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solo di << multa saevitia erga populum sibi subiectum » (1), e la Vita Mathildis Reginae genericamente lo dice « perversus » (2), la Translatio Sancti Epiphanii ribadisce la taccia di avaro (« ipse Beringarius avaritiae exarsit aestu ») (3).

Un complesso di testimonianze attribuisce dunque al re italiano, come difetti suoi principali, l'ingordigia e l'avarizia. Liutprando nel 949 sopportò a Costantinopoli gravi spese, che i doni avuti in ricambio da Costantino VII (4) non valsero forse a compensare. Ora la rottura tra Berengario e Liutprando avvenne poco dopo il ritorno di quest'ultimo dalla capitale bizantina. È forse illegittimo supporre che la questione economica abbia avuto nel fatto una parte non piccola? È naturale che Liutprando sollecitasse compenso delle spese, in forma immediata o mediata, come sarebbe stata la concessione di qualche ricco vescovato o donazione di beni. L'insuccesso e la delusione possono avere provocato la rottura, gettando Liutprando nella fitta schiera dei fautori di Adelaide (5). Solo un motivo politico infatti potrebbe spiegare l'estendersi della perseeuzione anche alla famiglia del nostro autore. Dato il silenzio di Liutprando, non premeditato, ma dovuto a circostanze ignote (6), le congetture fatte non mi paiono destituite di fondamento.

Torino.

ARTURO SEGRE.

(1) Mon. Germ. hist., SS. III, 553.

(2) Idem, SS. IV, 293.

(3) Idem, SS. IV, 248.

Nella Vita Matildis di DONIZONE (ibid.,

SS. XII, 355 ecc.) non trovo aggettivi contro Berengario.

(4) LIUTPRANDO, Antapodosis, libro VI, cap. X, p. 193: « .... palliumque magnum cum aureorum libra, quam libenter dedit, libentius accepi ».

(5) HROTSVITHA, De gestis Oddonis, vv. 482-83 p. 328), dice che in Italia sola << pars quaedam plebis fuerat » fautrice di Berengario, mentre il resto era ligio ad Adealide. WIDUKIND, libro III, cap. VII (p. 92), accenna al tatto di Adelaide, che inquietava Berengario (« Veritus autem singularis prudentiae reginae virtutem.... »). V. anche WIMMER, Kaiserin Adelheid, Gemahlin Ottos des Grossen in ihrem Leben und Wirken von 931-973, Regensburg, Habbel, 1897, p. 12, oltre al KOEPKE-DÜMMLER, Kaiser Otto der Grosse (Jahrbücher der deutschen Geschichte), Leipzig, Duncker und Humblot, 1876, pp. 190-91, e FIETZ, Geschichte, p. 22.

(6) Nel libro V, cap. XXX, dell'Antapodosis (p. 116), come già nel I cap. del libro III (p. 56), s'impegna di narrare appieno le sue sventure, non tam verbis quam suspiriis ac gemitibus ».

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Rassegna Bibliografica

A. PERNICE, L'imperatore Eraclio.

Firenze, 1905 (Pubblicazioni del

R. Istituto di Studi Superiori); pp. XXVIII, 327.

È stata giustamente rimproverata agli studiosi italiani la loro indifferenza e tiepidezza per gli studî di storia e letteratura bizantina, che sono cosi fiorenti altrove, dalla Francia alla Russia, dall'Inghilterra alla Grecia, dopo il possente impulso dato loro da Carlo Krumbacher e dalla sua scuola.

Ma un risveglio si avrà presto o tardi anche nel nostro paese, a dispetto di coloro che parlano ancora di cose bizantine arricciando il naso e ostentando quel disprezzo ignorante che poteva essere scusato un secolo addietro. Fra gli uomini che possono seriamente contribuire a questo risveglio non dubito di porre in primissima linea Achille Coen, che considero maestro mio e di molti miei miglior, e che solo per la sua singolarissima modestia pochi conoscono fuori della cerchia dei discepoli e dei colleghi. Il volume che abbiamo sott'occhio è a lui dedicato, e non è che un saggio degli studî che possono compiersi sotto la guida di un tale maestro; il cui metodo rigorosamente scientifico si accompagna con una geniale larghezza di vedute e con una rara serenità di giudizio e libertà di pensiero, non senza il più sincero e meticoloso rispetto delle opinioni altrui.

