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La notizia dello incendio delle vecchie cronache fiorentine, se ha fondamento di vero, qui è certamente spostata: perchè nel 1115 siffatte cronache non esistevano ancora. Invece il nostro, assai più fedelmente e più opportunamente, riproduce l'affermazione di un cronista anteriore, che gli annali di Firenze, accuratamente distinti dalle cronache, andarono perduti per le guerre intestine, gl' incendi e le alluvioni. E ciò forse getta una luce insperata sulla compilazione, semiufficiale, dei vecchi annali fiorentini.

Anche la disquisizione sulla vecchia Firenze, che il Villani in parte ampliò, perchè riuscisse più esatto e perfetto il paragone con Roma, e in parte rammodernò, perchè diventasse più intelligibile ai contemporanei, si trova certamente nella nostra vita in una forma più antica. Ed io sospetto che la prima origine di essa sia una antichissima descrizione sorta nel secolo XI, e parallela a quella di Modena aggiunta alla vita di S. Geminiano, ed anche essa forse contenuta nella vita dell'eremita Eugenio. Ed interessante è sopratutto ciò che ivi si dice del Duomo della città (1).

1) Che io sappia nessuno ha ancora indagato perchè domus abbia preso il significato di chiesa cattedrale. È da escludere senz'altro dal concetto di questa quello di casa di Dio, applicabile ad ogni altra: e si deve piuttosto pensare alla casa del vescovo e del clero, che deve essersi considerata come proprietà del santo titolare, e più tardi anche del patrono della chiesa. E difatti nella nostra Vita si nomina la domus episcopatus florentini, come quella che diede il nome alla porta Domus sive Episcopi. Ma poi la denominazione della canonica deve essere passata alla chiesa per un rivolgimento connesso alla costituzione del comune: perchè cioè il santo, sotto l'egida del quale questo si costituì, si considerò come patrono del sacrario comune di tutti i cittadini, più che dell'abitazione del clero: e quindi, ad esempio, domus sancti Iohannis, o semplicemente Domus per eccellenza, parve dover essere quella, in cui S. Giovanni in ispirito presiedeva la radunanza del popolo fiorentino, e non l'abitazione del vescovo. Ma la questione merita un esame più approfondito. E interessante è anche il tentativo di una spiegaziane filologica fatto dall'autore della descrizione; spiegazione che si capisce solo ammettendo, che il

Che in ogni modo la nostra Vita sia tolta quasi letteralmente da scritture più antiche, ce lo afferma il suo autore, quando dice che il suo opuscolo fu registrato, cioè a dire, secondo lo stile notarile del tempo, copiato, o al più compendiato, da altre cronache, e da documenti autentici. E poichè fortunatamente questi documenti esistono ancora o in originale o in copia, così che si può accertare la verità di quanto il notaio Andrea scrisse di essi, è da credere che uguale scrupolo egli abbia adoperato nella raccolta delle sue notizie, e che solo la parte réttorica della narrazione sia sua; benchè anche qui, ad esempio, quella descrizione della confessione del marchese sembri opera di un frate, più che di un notaio: e quindi sia verisimile, che anche essa sia stata scritta da un monaco della Badia. E allora potrebbe anche l'abbate Niccolò aver voluto pubblicare, sotto il nome di uno scrittore riputato, una vita del fondatore della Badia stessa, rimpastata entro il convento coi materiali che ivi si avevano, e il notaio Andrea avervi messo poco o niente del suo, fuori della prefazione. Per altro ogni ipotesi di questo genere sarebbe azzardata. Niente poi vieta di credere, che questo Andrea sia il celebre Andrea Lancia noto per le sue opere volgari; e che, essendo stato incaricato della versione degli statuti fiorentini (1), doveva essere creduto

primitivo testo avesse: quae dicitur Domus ex eo quia fuit aedes Martis. E poichè ad aedes deve essere più tardi stata aggiunta la interpretazione casa sive domo, nacque, colla correzione di domo in domus e la omissione delle parole precedenti, la redazione nostra, e con altre e peggiori storpiature, successivamente accumulatesi, quella, assolutamente priva di senso, del Villani: « E infra la città, presso la porta, casa sive << domo, interpretiamo il duomo di sancto Giovanni, chiamato prima casa « di Marti », che dovrebbe presso a poco suonare così: « E infra la città, << presso la porta, il duomo di santo Giovanni, chiamato prima aedes, che <«< interpretiamo casa sive domo, di Marti ».

(1) Questa notizia, come altre che mi furono assai utili, io debbo alla gentilezza e alla dottrina del dr. DEMETRIO MARZI, che da anni sta preparando l'edizione del Villani pei RR. II. SS.

anche pratico della lingua latina. Certo è che tra i numerosi atti notarili di questi tempi, rogati nella Badia fiorentina o per essa, io non ne ho trovato nessuno, che sia opera di un notaio Andrea. E quindi non mi par verosimile, che costui per ragione della sua professione fosse in rapporti colla Badia stessa. Corro perciò col pensiero ad Andrea Lancia: giacchè dalla mancanza dei protocolli di esso nell'archivio notarile di Firenze deduco, che egli non esercitasse la professione di stendere atti per privati, ma fosse, come si direbbe ora, impiegato e, a tempo perso, scrittore. Anzi suppongo, che egli non fosse neanche fiorentino di nascita, e che per questo si appellasse qui Andrea, notaio (cioè segretario) fiorentino, e non Andrea fiorentino, notaio.

