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medesimo ebbe a lamentare? Forse che tutti quelli che hanno combattuto una battaglia simile per quattro secoli nel nome di Savonarola e per un decennio in quello di Spedalieri si son mai preoccupati di cercare se il Savonarola e lo Spedalieri potessero rappresentare davvero il principio laico?

Il Giannone ebbe un bell' affannarsi per venir ad un accomodamento con la curia. Quei funzionari, de' quali egli si vantava amico, si eran serviti di lui e dell'opera sua come d'uno strumento e non si occupavano di difender lui ma di combattere la Chiesa: il povero Giannone fece così la parte del famoso vaso di creta di don Abbondio, e dovette andar ramingo, in cerca di altri sovrani da adulare, di altre corti da esaltare (1).

Firenze.

G. A. ANDRIULLI.

(1) Cfr. la recens. al Saggio del Bonacci, inserita nella Revue des questions hist., 1° gennaio 1906, p. 321-22.

Aneddoti e Varietà

Sull' interpretazione d'un luogo

della "Historia Langobardorum di Paolo Diacono.

Tra i luoghi della Historia Langobardorum più tormentati dagl'interpreti e dagli storici è indubbiamente il capitolo 32 del libro III, perchè la notizia, che Paolo Diacono in esso ci offre, involge l'intricatissima questione dell'origine del ducato beneventano. Paolo Diacono infatti scrive: Circa haec tempora putatur esse factum, quod de Authari rege refertur. Fama est enim, tunc eundem regem per Spoletium Beneventum pervenisse eandemque regionem cepisse et usque etiam Regiam, extremam Italiae civitatem, vicinam Siciliae, perambulasse, e nel capitolo seguente (33) aggiunge: Fuit autem primus Langobardorum dux in Benevento nomine Zotto, qui in ea principatus est per curricula viginti annorum. Ma, se dal capitolo 32 del libro III si vuole ricavare la data del 589 come quella dell'anno, in cui sarebbe stato fondato il ducato beneventano, si va incontro a una contraddizione tutt'altro che leggera. Sappiamo invero da una lettera di Gregorio Magno (Ep. II, 32) che nel 592 Zotone era già morto e gli era successo Arechi. Quindi, interpretando il primo passo di Paolo Diacono come s'interpreta dai più, esiste un'evidente contraddizione fra il capitolo 32 e il capitolo 33. La contraddizione sparirebbe, quando intendessimo che Autari conquistò la regione beneventana, comprendendo con questa denominazione molta parte del mezzogiorno longobardico, ma non la città di Benevento. Due osservazioni sul passo stesso portano ad ammettere una simile interpretazione. Invero, Paolo Diacono dice in primo luogo fama est enim tunc eundem regem per Spoletium Beneventum pervenisse eandemque regionem cepisse, e non già Beneventum et postea beneventanam regionem cepisse, come fa osservare il Caracciolo. In

secondo luogo credo di dovere rilevare per conto mio anche la locuzione Beneventum pervenisse, la quale, massime se raffrontata al regionem cepisse e al fuit autem primus Langobardorum dux in Benevento, parmi voler significare che fino alla città di Benevento Autari viaggiò senza bisogno di conquistare; bisogno che cominciò solo nella regione beneventana. Eppoi Paolo Diacono medesimo, che riferisce senz' alcun dubbio un racconto popolare (cfr. PABST, Forschungen, II, p. 453, n. 1; e HIRSCH, Herzogthum Benevent, p. 5, in nota), non parla punto dell'istituzione d'un ducato, quando narra l'andata di Autari nel 589 nel mezzogiorno d'Italia, mentre sembra difficile ammettere ch'egli non accennasse a un fatto così importante, pur avendo occasione di farlo con la menzione di Benevento e solo, quasi tra parentesi, annunziasse nel capitolo successivo (33) che primo duca di Benevento fu Zotone, il quale governò per

20 anni.

Infine la frase et usque etiam Regiam, extremam Italiae civitatem vicinam Siciliae, perambulasse, mi conferma sempre più nella mia idea, giacchè il cepisse sta in mezzo a un pervenisse e a un perambulasse, quasi a meglio distinguere l'azione guerresca, che Autari avrebbe compiuto nella regione beneventana. A che cosa si ridurrebbe la conquista di Autari, secondo questa interpretazione? A un semplice atto di riconoscimento e di allargamento del ducato di Benevento. E Paolo Diacono in sostanza direbbe che il ducato di Benevento fu fondato 20 anni prima della morte di Zotone, a cui gli storici s'accordano nel dare 20 anni di regno. Siccome Zotone mori circa il 591 o 592, avremmo come data della fondazione del ducato beneventano il 571 o 572: data la quale è confermata da Leone Ostiense (Chronica, I, 48). Egli infatti scrive esser trascorsi 320 anni dalla creazione di Zotone a duca di Benevento all'anno 891, nel quale la città fu presa da Simbaticio, patrizio greco.

