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il Ferrari scrisse dal campo; il giorno stesso parti per Firenze, dopo un alterco scandaloso col successore. Questi, accettato, per disciplina, ma solo in via provvisoria, il comando, e, rivolte al Governo preghiere di esonerarnelo quanto prima, pubblica un proclama alle truppe.

Siamo alla giornata del 29, universalmente già nota; di essa tratta l'A. nel capitolo sesto. Seguono gli altri, sulla ritirata, dal 29 maggio al 6 giugno, sugli ozî di Brescia, dal 6 al 29 di quel mese, da Sommacampagna a Volta, dal 29 di giugno al 26 di luglio, il ritorno, dal 26 di luglio all'11 di agosto.

Se ora ci facciamo ad esaminare attentamente il volume, insieme con qualche pagina nella quale si tenta, più o meno felicemente, la sintesi, vi troviamo non poche nè lievi sviste, mende ed errori, di sostanza come di forma.

Cosi a p. 16, parlando degli entusiasmi popolari nel '48, egli dice che quando il popolo s'adunava ad udire i suoi oratori <« la Can« zone d'uno era quella di tutti: l'evviva era concorde quando «<echeggiava il Va fuori stranier ». Vero è che anche nelle Memorie del Battaglione Universitario Pisano (Pisa, 1898), a p. 21, in una lettera scritta nel 1899 da un glorioso avanzo di Curtatone e Montanara, il prof. Attilio Tassi di Siena, s'afferma che tutti allora cantavano « Va fuori d'Italia, va fuori stranier ». Ma, siccome la cosa è poco nota agli storici, i quali attribuiscono le parole fatidiche all' Inno di Garibaldi del '59, qualche spiegazione sarebbe stata opportuna non solo, ma necessaria. L'0. scrive pure che la folla applaudiva a Gioberti, monaco ortodosso. Or dove ha egli mai trovato che il Gioberti fosse monaco? Crede, forse, il titolo generico di Abate che veniva dato a tutti i preti così detti secolari, e fino ai semplici cherici, indicasse nel Gioberti un monaco vero e proprio, anzi il capo di un monastero? Ed altra frase errata consimile egli usa nella pagina seguente, dicendo « un prete in abito di barnabita » il Gavazzi, essendo a tutti ben noto che questi era un sacerdote barnabita, non un prete barnabita; chè la parola prete indicava generalmente i sacerdoti cosi detti secolari, non quelli monaci, o frati. Tralasciamo altre improprietà di linguaggio e fino trascuratezze di grammatica, per osservare non sembrarci ben concepito il giudizio ch'egli dà del Governo granducale in Toscana fino ai primi del '48, a p. 14, ove parla dell'« eunuco ministero d'un Prin<<< cipe che nella storia vanta non poche benemerenze verso l'Austria ». Può sembrare, infatti, ingenua tale affermazione circa un Sovrano dall'Austria qui posto e da essa pressochè dipendente; nè, d'altra parte, si può negare ch' egli, legandosi lealmente a Carlo Alberto

nella guerra all'Austria, corse pericolo di venire dichiarato traditore e ribelle; e neppure ci è lecito negare, data la natura dei tempi, altre sue benemerenze verso questo paese da lui scelto ed amato (non per compiacere a' proprî padroni tedeschi) come patria sua.

Difetti consimili riscontriamo nel seguito del volume. A p. 54, ad esempio, l'O. dice, vogliamo credere per errore di stampa, che il giornale La Patria fu fondato da Mario (sic) Tabarrini; a p. 64 ripete una notizia, già data nella pagina precedente, circa la leva dei giovani del 1829: a pp. 158 e 159 parla dell'attacco a Peschiera del 17 maggio e dei tumulti di Napoli, osservando che simili fatti non interessano l'argomento suo; non accorgendosi che viene spontanea la domanda, perchè, dunque, vi si trattiene attorno. A p. 258 dice piemontese G. P. Bartolommei, notissimo ufficiale toscano e da lui come tale altrove ricordato. Dopo la battaglia del 29 maggio, Niccolò Carlo Mariscotti scrisse un libello contro il De Laugier e il Giovannetti intitolato: Il Tenente Generale conte Ulisse d'Arco-Ferrari. L'O. ne parla senza averlo letto, giacchè fa intorno ad esso una deplorevole confusione, mostrando quasi credere si tratti di tre opuscoli diversi. Dice, infatti, a p. 313: « ...ricorderò un libello <<< infamatorio contro il De Laugier ed il Giovannetti, che, diffuso per « i quartieri, vi fecondò i germi della ribellione; mentre in Firenze << operava similmente a danno del D'Arco-Ferrari il libello d'un tal << Marescotti: Il Tenente Generale Conte Ulisse d'Arco-Ferrari, del quale << ho notizia dai protocolli del Ministero granducale che lo inviava << al r. Procuratore Generale, affinchè lo sottoponesse a severo esame » ; e a p. 335: « Il 9 (luglio) intanto, la posta... recò ai soldati il men<< tovato libello del Marescotti contro il De Laugier ed il Giovannetti, << libello che portò al colmo l'insubordinazione ». Finalmente, a p. 237, chiama il capitano Ferdinando Agostini-Della Seta, già da lui ricordato con tal nome, capitano Agostino Della Seta. Di continuo, poi, cita e riporta documenti e lettere senza dirne la data, o sbagliandola, senza avvertir di chi siano, onde l'ha tratti, a chi fosser diretti; preferendo talvolta, senza gli opportuni confronti, ai documenti e alle notizie originali, quelli di seconda mano.