Il Pernice è molto giovine, e di questa sua invidiabile qualità si risente un poco il suo libro; che, oltre a ciò, non è stato, mi sembra, soverchiamente curato durante la stampa (1). Ma, a parte

(1) È odioso fare elenchi di errori di stampa; ma era necessario avvertire che a p. 23, 1 [col secondo numero indico, quando non c'è altro segno, la nota a piè di pagina], si deve leggere 296 invece di 290, a p. 113, 2: 303, non 203, e a p. 237: 638 non 648. Inoltre, a p. 116, 1 nella citazione di Giorgio Pisida manca il numero (II) del libro, avanti a quello del verso 206. Fra gli errori di stampa più innocui fanno un brutto effetto : Zonoras (p. 28, 1 e anche 40, lin. 4), Collactio (p. vin, 2), Chronicon Pascale (p. xiv), Synopsis Satae (p. 12, 2), il Bisanzio (p. 60 in basso; sono state saltate, suppongo, le parole « governo di »). Lascio stare i soliti sbagli nelle citazioni greche, p. es., p. 27, 1 e 52, 2; ma il peggio è che in questo secondo luogo il P. propone tranquillamente di emendare (!) il testo scrivendo : τῇ γεννήσαντι, invece di τῷ γεννήσαντι.

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alcuni difetti e sviste dipendenti da queste due circostanze, possiamo riconoscere subito di trovarci davanti a una monografia storica degna di considerazione.

Il tema scelto presenta una particolare attrattiva, e insieme gravi e molte difficoltà. Il regno di Eraclio sta come a cavaliere di due grandi epoche della storia del mondo civile. Con lui, più che con Giustiniano, si può dire che l'età classica si chiude e il medioevo dell'impero orientale comincia. Le forze dell'ellenismo e della romanità si concentrano per resistere in una titanica lotta contro numerose e fiere genti barbariche. Abbattendo il colosso persiano, l'impero di Cosroe, Eraclio mostra che l'antico valor non è ancor morto; ma poco dopo è costretto a cedere davanti alla fiumana impetuosa dell'Islam.

Da questo punto l'antica Bisanzio, la città di Costantino e l'impero della Nuova Roma hanno di fronte un nuovo implacabile nemico, che in una lotta secolare finirà con l'abbatterli. Le condizioni interne dello Stato si presentano in forma quanto mai complicata ed oscura: ordinamento amministrativo e finanze, l'esercito e il clero, politica e religione sono, ad esempio, elementi che vorremmo conoscere uno per uno in modo compiuto, mentre ci appaiono strettamente avviluppati fra loro e confusi come in un quadro poco chiaro.

Il Pernice si è adoperato a portar luce ed ordine in questa massa confusa, e vi è riuscito, per quanto era possibile riuscirvi nello stato presente delle nostre cognizioni.

Le fonti della storia di Eraclio appartengono a letterature diverse. La storiografia greca ci lascia poco meno che in asso, e quindi siamo obbligati a ricorrere a cronisti armeni, siriaci, copti ed arabi. Si comprende che il Pernice si sia trovato in presenza di gravissime difficoltà, ed è meraviglia ch'egli non se ne sia lasciato atterrire.

La possibilità, infatti, che fonti orientali ancora inedite vengano da un giorno all'altro a distruggere l'edifizio faticosamente costruito è tale da far nascere quasi spontanea la convinzione che il momento di una sintesi in certi campi sia ancora molto di là da venire. E pure la storia, direi militante, non può rinunziare a sintesi provvisorie di tempo in tempo, anzi non può vivere senza di esse. E va data lode al Pernice di aver affrontato coraggiosamente tutte le molestie e i pericoli di una tale impresa. Il suo vantaggio personale in questo va al di là del fine speciale raggiunto con la pubblicazione del libro. Egli ha dovuto acuire e disciplinare le sue forze, estendere il campo delle sue cognizioni, e tentare quei rapporti con gli studî orientali e slavi, che sembrano oramai una delle condizioni più notevoli per il progresso della filologia bizantina in senso largo. ARCH. STOR. Ir., 5." Serie.

XXXVIII.

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L'esame che qui faremo dell'opera ci porterà, di tanto in tanto, a proporre qualche rettifica, o qualche lieve aggiunta; ma in questo il nostro scopo non potrà esser che quello di mostrare quanto il libro ci sia stato utile e come ci abbia invogliato a qualche ulteriore ricerca.

L'Introduzione, che comprende una ventina di pagine, è dedicata all'esame delle fonti, che il P. distribuisce in Documenti ufficiali e Scrittori. Distinzione che, in teoria, è certo raccomandabile per un principio metodico; ma che qui perde qualsiasi valore pratico, per il fatto che i pochi Documenti che possiam dire di possedere non si sono conservati come tali, ma sono riferiti appunto da scrittori. All'avvenire è riservato di schiudere anche per questo periodo nuove vie d'indagine, e non è da escludere che la pubblicazione sistematica dei documenti bizantini, quale ce l'aspettiamo dal consorzio delle Accademie scientifiche, arrechi nuovo materiale. A questo ha pensato anche il P.; solo non ha riflettuto che l'esposizione dei desiderata circa le pubblicazioni epigrafiche numismatiche e paleografiche sarebbe stata a suo luogo appunto nelle pagine che trattano dei Documenti (VIII-X) piuttosto che in coda alla trattazione degli scrittori (X-XXVI).

