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UNA ROMANZESCA BIOGRAFIA

DEL MARCHESE UGO DI TOSCANA

Per primo il Davidsohn nelle sue Ricerche (1), che sono un tesoro di utile erudizione, a proposito della leggenda del marchese Ugo, parlò della vita di lui scritta dal notaio Andrea nell'anno 1345, contenuta nel ms. della Biblioteca Nazionale Conv. 1. 2641, già posseduto dalla Badia Fiorentina. Ed io, avendo avuto occasione di esaminarla, trovai ingiusto l'obblìo in cui, e prima e dopo il Davidsohn, essa fu lasciata, e mi parve utile di pubblicarla. Già essa contiene notizie, probabilmente vere, che non ci pervennero per altra via, e prima di tutte quella relativa a Roberto, maestro, e cardinale della chiesa di Ravenna: due qualità così poco intese dall'autore della Vita, che egli nel seguito di essa trasformò quel personaggio in un dotto dignitario della Chiesa Romana; mentre si sa che in Ravenna, come altrove, così appellaronsi già i canonici della cattedrale. Ora è forse questo il primo anello di una catena di fatti fin qui inesplicati, ed assai importanti per la storia del diritto (2). Cominciava siffatta catena dai rapporti della chiesa di Ravenna col monastero di Marturi, dove migrò probabilmente da quella città il famoso manoscritto delle Pandette, che poi andò a Pisa e quindi a Firenze; continuava colla dedica di un ms. delle Exceptiones Petri a Guglielmo conte di Firenze; poi colla

(1) Forschungen zur älteren Geschichte von Florenz, Berlino, 1896, p. 31. (2) A questi io ho già accennato nel mio scritto sullo Studio di Bologna nei primi due secoli della sua esistenza, Bologna, 1902.

ARCH. STOR. Ir., 5." Serie.

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richiesta solenne fatta dai Fiorentini ai dottori Ravennati del loro parere sul computo dei gradi di parentela; e quindi colla prima comparsa nella collezione di Anselmo da Lucca dell'Autentico, venuto da Ravenna; senza arrestarsi qui. Il fatto per altro che quel Roberto, il quale verso il 1000 certo insegnava nello Studio di Ravenna allora risorto per opera degli Ottoni, era parente di Ugo, non so se dipenda dall'essere costui di origine ravennate, o piuttosto si colleghi ad altri fatti, che accennerebbero ad una ingerenza dello stesso Ugo nelle cose di Romagna, come la concessione da esso fatta ad altro suo parente dell'abbazia di Galeata (1). E veramente quando si vede che anche il successore di lui, Bonifacio, andò a Ravenna con un esercito, non già come nemico, ma come mezzo padrone (2), siccome po

(1) Debbo confessare che questa affermazione io traggo soltanto dalla reminiscenza di una antica notizia contenuta in un ms. della Biblioteca Nazionale fiorentina, il quale ora non riesco più a trovare: e che quindi la memoria potrebbe anche ingannarmi.

(2) In un rifacimento della Vita di S. Severo (cfr. Ann. Boll., XI, p. 337) uno scrittore contemporaneo così si esprime: «Heinrici iam << sub imperio quidam Tuscorum marchio, nomine Bonifacius, veniens << Ravennam, circa deiecta dirutae classis moenia cum sua militia occu<< pavit hospitia. Cumque ecclesia sancti Severi illis proxima habere<< tur, nullam ei reverentiam habuere » (ms. della Bibl. Naz., C. S. A. 1, 1213). Ora il benemerito editore degli Statuti di Ravenna, sig. SILVIO BERNICOLI, mi avverte che a p. 63 del vol. n. 16 dell'Archivio di Classe, presso l'Archivio Comunale di Ravenna, in un documento del 1261, citato anche dal FANTUZZI, Mon. Rav., vol. II, p. 285, n. 134, leggesi: «< apud «< monasterium Sancti Severi dudum Classis in palacio condam domini « Bonifacii ». La situazione di questo palazzo, che già aveva appartenuto a un signore di nome Bonifacio, rende verosimile, che esso fosse quello stesso occupato già dal marchese di Toscana, così appellato quando avvenne il miracolo di S. Severo. E allora da codesta proprietà uscirebbe rafforzato il concetto di una legittima intromissione del medesimo nelle cose di Ravenna: tanto più se trattasi, come pare, non già del successore immediato di Ugo, che avrebbe potuto essere di famiglia ravennate, ma del padre di Matilde. La scelta fra i due dipende dal ritenersi l'imperatore Enrico qui nominato il secondo o il terzo. Ad ogni modo è da considerare, che Firenze, quando aveva chiusa da Siena, da Lucca e da

