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poli strinsero un trattato con il Duca di Benevento, e regolarono l'istituto della estradizione (1).

Non è il caso, dopo gli studi iniziati dal Fanta, di trattare delle fonti, delle analogie e delle dipendenze del pactum Sicardi (2): noteremo soltanto i due articoli 6o e 11°, che concernono l'estradizione. Oltrechè ai servi fuggitivi, cosa stabilita del resto nell'editto di Rotari, l'estradizione è concessa pei rei di furto e di omicidio. Notevole è una distinzione, che più tardi si ripeterà in qualche trattato del XIII secolo. L'Amalfitano, ad esempio, che, commesso un furto ad Amalfi, si ripara nel territorio beneventano, deve, secondo il patto, essere estradato; ma se invece di un Amalfitano egli sia forestiere, allora il duca di Benevento non è tenuto ad estradare il reo, ma a sequestrare la refurtiva, e a consegnarla ai rappresentanti del governo amalfitano. Il patto di Sicardo si ritiene ripetizione di quello del suo predecessore Sico (3).

In condizioni analoghe alle città del Tirreno, Venezia stipulava accordi commerciali con Liutprando tra il 714 e il 717 (4). A noi però quel trattato non resta; è possibile che esso abbia servito di esemplare, se pure non sia stato trascritto in più parti letteralmente, nei trattati successivi stipulati da Venezia con i sovrani d'Italia. Se così è, dovremmo riferire fino al tempo di Liutprando le norme di estradizione, che si ripetono nei pacta reneta dal IX al XII secolo.

Prima di far cenno di questa serie di pacta, giova ricordare un capitolare di Carlo Magno del 797, che re

(1) In MM. G. H., Leges, to. IV, pp. 216-221; e in PADELLETTI, Fontes iuris ital. medii aevi, Torino, Loescher, pp. 318 e segg.

(2) ADOLF FANTA, Die Verträge der Kaiser mit Venedig bis zum 983, in Mittheilungen des Inst. für oest. Geschichtsforschung, Ergänzungsband, Heft I, 1883, p. 90 e passim.

(3) Cfr. Chronicon salernitanum, cap. 57, in MM. G. H., Scriptores, III, p. 497.

(4) FANTA, op. cit., p. 89. Ne è fatto ricordo nel Pactum Lotharii dell'840, in MM. G. H., Leges, Capitularia, no 233, c. 26.

gola i rapporti con i Sassoni. È stabilito, che qualora uno di essi, già colpito da condanna di morte per delitto compiuto in patria, si fosse riparato nel regno dei Franchi, dovesse, o essere estradato, oppure, con il consenso dei Sassoni, essere relegato in qualche paese del regno, così lontano, che i Sassoni « habeant ipsum quasi mortuum » (1).

È

questa la norma, credo, più antica di quelle che ci rimangono intorno all' estradizione, dovuta alle relazioni politiche tra Franchi e Sassoni, alla posizione speciale di questi ultimi, e al desiderio di Carlo di stabilire rapporti amichevoli tra i due popoli, dopo le lunghe guerre sostenute con i Sassoni, vinti, ma non domati.

Di natura ben diversa, e cioè tutta commerciale, doveva essere il trattato che lo stesso Carlo Magno verso 1812 stipulava con Venezia. A noi non resta, ma il Fanta a ragione opina che copia di esso sia il pactum Lotarii I dell'839 (2). Sulle analogie esistenti tra questo trattato e quello di Sicardo, rimando il lettore ai confronti fatti dal Fanta; osserverò soltanto che esse derivano soprattutto dalle analoghe condizioni politiche e commerciali, in cui si trovarono le repubbliche marittime dell'Adriatico e del Tirreno.

Secondo il trattato di Lotario I, i Veneziani si obbligano di estradare chiunque dal regno abbia cercato rifugio nel territorio della Repubblica (3). Non si

(1) In MM. G. H., Leges, Capitularia regum francorum, vol. I, no 27, p. 72. (2) MM. G. H., Leges, Capitularia regum francorum, vol. II, p. 130; FANTA, op. e loc. cit.

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(3) Et volumus ut omnes homines vestros postquam pactum anterius << factum Ravenne, qui ad nos confugium fecerunt si cos invenire potue<rimus ad partem vestram restituamus. Che queste parole sieno dette dai Veneziani si comprende anche dal paragrafo seguente che comincia così: Similiter repromittimus vobis ut homines christianos de potestate vel regno dominationis vestre etc. ». Il trattato di Ottone I, che riproduce quasi lo stesso articolo, conferma quanto abbiamo detto. Vi si legge : Si

tratta di una convenzione bilaterale per la consegna reciproca di rei fuggitivi, ma di un obbligo che soltanto Venezia si assume. La qual cosa si può forse spiegare con il bisogno da parte delle autorità del Regno di arrestare quella corrente d'immigrazione verso il territorio della Repubblica, che fin dai tempi dei Longobardi si era manifestata, sia per le difficili condizioni di vita nel regno, sia per il migliore trattamento nella città nascente, bisognosa di nuove braccia da lavoro. Della consegna dei servi fuggitivi, dell'arresto e dell'estradizione di chiunque conducesse dal regno cristiani per venderli come schiavi trattano altri articoli del patto (1). Il 20° considera l'omicida fuggitivo, che le due parti contraenti si obbligano reciprocamente di estradare.

