve; quindi si dà intieramente alla pietà, visitando le tombe de' martiri, e nel resto del giorno si dedica allo studio delle sacre scritture, trascrivendo e facendo trascrivere per suo conto, da periti dell' arte i libri più distinti, ed in modo, che durante il suo soggiorno in Roma si procurò un' insigne biblioteca, che gli fu l'oggetto il più caro nel corso della sua vita.

Dopo 10 anni circa di soggiorno in Roma, parte con Bonoso, tocca Aquileja, fa il giro delle Gallie, sempre in traccia degli uomini i più celebri, nonchè di codici accreditati. Nell' anno 368 si ritrova in Treveri, ascolta S. Ilario vescovo di quella città, e trascrive il libro del di lui Sinodo, ch'era in estimazione. Al principio dell'anno seguente 369 ritorna in Aquileja, e vi si ferma qualche tempo, trattenuto dalla santità e dottrina di Valerio vescovo di quella TOMO 1.

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città, di Nepoziano, di Ruffino, di Eliododi Fiorenzo, di Cromazio, di Giovino, di Nicea, di Grisogono, ed altri celebri monaci, coi quali prende e rinnova stretta amicizia, e che nelle sue opere chiama Coro di Angeli. Risolve passare in Oriente, e con dolore si stacca da essi; parte però con Bonoso e Nicea; tocca di volo la patria, i cui costumi depravati egli ci ha tramandati (e). Bramoso di ritirarsi in un eremo, non trova opportuno luogo nel suolo natio, dicendo: monachum in sua patria perfectum esse non posse. Passa nell' Oriente, chiamato dalla fama di que' monaci, scorre la Tracia, il Ponto, la Bitinia, la Gallazia, la Cappadocia, la Cilicia, e come

(e) Nell'epistola a Crescenzio. In patria mea, rusticitatis vernacula Deus venter est, et in diem vivitur; et sanctior est, qui ditior est. Accessit huic patella, juxta tritum populi sermone proverbium, dignum operculum, LUPICINUS SACERDOS

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perforatam navem debitis gubernator regal, et cæcus cæcos ducat in foveam, talis sit rector, quales qui reguntur.

a naufrago gli si presenta fidissimo porto la Siria.

In questa peregrinazione visita con diligenza ciascun eremo, ascolta que' monaci, e rimane colpito dalla loro austerità e penitenza: varii di questi ne nomina, fra quali uno nella Siria, che per 30 anni chiuso in quel deserto, visse di solo pane di orzo ed acqua sporca, soggiungendo che quelli dell' Egitto lavoravano colle loro mani, non tanto per acquistarsi il vitto necessario, quam propter animæ salutem. Mosso da questi luminosi esempii passa in Antiochia, ascolta con piacere Apolinare di Laodicea, il quale non aveva peranco fatto scisma nella chiesa, e di lui concepisce grande stima. In questa città si unisce in stretta amicizia con Evagrio nobile e ricco prete della Calcide, il quale fu vescovo di Antiochia dopo la morte di S. Paolino. Finalmente nel deserto della Calcide, tra la Siria e l'Arabia, 30 miglia lungi da Antiochia, sceglie un luogo per suo eremo, presso Mironia, nel 372, e va a seppellirsi in quella solitudine co' suoi compagni, prestan

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