teva fare quasi un secolo dopo il marchese Corrado (1); vien fatto di supporre che, per la natura ecclesiastica della signoria arcivescovile di Ravenna sulla Romagna, il marchese di Toscana fosse il protettore armato di quella regione, e di questa protezione si servisse per spadroneggiarvi: e per converso l'arcivescovo di Ravenna esercitasse sulle chiese di Toscana una ingerenza, di cui gli effetti apparvero al tempo della guerra delle investiture, quando le città principali, come Lucca e Pisa, seguirono l'antipapa Guiberto: e di cui le vite di santi ravennati, contenute nei manoscritti toscani sorti tra il secolo XI e XII, sono un indizio (2). La notizia di maestro Roberto trovavasi forse in una vita, conservata nella Badia, di quell'eremita Eugenio, anche lui d'altronde ignoto, e di cui il nome potè ispirare la nota falsificazione di un antico santo fiorentino (3). Ma quand'anche maestro Ro

Pisa, la via al mare mediterraneo, doveva provvedersi del necessario dal porto di Ravenna; e che i veredarii ricordati da S. Pier Damiano accennano a una specie di servizio postale tra le due città.

(1) Il MURATORI nella dissertazione VI dell'Ant. it. (v. I, p. 316) pubblica un documento dell'anno 1129, dove costui compare come Ravennatum dux et Tuscie preses ac marchio.

(2) Alludo, oltrechè alla Vita di Severo, a quelle di Apollinare, Vitale, Barbaziano, Ilaro, e ad altre ancora. Ma poi è anche interessante il vedere come, nel secolo XI, un abbate del monastero Classense si rivolga a un ecclesiastico fiorentino per avere da lui la Vita di Santa Reparata (cfr. Annali Cam., II, app. XIV).

(3) La vita di S. Eugenio, contenuta nel cod. Laur. pl. XXVII, 1 a cc. 141-43, è attribuita dal DAVIDSOHN, op. cit., p. 71, coll'altra di S. Zanobi, che ivi la precede, al sec. XI: mentre il RISTORI (Della venuta e del soggiorno di S. Ambrogio in Firenze, in Arch. Stor It., 1905, fasc. 4.) le crede del principio del XIII. A me, per molti indizi, sembra probabile che le due vite, destinate a riannodare alla ambrosiana le origini della chiesa fiorentina, siano sorte sulla fine del secolo XII sotto l'influenza bolognese, e per effetto della lega lombarda: come già la vita di S. Petronio in Bologna. È poi curioso, che come fratello di Eugenio compaia in esse un personaggio, ugualmente immaginario, di nome Crescenzio. Secondo me, anche costui deve essere venuto fuori da quella vita dell'eremita Eugenio, nella quale era nominato, come nel cap. 1 della nostra di Ugo, il sostenitore dell' antipapa Giovanni.

berto non fosse esistito mai, la sua comparsa nella leggenda del marchese Ugo fra il secolo XI e il XII giacchè avanti la metà del XII i rapporti tra Firenze e Ravenna si spezzarono e quindi cessò ogni ragione d'inventare quel personaggio avrebbe sempre un

certo valore.