Le altre opinioni ci riportano tutte più indietro. Un catalogo antico dei duchi e dei principi beneventani, compilato da un ignoto monaco del monastero di S. Sofia di Benevento, dice: Anno ab incarnatione domini quingentesimo sexagesimo octavo, principes coeperunt principari in principatu Beneventano, quorum primus vocabatur Zotto (MURATORI, R. It. Script., II). A quest'opinione che il ducato sia stato fondato nel 568 tutto s'oppone. Infatti Alboino scese in Italia nella primavera del 568, ed è molto arduo arrivare

ad ammettere che in quel medesimo anno il dominio longobardico fosse così esteso in Italia, mentre sappiamo che non furono lievi le difficoltà incontrate da' Longobardi nell' Italia settentrionale. Costantino Porfirogenita, autore non troppo esatto, racconta (De administratione imperiali, c. 27) che molti dei Longobardi, venuti in Italia con Narsete, terminata la guerra, vi restarono e si stabilirono in Benevento. E il Pellegrino, scrittore di cose beneventane, si fonda appunto su questo passo per riportare la fondazione del ducato beneventano al 552. Ma, prescindendo dal fatto della confusione che fa il Porfirogenita, nel narrare questo avvenimento, con quello della costruzione della tità vóßa, fondata da Arichi, per timore dei Franchi 200 anni dopo (GIANNONE, libro IV, capo 2o), è da notare che questa notizia contraddice a Procopio e a Paolo Diacono. Procopio (libro IV, c. 26) scrive che Narsete, dopo la battaglia di Tagina, per il contegno licenzioso e oltracotante dei Longobardi, condotti in Italia da lui, magna pecunia donatos remisit in patriam Valeriano ac Damiano nepoti suo eorumque copiis demandata cura cos ad Romani imperii limitem deducendi, ut in via ab iniuria et maleficio temperarent, e Paolo Diacono (II, 1) dice dei Longobardi venuti con Narsete: Qui per maris Adriatici sinum in Italiam tranSecti, sociati Romanis pugnam inierunt cum Gothis; quibus usque ad internitionem pariter cum Totila suo rege deletis, HONORATI MULTIS

MUNERIBUS VICTORES AD PROPRIA REMEARUNT.

Il fatto stesso che la più parte delle indicazioni c'indurrebbero a portare la data della fondazione del ducato beneventano molto più indietro del 589 mi sembra suffragare l'interpretazione, ch'io reputo giusta, del luogo di Paolo Diacono, il quale inoltre, in questo modo, si concilierebbe con Leone Ostiense.

Rispetto alla possibilità che nel 571 o 572 i Longobardi arrivassero nell'Italia meridionale, non credo che quanto sappiamo intorno alle condizioni dell'Italia meridionale, non certo in grado di potersi difendere energicamente, e al modo, onde si svolse la conquista longobardica, costituisca un ostacolo serio contro questa interpretazione del capitolo 32, libro III, di Paolo Diacono. Del resto riguardo alle condizioni del mezzogiorno italiano e all'andamento della conquista longobardica si veda lo scritto già citato del Hirsch.

Arezzo.

AGOSTINO SAVELLI.

Consiglio medico di maestr' Ugolino da Montecatini ad Averardo de' Medici.

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Se si riflette alla scarsità di opere e di monografie intorno alla storia della medicina nell'età di mezzo, dobbiam riconoscere che a Ugolino da Montecatini è veramente toccata una singolare fortuna: chè per tacere del Ragionamento scritto dal Bandini sul finire del secolo XVIII (1) - i casi della sua vita e la sua attività scientifica trovarono degna illustrazione, or non sono molti anni, in una breve ma succosa memoria di Francesco Novati (2). Il quale osservò che dei varî scritti che il buon medico dovè dettare, di quei « praeclara monumenta » cui accenna lo stesso funebre elogio di lui, e da cui Ugolino « osò sperare il mantenimento del suo nome anche presso le generazioni future » uno solo è rimasto: il trattato, cioè, de' bagni termali d'Italia (3).

Nell'Archivio fiorentino di Stato (Mediceo avanti il Principato, filza LXXXVII, cc. 44-46) noi abbiamo rinvenuto un altro breve scritto di quel valente.

È esso un consiglio medico che Ugolino dettò per Averardo de' Medici, e riesce di qualche interesse non solo per il personaggio al quale è diretto, ma anche, e soprattutto, perchè ci rivela quali idee e quali teoriche scientifiche professasse un medico, che fu a' suoi tempi celebratissimo.

Ai cultori delle scienze mediche e della loro storia (non a noi che ne siamo del tutto ignari) sarà dato di giudicare se in questo suo scritto Maestr' Ugolino si limiti ad accogliere le idee comuni a'medici de' suoi tempi, o se invece, almeno in parte, se ne discosti e ne propugni delle nuove e migliori. Quello che ad ogni modo appare evidente si è che la malattia, da cui il cugino di Cosimo dovette essere affetto e per la quale Maestr' Ugolino suggerì tanti e così varî rimedi, fu un semplice catarro bronchiale.

(1) A. M. BANDINI, Ragionamento ec. sopra un'opera non più stampata di l'golino da Montecatini, celebre medico del sec. XIV. In Vinegia, MDCCLXXXIX, nella stamperia Coleti.

(2) F. NOVATI, Maestr' Ugolino da Montecatini medico del secolo XIV ed il suo trattato de' Bagni Termali in Italia, in Memorie del R. Istituto Lombardo di scienze e lettere (Classe di lettere, scienze storiche e morali), vol. XX (XI della serie III), 1896, pp. 143-166.

P. 47.

(3) Fu stampato nella collezione degli autori De balneis. Venezia, Giunti, MDLIII,

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