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beramente, e prendete in buona parte le

>> mie intenzioni. La nostra situazione ba

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sterebbe sola a formare la nostra sicurez»za, avendo da una parte il mare, dall'altra » le lagune, se quelli che ci governano fossero tali, quali dovrebbero essere. Noi

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siamo stati afflitti in questi ultimi tempi » per gli sbarchi dei pirati, e per le osti» lità de' longobardi. Se avessimo usate le >> necessarie attenzioni in guardare le nostre costiere, e mantener de' vascelli pronti a rispingere i barbari nostri aggressori, non avremmo sofferti tanti mali, che ci costano amare lagrime. La sola impunità ha resi » arditi ed intraprendenti i nemici, che ci circondano, e di ciò sono colpa i no» stri tribuni, che in luogo d' invigilare al» la salute della repubblica, le hanno straziato il seno co' loro privati contrasti, e >> l'hanno esposta ad essere il giuoco e la preda de' suoi vicini. Sino a tanto che du>> rerà questa forma di governo, non si spe» ri di restare esenti dagl' insulti dei bar

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bari, alli quali è odioso il nome vene

ziano, poichè questo nome porta seco una

n

>>

» idea di libertà. Ogni moltitudine che non
» ha un capo, è come un corpo senza te-
» sta. L'esperienza ci ha fatalmente insegna-
» to, che la pluralità di capi è una sorgen-
» te di divisione. Un solo ce ne bisogna,
che sia il centro dell'autorità pubblica,
che possa da se stesso procurare alle leg-
»gi una pronta esecuzione, e maneggiare
» le forze dello stato, senza turbolenze, e
>> senza contraddizione, che consagrato in-
>> tieramente alla patria trovi il suo interes-
» se nei vantaggi comuni, e la sua gloria
» nella pubblica prosperità. Cittadini,
>> il rimedio opportuno ai vostri mali dive-
»> nuti estremi. In questa assemblea avete
>> gran numero di soggetti capaci ad esegui-
>> re esattamente quanto ho proposto. Affret-
» tatevi dunque a sceglierne uno, che pren-
» da in mano da se solo le redini del go-
» verno. Non gli date nome di re questo

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ecco

» nome è odioso ad un popolo libero. Dategli quello di Duce, più convenevole ad » uomo, che non per padrone, ma sceglie» te per capo. Abbia egli il potere di radu»> nare la nazione, quando vi sia bisogno;

1

>> nomini i tribuni che amministrino sotto

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la sua autorità la giustizia nelle isole: il suo tribunale sia il tribunale supremo,

al

quale vengano portate le ultime appella»zioni. Scegliete un uomo generoso per anteporre in ogni incontro gl' interessi della patria a i suoi proprj, imparziale per as» segnare a tutti i cittadini i medesimi pesi, padrone de' suoi affetti per non aver riguardo a sangue o ad amicizia, quando » si tratterà del ben pubblico. Ecco il solo mezzo di far risorgere lo stato, e preve» nirne la decadenza. Questo è il mio pa» rere, tocca a voi decidere. »

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«

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» Il discorso del patriarca era conforme al desiderio di tutti. Fu ascoltato con silenzio, e ricevuto con unanime applauso. Si passò poi all' elezione proposta, e » tutti i voti concorsero a favore di Paulo» Lucio Anafesto, cittadino di Eraclea, uomo universalmente stimato

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per

la sua

saviezza, e probità, Esso divenne il pri<< mo Doge di Venezia nel 697. (pag. 67). Il Dandolo segnò la sua Cronaca cogli anni dei patriarchi sino a Cristoforo, dopo

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766 di Trieste.

il quale l'incominciò con quello de' dogi, il primo de' quali è appunto Anafesto.

114. GIOVANNI da Trieste, di precettore di grammatica nel 766 fu eletto in patriarca di Grado. Egli era pio, dotto, fornito in ogni genere di scienze e di virtù; dimostrò la maggiore fortezza di animo contro Signaldo re de' longobardi, ed i vescovi dell'Istria di lui suffraganei, i quali istigati da' longobardi si erano sottratti dalla di lui dipendenza, e consacravansi reciprocamente. Scrisse il patriarca al pontefice Stefano III. l'emergenza, e richiese salutare rimedio: a cui rescrisse il papa disapprovando la condotta de' vescovi, ed animando lo zelo del medesimo. Su di ciò scrisse altra lettera pastorale ai vescovi dell'Istria, riprendendoli della loro condotta, e precettando di ritornare all' obbedienza del loro metropolita, colla comminatoria delle più severe pene canoniche in caso di disubbidienza. Essi però rimasero inobbedienti, come c'istruisce il Dandolo: Episcopi Istric receptis Papalibus admonitionibus sæculari contagione polluti, resipiscere noluerunt.

Tutte tre queste lettere sono portate dall' Ughelli (T. v. pag. 1092-93) tratte dal MS. codice trevisano. Il nostro Giovanni frattanto governando santamente la sua chiesa ed ammonendo con zelo pietoso i dogi di Venezia Giovanni Galbajo, e Maurizio padre e figlio, per le ingiustizie che esercitavano, provocò contro di se il loro odio, e molto più per la di lui disapprovazione all'elezione in vescovo di Olivolo, ossia Castello di Venezia fatta dai dogi nella persona di Cristoforo greco, fratello di Longino esarca di Ravenna; per la qual cosa il doge Giovanni spedì Maurizio il figlio con grossa flottiglia a Grado, e preso il patriarca, lo precipitò dall' alto di una torre nell'anno 802: il di cui sangue è visibile nelle pietre, come scrive il Dandolo. Cujus sanguis in testimonium mortis suæ in petris personaliter apparet; sepultusque fuit in S. Marci capella post Ss. Martirum mausolea. Siedette nella cattedra anni 36. Ne parlano di esso il Dandolo accennato (lib. 7 cap. 12): L'Ughelli ut supra: II Tentori nell' Ist. Veneta (T. w. p. 193

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