La seconda notizia, fornitaci da Andrea, è che Ugo non morì già in Firenze, come dice il Villani, ma in Pistoia, dove era andato a reprimere una sedizione. Essa è certamente vera: ad onta della comparsa di quei due tedeschi, che potrebbe collegarsi alla pretesa provenienza d'oltr' alpi del marchese, o che forse determinò essa stessa la credenza alla origine esotica di Ugo. Molto facilmente, secondo l'uso dei monasteri d'allora, il fatto trovavasi registrato o in un necrologio, o in un catalogo degli abbati del monastero da Ugo fondato. E se è vero, la sommossa di Pistoia deve essere connessa al malcontento dei nostri, che scoppiò poi dopo la morte di Ottone III, e diede luogo alla elezione di Arduino: malcontento, che di qui si vede non avere invaso soltanto l'Italia superiore.

Ma il maggior pregio della nostra vita nasce dalla concordanza di essa colla Cronaca del Villani; concordanza la quale fa necessariamente supporre che il notaio Andrea abbia copiato il Villani o gli autori dei quali il Villani si è servito. Per altro, un accurato paragone della Vita e della Cronaca mostra che soltanto la seconda ipotesi può essere vera. Ad esempio, se il nostro avesse attinto dal Villani (IV, 3) la notizia dei sette elettori dell' impero, dopo averli nominati, si sarebbe- fermato lì, senza andare a cercare quei versi, che difficilmente egli capiva. Ma poi, tra la sua esposizione e quella del Villani ci sono differenze essenziali, che si spiegano soltanto ammettendo che quest'ultimo si sia liberamente servito di notizie, che il nostro letteralmente copiò. E allora la Vita, conservandoci anche solo pochi

frammenti delle scritture, da cui è attinta la nostra maggiore cronaca del Medio Evo, acquista un grande valore letterario, per la ignoranza quasi completa in cui ci troviamo delle fonti fiorentine del Villani (1): e ci permette di apprezzare meglio l'opera di lui. A prima vista non pare escluso, che in altri luoghi il nostro possa avere anche copiato il Villani: ma vi è sempre qualche differenza, che rende questa supposizione inammissibile. Ad esempio, là dove si parla delle famiglie dei cavalieri creati dal marchese Ugo, il nostro ha l'espressione più arcaica dei figli della Bella, per coloro che il Villani (IV, 2) più modernamente chiama quelli della Bella. Così anche il Villani (IV, 30), a proposito degli incendî del 1115 e del 1117, dice, per incidente, che per detti fuochi <<< arsono in Firenze molti libri e croniche, che più pie<<namente facieno menzione delle cose passate della << nostra città di Firenze, sicchè poche ne rimasono: << per la qual cosa a noi è convenuto ritrovare in altre << croniche autentiche di diverse città e paesi quelle di << che in questo trattato è fatto menzione in gran parte ».

(1) La sola ricerca seria, benchè imperfetta, sulle sorgenti del grande cronista è quella dello SCHEFFER BOICHORST (Florentiner Studien, Leipzig 1874, pp. 1-21), il quale trova che quello si servì di Martin Polono, di Tommaso Tosco, della Cronaca di S. DIONIGI, e del Conquisto di Oltremare le quali, osservo io, appartengono a quelle Croniche autentiche di altre città e paesi, ricordate dallo stesso VILLANI, nel passo riportato nel testo. Di fonti fiorentine lo SCHEFFER BOICHORST potè indicarci solo la Vita di S. Giovanni Gualberto e le misteriose Gesta Florentinorum, le quali si vollero più tardi, con poco successo, determinare più da vicino (cfr. VILLARI, I primi due secoli della storia di Firenze, 2.a ed., I, 47). Ora io credo, che invece di queste, o accanto a queste, si debba porre una Cronaca fiorentina scritta certo nella seconda metà del secolo XIII, quando, per la disputata successione all'impero, le notizie sugli elettori del medesimo cominciarono a destare molto interesse in Italia: e non so se prima della elezione di Rodolfo d' Asburgo, nella quale il settimo voto, spettante alla Boemia, fu attribuito alla Baviera, unita allora al Palatinato. Certo è interessante il vedere, che codesta unione, cominciata nel 1253 e ricordata dal Villani, non doveva essere ancora menzionata nella nostra Cronaca.

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