Se poi vogliamo dare al volume dell'O. uno sguardo in complesso, siamo costretti a dire ch'esso, pur troppo, è tutt'altro che ottimamente ideato e composto. Le citazioni di fonti stampate sono spesso incomplete, generalmente scarsissime. Rispetto a quelle archivistiche, basti dire che cita una sola volta, e complessivamente, i protocolli del Ministero toscano della Guerra conservati nel nostro Archivio di Stato, e che vanno dal n. 1720 al n. 1737. E, siccome i documenti non sono in questo disposti con un solo ordine cronologico rigoroso,

ognuno comprende quanto arduo sia riscontrar quelli ch'ei ne ha tratti.

È facile immaginare a quali inconvenienti vada incontro con un tale sistema. Così a pp. 234 e 235 pubblica il Rapporto importantissimo che la sera stessa del 29 maggio il De Laugier, sotto i ferri chirurgici, dettò in Goito pel Ministro della Guerra; e avverte in nota ch'esso « non figura affatto fra i documenti del Ministero granducale». Di dove dunque l'ha tratto? Pubblica pure una dichiarazione del De Laugier, e a pp. 363 e 364 le Illustrazioni dello stesso al Rapporto, e mai cita la fonte. Trattandosi di documenti di capitale importanza, non sarà inopportuno avvertire che sono in fine al n. 52 del protocollo 1725. Il Rapporto è una copia, manifestamente posteriore, fatta preparare dal De Laugier e da lui sottoscritta; e le Illustrazioni sono una compilazione forse contemporanea alla copia con la sottoscrizione medesima. Vi è insieme un rapporto che fece manifestamente compilare il Ministero su quello del De Laugier, interamente trasformandolo, e pubblicare come originale nella Gazzetta di Firenze del 31 marzo. Può costituire un bell' esempio della veridicità di certi pretesi documenti ufficiali pubblicati talvolta dai giornali! Il racconto non è poi ben ideato e simmetrico; i fatti non si dispongono nel loro posto migliore con un certo ordine prospettico; documenti insignificanti sono accanto ad altri d'importanza notevole, alcuni brevissimi si confondono con ampie lettere e lunghi rapporti; insieme con paragrafi di molte pagine, uno ne troviamo di sole tre righe. I documenti inseriti copiosamente nel testo non sembrano debitamente studiati, ma alla buona riuniti e tenuti assieme da debole filo. Il capitolo quinto, ad esempio, in cui parla del combattimento del 13 maggio, consta di dieci pagine di documenti con sole 26 linee di presentazione. Pare, anzi, l'0. si faccia un merito di tale sistema, giacchè dice: << Senza porvi nulla di mio, riferisco... tre rapporti, dei quali il primo solo è noto ». Aggiunge, poi, non ignorare che anche il terzo fu pubblicato! Or questa manifestamente non può aspirare al vanto di storia. Dobbiamo, tuttavia, avvertire che in qualche punto il racconto è discreto; ciò avviene particolarmente nel capitolo settimo sulla giornata famosa del 29. Ma qui dà poco di nuovo, compendiando quello che già si sapeva. In complesso, dunque, il presente volume ci appare una raccolta di documenti, per mezzo dei quali si sbozza per la prima volta la storia di quella Campagna, prima e dopo la battaglia del 29, e si dà un racconto storico compendiato della battaglia predetta. Nè possiam dire, poi, che i documenti siano troppo bene dati alla luce. Nel solo rapporto del De Laugier, pur cosi breve e

così importante, troviamo, ad esempio: « la difesa continuò per cinque ore », invece che «...per oltre 5 ore »; « in modo confacente all'ordine delle truppe », invece che «...all'indole delle truppe »; « Fortuna volle che alcuni si mantenessero sul molino », invece che «...nel molino »; « sebbene fracassato e indebolito per tutto il corpo »>, invece che «...indolito... » ; « si distinsero... Campia, Giovannetti, Chigi, tutti uffiziali di Stato Maggiore », per « Campia, Giovannetti Chigi, tutti gli uffiziali dello Stato Maggiore »; errori che, come ognuno vede, talvolta cambiano il senso. Più gravi naturalmente ne troviamo nelle Illustrazioni e altrove.

Se, poi, ci facciamo a discutere intorno alla compiutezza e precisione dell'indagine storica e critica, altre ancora sono le lacune e i difetti che ci è necessario additare.

