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a loro parrà et piacerà cavare et fare cavare de dicta Città et suo contà forza et destrecto grano et omne altra generatione de biada che recoglieranno et fosseno recolti in le loro proprie possessione overo che fossero conducte a lavoritione overo a coptimo sì per mare commo per terra senza alchuno pagamento et datio et gabella passo o vero tracta. Placet de licentia superioris quod cives et Comitatus solvant quinque bononenos pro sarma et de aliis bladis duos bononenos cum dimidio pro salma. Ja. ep. per. gub.

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Lo stesso capitolo sulla fiera è un plagio.

Cap. XIV. Item se adimanda secondo le nostre consuetudine in questa nostra Cità octo di nante octobre e poi la festa de santa maria magdalena solemo fare la fiera, possiamo fare dicta fera salva et sigura in dicta Cità et possa venire de omne rasone de mercantia senza pagamento alchuno datio et gabella et omne homo possa stare salvo et siguro per debito et per omne maleficio excepto non fusse ribello de la Santa Romana Ecclesia et de nostra Comunità. Placet excepta rebellionem vel homicidium. Ja, episc. per. gub.

Cap. XXI. Item quod secundum consuetudinem dicte Civitatis a die sancti Francisci per totum mensem Octobrem quotannis in Civitate Senogalliensi possint celebrari Nundine salve et secure ad quas omne genus mercium portari et exinde extrahi possit sine aliqua solutione alicuius gabelle et quilibet homo venire et stare libere et secure a debito et quocumque maleficio possit exceptis homicidis et S. D. N. et sancte Romane ecclesie aut ipsius Comunitatis rebellibus. Placet S. D. N. ut servetur quod hactenus fuit servatum.

Si farebbe un torto inescusabile all'intelligenza di chi legge a voler insistere sulla affinità e, diciamo pure, identità e necessaria dipendenza di questi due capitoli, che, ove

si tolga la diversa determinazione del tempo della fiera di S. Francesco e l'aggiunta nel primo della fiera della Maddalena, si corrispondono parola per parola.

Un ultimo scrupolo tuttavia, dopo tutta l'esposizione che precede, potrebbe sorgere ancora: che i capitoli della convenzione con Leone X derivino essi dai capitoli della convenzione vannucciana. Due brevi ultime osservazioni valgano a dissiparlo. In questo caso la logica ci suggerisce, e il fatto ci dimostra, che invece d'una convenzione, la quale nei particolari ripeta interamente la vecchia, si sarebbe ricorso a una conferma pura e semplice della precedente. Infine il citato anonimo della Cronaca Passeri, come s'è già accennato, ci dà un'idea del contenuto della convenzione vera (che noi non possediamo, ma che forse è possibile rintracciare nell'archivio vaticano), là dove dice che papa Paolo II, solo dopo non poche riluttanze vinte dal cardinal di Teano, assenti a ricevere gli ambasciatori di Senigallia e a prometter loro: << che tutte le libertà, esentioni, che loro avevano dal sig. Sigismondo li fossero rifermate, e più di tutte le gabelle e <<< datii della terra fossero loro, e che loro havessero a pa«< gare al papa 50 ducati d'oro di Cammera et che li pascoli, « el sale, e le tratte delli grani fossero della Cammera ». All'infuori di quell' unico punto di contatto a proposito delle gabelle, è possibile ravvisare qui la convenzione vannucciana, quale ce la danno le copie del volume « Privilegi e Chirografi diversi » ?

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Messe da parte così e la tradizione leggendaria e il famoso capitolo XIV del 1464, quando e per qual modo ebbe origine la fiera di Senigallia? Non c'è forse bisogno di premettere che, dall'aver dimostrato falso il detto capitolo coll'intera convenzione, consegua necessariamente che intorno a quell'anno 1464, anni prima, anni dopo, non si avesse in Senigallia traccia di fiera. E precisamente, prescindendo dalla attestazione vaga degli Statuti alle rubr. 35 del libro II e 33 del libro V, delle quali si può dir solo, quanto al tempo di formazione, che sono anteriori al 1480, la prima testimo

nianza, cui sino a prova contraria non possiamo negar fede, si riferisce all'anno 1472. L'anonimo della Cronaca Passeri, sotto questo anno, narrando di certi fuorusciti, che s'erano accordati con Giacomo Piccolomini signore di Montemarciano per tentare con un colpo di mano un mutamento del governo municipale, nomina esplicitamente la fiera della Maddalena in questo periodetto: « Dubitorno (gli Anziani) della fiera, <«< che è al di 22 di luglio, il dì di S. Maria Maddalena, et << fecero buone guardie ».

Di contro a questa precisa e recisa affermazione, sta una notizia altrettanto precisa, ben più particolareggiata e sopratutto confortata dai pochi documenti, che sugli inizi della fiera c'è stato dato di raccogliere. Il già citato biografo di Giovanni della Rovere, fra Grazia di Francia, che, come già dicemmo, scrive nel 1522, dopo aver magnificata l'opera dello stesso Giovanni quale secondo restauratore della città, attribuendogli in ciò anche meriti che vanno a Sigismondo Malatesta, aggiunge: « Questo preclarissimo principe con li« cenza della sede apostolica haveva cominciato una bellis« sima fiera, la quale si faceva del mese d'ottobre, quando li <«< mercatanti tornavano da Recanate et a quella era dato << buono principio et durò parecchi anni; ma per la variation << de' tempi et per la mutation dello stato, al presente è la«<< sciata. Un'altra fiera ordinò che si fa il dì di S. Maria Ma<«< dalena, questa ancora si mantiene, ma non già così ampla <«< come si soleva fare ».

