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quindi imporre alle merci veneziane gravi dazî; ma quelle città erano altresì centri industriali, che avevano in Venezia lo scalo unico, o migliore, per l'esportazione dei loro prodotti in Oriente. Venezia, come abbiamo visto a proposito del patto di Enrico IV, aveva reso l'Adriatico un mare chiuso per le navi che non fossero veneziane. Ciò che il Salimbene scriveva per il secolo XIII si può senza fallo riferire al secolo precedente: « Veneti << claudunt navigii viam Lombardis quod nec a Marchia << anconitana aliquid possunt habere, a quibus haberent << frumentum, vinum et oleum, pisces et carnes et salem et << ficus et ova et caseum et fructus et omnia bona quae ad << vitam spectant humanam, nisi Veneti impedirent » (1).

Lo speciale prodotto industriale, a cui accennavo enumerando i mezzi che i Veneziani adoperarono a proprio vantaggio nella loro politica commerciale, fu il sale marino. Le aspirazioni di Ezzelino da Romano, degli Scaligeri e dei Carraresi nella loro maggiore potenza furono dirette alla conquista della foce del Brenta per le saline di Chioggia. Molte delle lotte tra Venezia e Padova derivano da questi speciali interessi economici. Venezia riuscì in queste lotte vittoriosa, esercitò una rigorosa vigilanza nell'Adriatico, e monopolizzò in tal modo tutta l'industria ed il commercio del sale nel Veneto, nella Lombardia e in molti paesi transalpini. Di quale interesse fosse la questione del sale, si vede ricordando fatti molto recenti, nonostante i più facili mezzi di comunicazione. L'Austria, che prima del '48 aveva avuto il monopolio del sale veneto non solo in Lombardia, ma anche nella Svizzera, considerò come casus belli nel 1847 il trattato, concluso tra il re di Sardegna e la Svizzera per la fornitura del sale, proveniente da Genova ed importato attraverso il Piemonte.

Ma tutto ciò non basta a spiegarci le ragioni del

(1) In Monumenta historica ad provincias parmensem et placentinam pertinentia, to. III, p. 253.

predominio della Repubblica sui mercati italiani, se non si pensa ai vantaggi che le città della terraferma ritraevano da quel porto. Si tratta di una corrispondenza d'interessi, che dà ragione di quel tacito riconoscimento della egemonia che la Repubblica aveva conquistato.

Nè solo coefficienti economici sono da esaminare, ma altri politici, che a questi si connettono. Alludo alla lega lombarda, che valse a stringere sempre più i rapporti tra Venezia e le città dell'Adige e del Po. Alla lega infatti, sorta con carattere politico-militare, segue di lì a pochi anni una serie di trattati commerciali, che regolano rapporti giuridici tra città e città.

La politica commerciale di Venezia nel periodo della lega fu preparazione alla sua egemonia e a'suoi trattati di commercio e di estradizione. Per la qual cosa non credo inopportuno soffermarmi su questo argomento, considerando soltanto quella piccola parte che riguarda la politica commerciale veneziana.

V.

Venezia, come notammo, stipulò con Federico Barbarossa, nel 22 dicembre 1154, un trattato che è una ripetizione dei patti precedenti. Perchè la Repubblica venne in lotta con l'imperatore? Lasciando di ricordare coloro che nel sentimento patriottico indicarono la prima causa dell' inimicizia della Repubblica, preferisco di riferire l'opinione di uno dei più dotti scrittori di storia veneta. È questi il Cipolla, che in un suo lavoro su Verona e la lega lombarda, così scrive: « Tra Venezia e << l'imperatore non correva da qualche tempo buona ar«monia, e Federico nella convenzione stretta con Genova << l'anno 1162 lasciò che Venezia fosse dichiarata città << a lui nemica. Che legame di amicizia sincera poteva es<< serci mai tra il Barbarossa e la città che si vantava di. « non essere soggetta che a Dio? Forse i tentativi mal

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<< riusciti a dire il vero che Federico aveva fatto per in<< graziarsi Manuele, imperatore di Costantinopoli, contri<«< buirono perchè la Repubblica coinvolgesse in un mede<< simo odio ambedue gl' imperatori. Forse la politica di << Venezia s' incontrò inimichevolmente con quella di << Ulderico patriarca di Aquileia, che per amore o per << forza seguiva il partito del Barbarossa » (1).

La lotta tra Venezia ed Aquileia e la sconfitta di Grado hanno certamente un valore, ma non bastano a spiegarci l'ostilità di Venezia con l'imperatore. Essa rimonta per lo meno al 1162, mentre la sconfitta di Grado è del 1164 (2). Del resto sia pure l'inimicizia con Aquileia di molto anteriore; si può peraltro notare, che non poche città della Marca si erano incontrate inimichevolmente con Venezia in principio della venuta dell'imperatore, eppure non avevano tardato a pacificarsi e ad unirsi con Venezia.

Nè tanto meno sono sufficienti ragioni i tentativi mal riusciti, che Federico aveva fatto per ingraziarsi Manuele, imperatore di Costantinopoli, ammenochè essi non si mettano in relazione con altri fatti della politica genovese, che il Cipolla di sfuggita ricorda. In quel torno di tempo, e precisamente nel 1162, era scoppiata in Costantinopoli una terribile zuffa tra Pisani e Genovesi. Un migliaio di Pisani, scrive il Caffaro, « collecta ma<< xima multitudine virorum Veneticorum Constantino<< poli commorantium », assali i Genovesi nel loro fondaco, da dove li scacciò, facendo man bassa di ogni merce (3). La partecipazione dei Veneziani si spiega, pensando come costoro, che avevano per un certo tempo

(1) In Nuovo Archivio Veneto, to. X, pp. 416-417.