L'O. scrive, a p. 31, proporsi « di narrare, passo per passo, in << base specialmente ai documenti che trovansi nel r. Archivio di << Stato di Firenze, col sussidio di cortesi dilucidazioni ottenute da <<< testimoni oculari, la storia particolare dei casi occorsi alla colonna << toscana, raramente e brevemente accennando a quelli dell'armata << piemontese ed italiana in genere, dei quali già possediamo nume<< rose ed ampie narrazioni; ma frequentemente evocando, in via << sussidiaria e ad illustrazione dell'ambiente storico, sulla scorta di << diarii, la vita e gli avvenimenti svoltisi nel Granducato toscano «<ed a Firenze in specie, durante la prima metà del glorioso anno 1848 ». Egli, però, non ha forse pensato all'enorme peso, che imponeva alle sue spalle con tali promesse. Non ci sembra, infatti, abbia esaminato e debitamente studiato e chiarito quanto intorno all'argomento fu scritto; nè, circa le cortesi dilucidazioni che s'è procurato da testimoni oculari, sappiamo quali fatti concernano, qual valore possiamo ad essi attribuire, dacchè niuna ne cita. Rispetto all'Archivio fiorentino, meglio certo avrebbe ponderato la sua promessa, se avesse riflettuto che cosa esso sia, e quanto e qual materiale contenga. Lo stesso general De Laugier, che nel '49 fu appunto Ministro della Guerra, dice a p. 422 della sua opera anonima pubblicata a Firenze nel '70, col titolo Concisi Ricordi di un Soldato Napoleonico Italiano, che l'Archivio di quel Ministero era un caos, e che ognuno vi si era fatto « padrone dei più importanti documenti ». L'O., dunque, avrebbe dovuto scorrere, per tutto vedere, forse qualche migliaio di pesanti e scomodissime filze, buste, volumi; esaminarne attentamente qualche centinaio. Questo certo egli non ha fatto, e neppure ebbe intenzione di fare. Forse credè le carte consistessero nei soli diciotto protocolli del Ministero della Guerra da lui complessivamente menzionati, e che figurano nel repertorio

generale dell'anno; oppure pensò che, raccolta in quelle buste una buona mèsse di documenti, non meritasse sopportar tante fatiche pei rimanenti. Ad ogni modo, niente altro egli cita. Aveva davanti a sè un buon esempio, la storia che Gherardo Nerucci nel 1898 pubblicò, dopo aver ricercato con cure assidue di molti anni tutte le memorie, i nomi tutti dei militi generosi del Battaglione Universitario, al quale appartenne. L'O. si dimostra contrario a simili raccolte, giacchè a p. 252 dichiara che non gli è permesso dar le biografie di tutti i soldati, « nè sarebbe d'alcun interesse un meschino elenco di essi ». Or a noi sembra, che si sconfinirebbe in una storia della Campagna con le biografie di tutti i soldati, ma non con l'elenco di essi.. Crediamo, invece, simile storia possa divenir veramente opera bella e completa, quando, fondandosi su tutte le fonti edite ed inedite e condotta con metodo rigorosamente scientifico, tenga conto di tutti gli elementi possibili, dia il succo e l'indicazione precisa di tutte le testimonianze, assegni ai fatti, secondo l'importanza e la natura loro, il posto e lo spazio che meritano nell'edifizio, perchè questo riesca in ogni sua parte armonicamente disposto. Certo che un solo volume non basterebbe a ciò; ma si hanno nella storia avvenimenti, pei quali mai si appaga nei popoli il desiderio di conoscere anche i particolari più minuti. Dirà l'O. che un tale lavoro non era nelle sue intenzioni; ma, in tal caso, potea concepire altrimenti l'opera sua, dare, ad esempio, nel testo soltanto la sostanza dei documenti sobriamente esaminati e discussi e relegarne, poi, la massima parte nell'Appendice.

Detto cosi liberamente il nostro parere circa i difetti dell'opera, più grato assai ci resta additarne qualche non piccolo pregio.

L'O. ha inteso tener conto di tutti gli elementi che costituiscono la storia, lontano così da coloro i quali portano in essa i criterî e le passioni dei nostri giorni. Nel primo capitolo, infatti, egli osserva sotto il movimento liberale « un bassofondo di vita economica». Allude, crediamo, all' anarchismo che tanto spavento metteva nei buoni e pacifici cittadini, i quali portati, per naturali disposizioni ataviche e per secolare consuetudine del nostro paese, al desiderio di vivere libero, pacato, civile, esitavano davanti alle nuove idee, vedendole spesso bandiera alla peggior genia per le azioni più nefande. Basti dire che Bettino Ricasoli, Gonfaloniere, scriveva il 23 marzo a Leonida Landucci, Prefetto di Firenze, credere << necessaria una vigilanza attivissima dei carabinieri, special<< mente diretta a prevenire che foglietti eccitanti lo spirito pub<«<blico, si affiggano per i muri »; « necessario il fare prontamente << murare ogni porta che sia intorno al palazzo del Podestà, salvo

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