È possibile seguire, dai tempi di Lotario in poi, la serie di pacta alternati con i precepta, che spesso soli ci rimangono, ma che probabilmente attestano un precedente patto (2). Gli uni sono copia degli altri, quasi sempre, e però noi ci fermeremo brevemente soltanto su quelli che offrono notevoli modificazioni o aggiunte. Così appunto è del patto di Ottone II del 983, che nell'articolo riguardante l'estradizione degli omicidi aggiunge: « [Si<«<mili pelna (cioè la consegna del reo o la composizione << di 300 soldi) decernimus dampnandum eum qui in co«< munibus mercatibus tumultum populi excitans homi<< cidium perpetraverit » (3). Questo articolo chiarisce sempre più il carattere commerciale del patto e il desiderio. di tutelare l'ordine nelle fiere. Nel patto di Ottone II

autem homines vestri in ducatibus nostris ec. ». Il paragrafo 5o completa il 2° surriferito: Et hoc spondimus ut quicumque post renovationem huius pacti ad nos confugium fecerint cum rebus eorum parti vestre reddantur ». (1) Loc. cit., cap. 3° e 10o.

(2) Un'opinione diversa manifesta il KRETSCHMAYER nella sua recente Geschichte von Venedig, Gotha, Perthes, 1905, p. 171. Utile è l'appendice bibliografica aggiunta dall'Autore sull'argomento suddetto.

(3) MM. G. H., Leges, Diplomata, to. II, no 300 in data 7 giugno 983.

è altresì degna di nota la mancanza delle disposizioni sui mercanti di schiavi cristiani e sugli abitanti del Regno, che, senza lo scopo di sfuggire condanne, si fossero riparati nel territorio della Repubblica. La mancanza di queste norme, che dall'840 al 967 vediamo invece sempre ripetute, si deve forse al fatto che le cose da esse regolate erano cadute in disuso. Le condizioni di vita del Regno, economicamente migliorate, non rendevano così frequente e dannoso, come prima, l'esodo degli abitanti, nè facile e conveniente il traffico degli schiavi.

Con il patto di Ottone III del 992 non è regolata soltanto l'estradizione per omicidi e per furti, ma anche l'espulsione dal regno dei ribelli al doge (1). È un'eco dell'agitata vita politica della Repubblica nel X secolo ; ma si noti che il desiderio di punire il reo politico non riesce a stabilire per esso l'estradizione, ma semplicemente l'espulsione dallo Stato amico. Questo articolo non si ripete nei trattati successivi; il governo della Repubblica, che si era fortemente consolidato, non si preoccupava più della vicinanza di ribelli politici, scemati di forza e di numero, se pure non interamente scomparsi.

Nel patto di Enrico IV, vantaggiosissimo ai Veneziani, ai quali era riconosciuto il privilegio di potere essi soli per ragione di commercio navigare sull'Adriatico, è aumentata da 300 a 1000 soldi d'oro la composizione nel caso non si voglia consegnare l'omicida fuggitivo al governo veneziano (2). Gl' imperatori Lotario III nel 1136 e Federico I nel 1154, nei patti stipulati con Venezia, simili al precedente, restituiscono a 300 soldi la somma della composizione per omicidio (3).

(1) MM. G. H., Leges, Diplomata, to. II. n° 100, p. 512.

(2) Il pactum è del 1094 o 1095. MM. G. H., Leges, Constitutiones, to. I, no 72, art. 10.

(3) Il pactum di Lotario III è del 3 ottobre 1136. MM. G. H. Leges, Constitutiones, to. I, no 119. Quello di Federico I è del 22 dicembre 1154. MM. G. H. Leges, Constitutiones, to. I. n° 150.

IV.

Gli ultimi patti ricordati sono già del XII secolo, nè essi oramai sono i soli documenti che illustrino i rapporti tra Venezia e le città italiane. L'imperatore, sovrano d'Italia, aveva fin qui rappresentato le città del Regno nelle loro relazioni con Venezia; senonchè quando queste città ebbero un governo comunale provvidero da sè stesse, indipendentemente dall'impero, alla loro politica esteriore. Questo fatto determinò un nuovo indirizzo politico per Venezia; poichè se prima bastava una buona somma per strappare da avidi feudatarî, o da bisognoso imperatore, privilegî commerciali nel Regno, ora invece Venezia aveva da fare i conti con i Comuni, gelosi dei propri interessi commerciali. Essi, prima di segnare in un trattato una tariffa doganale favorevole all'altra parte contraente, reclamano per sè libertà di traffico, agevolezze commerciali, parità insomma di trattamento.

È questo uno dei momenti più difficili della vita politica ed economica di Venezia. Mentre gli altri Comuni combattono ed atterrano le rocche feudali, che incastellano le libere città, e ne chiudono gli sbocchi, e mentre i Comuni più grossi si preparano nella loro espansione a sottomettere il contado e i vicini più deboli; Venezia non ha milizie, non estende il suo territorio sul continente, e tuttavia raggiunge quegli stessi fini economici, che i grossi Comuni si proponevano nelle loro lotte di espansione. La sapienza politica del governo, la posizione geografica della Repubblica, gli speciali prodotti della sua industria, lo sviluppo děl suo commercio, nonchè infine un grande avvenimento politico, la lega lombarda, assicurarono a Venezia, mercè trattati commerciali, il predominio nei mercati dell'Italia settentrionale.

I Comuni della valle dell'Adige e del Po erano città di transito per il commercio transalpino, potevano

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