(2) GIESEBRECHT, Geschichte der deutschen Kaiserzeit, Braunschweig, Schwetschke, 1880, to. V, pp. 401 e 405-406.

(3) CAFFARO, Annali genovesi (ediz. Belgrano), Pubbl. dell'Istituto Stor. it.. Roma, 1890, p. 68.

visto nei Pisani, rivali da combattere, ben presto trovarono in essi compagni contro i Genovesi, nemici comuni e più potenti. Ed è così, che sotto il dogato di Vidal Michiel fu stipulata un'alleanza tra Veneziani e Pisani (1162) (1); laddove i Genovesi, quasi di rimbalzo, nello stesso anno stipulavano un trattato con l'imperatore ; il quale vietava ai Veneziani, come ribelli, il traffico nelle terre dell' impero (2). Questi fatti peraltro, se ci spiegano le ragioni, per cui i Genovesi avevano cercato di coinvolgere Federico nel loro odio contro la Repubblica di Venezia, non ci spiegano come mai l'imperatore s'incontrasse con i Genovesi nella lotta contro Venezia.

Bisogna, mi sembra, tener molto conto della seguente notizia data dall'Historia Ducum intorno al 1161. L'imperatore, scrive il cronista, «< cepit autem tempore illo et << Veneciam vexare et circumpositas Venecie civitates << graviter expugnare: volens eam suo subiugare imperio. << Non enim preterquam in mare in aliquam partem Ve<«<neti exire audebant » (3). Per una città, che fonda tutte le sue risorse sul commercio, un ristagno negli affari, come questo del 1161, rappresenta una vera crisi economica. Qualcosa di simile avvenne durante la guerra di Chioggia, quando anche allora Venezia ebbe chiuse le vie sulla terraferma (4). Le terre vicine, che Federico rexabat, erano situate in punti importanti strategicamente e commercialmente. Attorno al 1161 era con

(1) Il Sanudo, dopo di aver fatto il nome di Vidal Michiel, soggiunge: doxe fu electo, il qual nel principio del suo ducato li Pisani stati lon<gamente inimici fece nostri amici ». MARIN SANUDO, Le vite dei Dogi (ediz. MONTICOLO, in Ristampa dei RR. II. SS., to. XXII, fasc. 3o, Lapi, Città di Castello, 1900). Il Monticolo nelle dottissime note avverte che la notizia deriva dalla Cronaca maggiore del Dandolo e da quella di Pietro Dolfin.

(2) In MM. G. H. Constitutiones, to. I, p. 293 (9 giugno 1162). (3) MM. G. H., Scriptores, XIV, p. 77.

(4) Di ciò ho fatto particolare cenno nel mio volume su La democrazia fiorentina nel suo tramonto, Bologna, Zanichelli, 1905, p. 320.

fiscata al vescovo di Padova la Contea di Sacco, ed erano occupati il castello del Pendice, il monastero d'Ispida, di cui i frati ripararono a Venezia, il monastero di S. Zaccaria di Venezia, sito in Monselice, e molte possessioni di altri monasteri veneziani, come quelli di S. Nicolò, di S. Cipriano, di S. Maria della Carità, di S. Giorgio maggiore e di S. Ilario (1). Questi conventi sotto la protezione della Repubblica erano posti o presso confluenze di fiumi o sull' incrocio di vie. Che se nel Padovano, e fin dirimpetto a Chioggia, un ministeriale dell' Impero, il conte Pagano, spadroneggiava; nel veronese Ottone di Wittelsbach aveva nel 1161 occupato la rocca di Garda e qualche anno dopo anche quella di Rivole (2). Dal castello di Garda non solo le terre vicine erano enormiter oppresse, ma anche tutti coloro che per ragione di commercio erano costretti a passare sulla via, che, dominata da quel castello, conduceva ai paesi transalpini. Si rinnovavano così quegli ostacoli allo sviluppo commerciale, contro cui i Comuni al loro sorgere avevano lottato.

Concludendo, il riordinamento feudale che Federico vagheggiava in Italia era per Venezia una minaccia al suo avvenire commerciale. I reggitori della Repubblica compresero tutta la gravità del momento, reso ancor più difficile dall'aiuto imperiale offerto a Genova a danno degli interessi veneziani in Italia e nell' Oriente.

Un altro fatto forse è da ricordare a spiegazione dell'antagonismo tra Venezia e l'imperatore, L'autore della Historia ducum dà notizia di una guerra mossa da città italiane (civitates Italiae) a Venezia poco prima del 1162

(1) Cfr. A. GLORIA, Speronella e la riscossa dei Padovani contro il Barbarossa, pp. 16 e segg.; e dello stesso A., Codice diplomatico padorano, II, 2, 746, p. 61.

(2) ACERBO MORENA, MM. G. H., Scriptores, XVIII, 642, cfr. CIPOLLA, op. cit., p. 415 e le corrispondenti note al suo dotto discorso.

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