Nessun indizio su di lui può fornirci il nostro manoscritto, che non è autografo, come provano gli spropositi di cui ribocca, e neanche contemporaneo dell'opera, benchè posteriore di poco alla composizione della medesima. E veramente nell' explicit, il Marchese Ugo è detto di Brandeburgo, e non già di Magdeburgo come nel testo. Ora il Davidsohn (1) osservò già, che la fondazione dell'arcivescovado di Magdeburgo per opera degli Ottoni, dei quali Ugo fu creatura, può avergli fatto attribuire quel marchesato: ma che fu il Villani il primo a crearlo marchese di Brandeburgo: « perocchè in Alamagna », scrive egli, « non vi ha altro marchesato ». Ora, credo io, quando l'opera del Villani subito dopo la morte di lui, come accade sempre, fu venuta in fama ed in credito, un monaco della Badia deve avere corretto l'explicit dell'opuscolo di Andrea: e, dopo questa correzione, deve essere stata eseguita la copia a noi pervenuta.

Non credo per altro, col Davidsohn, che nella iscrizione nel monumento eretto ad Ugo nel 1487 sia

(1) Op. cit., p. 31.

stato inciso Andeburgensem, per prendere un mezzo termine tra le due forme. Già l'intestazione del secondo capitolo del nostro manoscritto ha et Andeburgensem : e l'originale doveva avere Mandeburgensem, forse alterato anche in altre copie in Andeburgensem. E quindi mi par certo, che solamente per effetto della nostra Vita, e fors❜anche del nostro manoscritto, sia nato l'errore dell'iscrizione. In ogni modo è notevole il fatto che questa si trovi copiata in caratteri maiuscoli prima della Vita: e che quattr'anni dopo la erezione del monumento, cioè a dire nell'anno 1491, un rifacimento umanistico di essa sia stato compinto da Lorenzo Ciati per ordine dell'abate Celso. Questo rifacimento è contenuto nel ms. della biblioteca naz. C. S. B. 2. 2883, e, in copia posteriore, nell'altro segnato D. 7. 392, e sarà forse pubblicato da me quandochessia. Il Ciati, secondo l'uso dei contemporanei, tratta con molto disprezzo il suo antecessore, di cui l'opera, non solo per l'eleganza dello stile, ma anche per la correzione della lingua, e, diciamolo anche più chiaramente, per l'osservanza della grammatica, lascia veramente a desiderare: forse perchè Andrea Lancia, se veramente la compose lui, era molto più avvezzo a maneggiare il volgare. Per altro la sua Vita di Ugo, interessante anche letterariamente, perchè ci rappresenta il passaggio dalla leggenda pia al romanzo cavalleresco (1), doveva per la forma tradizionale di quella, e per la sua origine monastica, essere scritta naturalmente in latino.

Bologna.

AUGUSTO GAUDENZI.

(1) Il BACCETTI (Septimiana Historia, p. 8) scrive che Andrea « adeo « minuta quaeque in ea narratione religiose persequitur, ut anilibus fa« bulis haud multum videatur absimilis ». Ma ne accetta il contenuto come vero, e a pp. 100 e segg., lo compendia e lo intreccia colla favolosa storia degli Ubaldini. E l'UGHELLI (It. Sacr., III, 32-34) riporta la narrazione del Baccetti quando parla del vescovo Sichelmo, dal nostro trasformato in Euschelmo.

Epistola Andree notarii florentini domino Niccolao abbati monasteru sancte Marie de Florentia de hedificatione dicti monasterii.

Venerabili in Christo patri et domino, domino Nicolao monasterii sancte Marie de Florentia ordinis sancti Benedicti abbati dignissimo, Andreas, notarius florentinus, cum recommendatione se ipsum. Votum vestrum et monachorum Deo acceptum et hominibus gratum, quo exigitis de constructione et conditore vestri prefati cenobii aliquod opusculum fieri ad perpetuam rei memoriam et insignis devotionis condictoris affectum et beneficentiam adnotandam, adimplere curavi. Nec leve fuit, tam propter imbecillitatem et imperitiam meam, quam propter inopiam rerum necessariarum ad huiusmodi opus fabricandum. Nam qui in latino cronicas composuerunt, nullam in eorum libris de hoc mentionem habuerunt, utpote maioribus insudantes: annalia civitatis Florentie, ut plurimum, sunt consumpta propter intestina bella, ignes (1) et alluviones, et etas hominum que ab eorum maioribus gesta huius urbis percepit diu extincta est. Eapropter, si quid in presenti libello exactum, tamen non solum ex unico libro sed ex pluribus, vobis gratum invenerit vestra paternitas, ex hoc largitori omniun bonorum Deo et ipsius matri gloriose virgini Marie gratias referat: reprehensibilia et imperfecta que in eo sunt, infirmitati mee deputet. Sapientiam vestram omnipotens Deus semper augeat, et monasterium ipsum ac monacos et facultates eiusdem in finem et terminum, ad quem hedificantis intentio se direxit, dirigere dignetur, qui vivit et regnat in secula.

(1) VILLANI, IIII, 30: « Negli anni di Cristo MCXV del mese di << maggio s'apprese il fuoco in borgo Santo Appostolo, e fu sì grande e <«< impetuoso, che buona parte della città arse con grande danno de' Fio<< rentini.... E l'anno appresso del MCXVII anche si prese il fuoco in Fi«< renze, e buonamente ciò che non fu arso al primo fuoco arse al secondo.... « Et per l'arsione de'detti fuochi in Firenze arsono molti libri e croniche, <«< che più pienamente facieno memoria delle cose passate della nostra «< città di Firenze, sicchè poche ne rimasono. Per la qual cosa a noi << è convenuto ritrovarle in altre croniche autentiche di diverse città << e paesi quelle, di che in questo trattato è fatto menzione, in gran << parte ».

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