Una simile mozione d'ordine si potrebbe fare a proposito degli autori greci. Che fra questi sia assegnato quasi un posto d'onore a Giorgio Pisida, è cosa ben naturale; anzi, è un peccato che il P. non abbia anche saputo qui liberarsi interamente dall'antico vezzo degli apprezzamenti estetici. Ma, ad ogni modo, il poeta, anche se fa della storia in versi, si presenterebbe meglio dopo che prima dei cronografi. Ciò servirebbe anche ad eliminare l'apparente contradizione tra l'enunziato (x) che « il regno di Eraclio non ebbe uno storico » e le posteriori constatazioni (XIV) che il Chronicon Paschale è opera d'un contemporaneo di Foca e di Eraclio, e (XV) che lo scritto De Obsidione Constantinopolitana è stato composto all'incirca nel tempo in cui si svolsero i fatti narrati (626). Ad ogni modo, crediamo che il poeta avrebbe dovuto trovar posto dopo Teofane, che è la fonte più ricca e più degna di considerazione.

La trattazione storica è stata dal P. divisa in quattro libri, i cui argomenti sono: I. Le invasioni straniere nell'impero bizantino al principio del secolo VII (pp. 3-107); II. Le spedizioni di Eraclio contro la Persia (111-179); III. Le condizioni interne dell'impero bizantino al tempo di Eraclio (183-238); IV. La fine del regno di Eraclio (241-302). Questa ripartizione della materia è giustificata da ragioni di opportunità, per le quali si può passar sopra a una certa sproporzione e incoerenza logica che non è difficile notarvi. Il primo

libro, molto più lungo degli altri, contiene più di quanto il titolo promette. I primi due capitoli di esso, dopo un breve riassunto delle condizioni dell'impero da Giustino I a Maurizio, raccontano le vicende del regno di Foca e lo scoppio della rivoluzione che portò Eraclio sul trono di Costantino. Il terzo capitolo si occupa della persona del nuovo imperatore e ce lo mostra alle prese con le difficoltà di ogni genere che gli si presentavano al principio del regno. I due capitoli seguenti sono infine occupati dal racconto dell'invasione persiana e degli assalti degli Avari nel territorio dell'impero bizantino.

L'esposizione procede piana e non manca di una certa efficacia. Solo in qualche particolare sarebbe stata desiderabile una maggiore cautela nell'assodare i fatti attestati dalle fonti antiche.

Leggiamo, per esempio (p. 36), che Eraclio, risoluto ad abbattere il tiranno Foca, « si avanzò con tutte le sue navi, sulle cui antenne << sventolava l'immagine della Theotocos "non dipinta da mano « d'uomo, (¿1⁄2ɛɩpoñointos), come pegno della vittoria ». In nota le fonti sono citate così: « THEOPH. p. 298 (ex Her., II, vv. 15-16 GIORG. MON. P. G. t. 92 [leggi 110! efr. pag. XVI, n. 2], p. 895; CEDRENOS I, p. 712 ». Ora, lasciando da parte Cedreno, che coincide esattamente con Giorgio Monaco, non troviamo su questo particolare del racconto un accordo così perfetto, come il P. lascia supporre, fra le varie fonti citate. Che il passo di Teofane sia attinto a Giorgio Pisida Heracl. II, 15 sg. fu già detto dal Querci, e il P. lo ripete senza badare alla differenza notevole dei due passi fra loro e a quella, anche maggiore, fra essi da un lato e Giorgio Monaco dall'altro. Il poeta dice che nell'andar contro al violatore di vergini cioè a Foca Eraclio aveva con sè l'immagine e la protezione della Vergine immacolata, e questa gli assicurò la vittoria. Teofane, pur citando il Pisida, dice qualche cosa di diverso: le navi avrebbero portato sulle antenne urne (con reliquie? ×ɩþóτiz) e immagini della Madre di Dio. Fin qui ad ogni modo non c'è menzione di una immagine nonmanufatta. Ed è naturale; perchè, se un'immagine siffatta o xatóγραφος ἀλλὰ θεόγραφος della Vergine Madre secondo una pia leggenda esisteva, essa era però impressa sopra una colonna del tempio di Diospolis, di dove nessuna forza umana poteva rimuoverla. Al più, l'espressione sarebbe impropriamente usata per una riproduzione, o copia, in tela o legno, dell'immagine di Diospolis. Ben altrimenti stanno le cose per le immagini portentose di Gesù Cristo, conosciute anche nel mondo occidentale col nome di Sudario, Sindone e Santo Volto. Ora di una immagine siffatta parla Giorgio Monaco (êñ‡epóμevog xxi τὴν ἀχειροποίητον εἰκόνα τοῦ Κυρίου ὥς φησι Γεώργιος ὁ Πισίδιος - p. 665,

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