Per fra Grazia dunque Giovanni della Rovere prima ha istituito («< cominciato ») la fiera di S. Francesco d'ottobre, che, dopo essere stata in fiore « parecchi anni », era andata scadendo, finchè nel 1522 non si celebrava neanche più; poi ha « ordinato » quella << che si fa il di di S. Maria Madalena », che nel 1522 era ancora in vita, ma già scaduta, non più «< cosi ampla come si soleva fare ».

La sua testimonianza, abbiamo detto, è confortata da documenti: sono questi i Libri delle spese della Comunità, i Bollettarî, oggi tutti, meno che uno, andati perduti, ma dei quali per mano di un benemerito ordinatore dell'Archivio nel XVIII secolo, Francesco Pesaresi, abbiamo in forma di repertorio così copiosi e particolareggiati spogli, che il danno

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della perdita è quasi insensibile. E questi Bollettarî ci mostrano infatti come la fiera di S. Francesco si celebrasse dal 1493, al più tardi, sino al 1508 e forse al 1513: nel qual periodo d'anni essa obbligò la comunità a fare spese per la costruzione di baracche da affittare e pel mantenimento d'una guardia armata (1). Dopo il 1513 di essa non troviamo più traccia, salvo che nel trascritto capit. XXI della convenzione con Leone X. Il contenuto di detto capitolo, anzi, potrebbe a tutta prima far sospettare della veridicità di fra Grazia, secondo il quale nel 1522 la fiera di S. Francesco era abbandonata, mentre nel 1519, tre soli anni innanzi, essa era stata riconosciuta e confermata. Ma, non si dimentichi che, di solito, proprio per le istituzioni deboli e cadenti si sollecitano e si accattano aiuti e riconoscimenti dall'alto. D'altra parte è un fatto che dopo il 1519 noi la perdiamo completamente di vista, e per sempre. La fiera della Maddalena, al contrario, lo ricaviamo da questo libro di spese - fu celebrata nel 1506 e forse nel 1513 e, secondo la testimonianza dei Consigli, anche nel 1515. O diciamo meglio: mentre sino al 1506 dai Bollettarî non apprendiamo nulla al riguardo di essa, il che non esclude che fosse celebrata anche prima, sappiamo soltanto che in questi anni essa diede luogo a preparativi speciali. Dopo il 1515 perdiamo di vista anche la fiera della Maddalena, ma momentaneamente: la ritroviamo viva e vitale al 1535 (2) per non smarrirne la traccia più mai, sino alla sua fatale decadenza e all'agonia, che si trascina tutt'ora, ai nostri giorni. Il che mostra che dopo il 1515 essa non era morta : si « manteneva »; solo « non già così ampla come gli anni innanzi.

La testimonianza di fra Grazia va pertanto accolta e ritenuta come attendibilissima. Ma allora come accordare questa di fra Grazia con quella dell'anonimo della Cronaca Passeri, che paiono contraddirsi? In una maniera semplicissima. L'« ordinare » che Giovanni fece, secondo fra Grazia, la fiera della Maddalena, va inteso non nel senso che primo si pre

(1) Repert. dei Bollettari, voce Fiera S. Franc.

(2) Lettere d. Sereniss. Duchi, vol. IV, e. 16 (Arch, com, di Senig.).

senta, di comandare, indire e quindi istituire, ma in quello di regolare con speciali ordinanze le norme della fiera, codificarne insomma gli usi già in vigore. E l'aggettivo « ampla » deve, secondo noi, riconnettersi a questa codificazione. In altri termini la fiera doveva già esistere di fatto; Giovanni si dovè limitare a riconoscerla e fisssarla stabilmente per decreto, e insieme assicurarle larghe franchigie.

Che si debba interpretare in questo senso la notizia di fra Grazia ce lo suggerisce, non solo la notizia della esistenza di fatto della fiera sin dal 1472, ma anche una breve osservazione e due constatazioni di fatto. Istituzioni del genere della fiera, per modesta che questa sia, non si creano e tanto meno s'impongono per decreti ed ordinanze. Esse nascono e vivono in quanto rispondono a determinate condizioni: l'opera d'un principe non può che favorirne il sorgere e proteggerne con accorte disposizioni lo sviluppo. La leggenda di Sergio poi, se anche mancassero le testimonianze dell'anonimo della Cronaca Passeri e di fra Grazia, ci ha già informato che la fiera di Senigallia è sorta dalla festa della Maddalena. Ora tale festa deve risalir ben lontano nelle costumanze cittadine, se gli Statuti, che nel loro complesso sono indubbiamente anteriori alla signoria di Giovanni, tassativamente dispongono che sia celebrata con una solennità, che ha solo riscontro in quella del Corpus Domini.

È stato giustamente osservato da tutti gli scrittori della fiera come l'affluire della folla per la festa inducesse mercanti e venditori ad accorrervi anch'essi colle loro merci. E se non bastasse l'induzione astratta, abbiamo anche una prova diretta e chiara del fatto. La prima attestazione che della fiera ci porgono i documenti senigalliesi, coincide per l'appunto, e non certo per caso, colla più solenne e pomposa festa della santa, di cui a quei tempi s'abbia memoria per Senigallia: quella del 1506. Nel qual anno, ci dicon gli spogli dei Bollettarî, « ad onorar la festa » furon dalla Comunità chiamati nientemeno che « 16 Trombeti » per un fiorino l'uno, « e più... 2 Tamburi e 2 Ribachini vevuti da Jesi », i quali si ebbero fiorini 18, «2 Tamburi per l'armata venuti dalla Serra de'Conti », che furon pagati 20 fiorini, e finalmente anche un arpista, « Bartolomeo dello

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