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CARMELO GRASSI, Notizie storiche di Motta Camastra e della valle dell' Alcantara (con documenti inediti). Catania, 1905.

L'A. si è proposto d'illustrare il Comune di Motta Camastra (prov. di Messina) e la valle del fiume Alcantara, ed ha pubblicato un'opera in quattro volumi. Egli vuole trattare a lungo dell'Alcantara e della sua valle, di Motta Camastra e del suo territorio, e di tutti gli avvenimenti che egli crede abbiano attinenza col suo soggetto, tanto « nell'epoca oscura », quanto nell'epoca greca, o durante il dominio romano, le invasioni barbariche, il governo dei Bizantini, dei Saraceni ec., sino ai nostri giorni. Termina il lavoro aggiungendo un capitolo intitolato Sinossi storica e giuridica degli usi civici: Gli usi civici di Motta Camastra ; un altro su Motta Camastra sacra, ed un terzo infine che ci dà dei brevissimi cenni di folk-lore mottese.

Il Grassi scrive di un argomento certo di non grande importanza, di un Comune che non ebbe mai, se non erro, una parte principale in nessun avvenimento storico; ma egli non si sgomenta di ciò, anzi riesce a pubblicare quattro volumi, senza dubbio col solo ed unico intento di voler dimostrare all'attonito lettore la sua cultura enciclopedica e di fargli conoscere le sue numerose opere edite ed inedite e le sue teorie. Con tali intendimenti il Grassi non si preoccupa mai se tutto quello che narra abbia o non abbia la minima relazione coll'argomento trattato, non tiene però mai il senso della misura e corre di digressione in digressione. Infatti, ora ci narra dell'origine dell'ulivo (che si coltiva a Motta), ora dei censimenti attraverso i secoli ed i diversi popoli (a proposito del censimento di Motta), ora dell'origine della polvere e delle armi da fuoco, ora della teoria del male e del bene, ora dell'offerta delle primizie alle divinità, e così via.

Sull'origine e sul significato della parola Motta parla a sazietà, ma, non contento di ciò, cita un grande numero di Motte italiane e francesi e poi viene ad esporre la storia di Ariberto di Intimiano e della Motta lombarda. Di alcuni popoli narra le vicende sempre rifacendosi dalle origini; di alcuni autori citati tesse le biografie. Cosi ad es. il Grassi, parlando del fiume Alcantara, accenna alle vicende della città di Alcantara nell'Estremadura ed all' ordine politico e religioso della Spagna, cioè ai cavalieri dell'Alcantara. Poi a proposito della ricca e grandiosa flora, che dovette esistere sul fiume suddetto nell'antichità, così continua: « Il celebre sto<<< rico, filologo e poeta veneto del quattrocento ch'ebbe il meri

<< tato onore di avere a suoi biografi i Casa, il Sansovino, il « Gualteruzzi, il Porracchi, il Beccadelli, il Tiraboschi, il Mazzuc<«< chelli, il Ginguenè, trovavasi a Messina per apprendere il greco << da Costantino Lascaris quando l'Etna proruppe in un'eruzione (1493), << rimasta fra le più celebrate. Essa diede occasione al futuro segre<< tario di Leone X (poi anche cardinale nel 1539) a visitare il fianco <<< nord del Mongibello... Colui che amò vivamente e paganamente la << bellezza dovunque si trovava cosi sulle labbra squisite della << Morosina, come nel seno eburneo di Lucrezia Borgia, tanto nella << purezza ed eleganza raffinata della lingua (che purgò della ruggine << dei passati secoli), quanto nella contemplazione greca dell'amore «< divino e nell'ammirazione plastica della natura rimase profon<< damente colpito dell'amenità e della maestà dell'Alcantara. Infatti << nel dialogo De Aetna lasciò scritto ec. ». E quasi tutto questo non bastasse ad immortalare l'amenità di quei luoghi il Grassi, a títolo di semplice ricordo personale, riporta anche alcuni versi sciolti che gli dettò a 12 anni l'assai giovane Musa, ed altri che gli dettò in età matura; versi ispirati dal classico Achesines (Alcantara).

Altrove cerca di avvicinare Motta Camastra a << Motua (Ama<< strati), cioè una stazione agricola dell'antichissima Amastra di << Sicilia (Mistretta). In questo caso anche nella stazione o abitazione << appartenente ad Amastra si sarebbe adorata la Venere amastrina << o ericlina, essendo i suoi abitanti pastori e agricoltori che facevano << parte del popolo ossia della città di Astarte ». Quindi comincia a discutere sul nome Astarte e tra l'altro dice: « Questa dea fu « reputata Giunone da S. Agostino: Venere, e specialmente Venere << Urania, da Cicerone; Bona dea coelestis, Venus coelestis in molte <<< iscrizioni; Luna da Erodiano, Luciano... Il Münter vede in Astarte <«< la dea Kabir Axiokersa, l'Iside egiziana, la Venere pafia, la Diana << taurica ed efesia, la comanica Bellona, l'armenica Anâhîd, la samia, <<< maltese e lacinia Giunone ec. ». Altrove, per citare un suo lavoro abbandona la narrazione o meglio incomincia il suo terzo volume e in nota riporta tutte le Fisiologie del Mantegazza, insieme col Macchiavelli (sic), col Pagano e collo psichiatra Colella. E infine, trattando del folklore mottese, accenna alla credenza che per dare alla luce dei bei figliuoli occorre che la gestante abbia in casa l'effigie di una bella madonnina o di un angioletto e che la miri sempre: credenza, secondo il Grassi, che « costitui la convinzione di uomini << di gran senno e di eminente cultura. Ma oggi nessun ginecologo, « soggiunge, oserebbe sostenere, ec. Il certo è solo questo che il << mistero dell'eredità affatica ancora le menti dei filosofi e le in<< dagini degli osservatori. In tal campo le teoriche possono darsi

<< ancora il lusso di ardite incursioni nel regno dell' ignoto; nè il << Darwin colla teoria della pangenesi, nè il Naegel con quella del « plasma idiopatico, nè la plastiduloperigenesi di Haeckel, nè quella << di Weisemann detta del plasma germinaldico, valsero a rischia<< rarlo ec. ».

Tutto quanto ho esposto brevissimamente dimostra molto chiaro che l'autore è un semplice dilettante, ignaro del metodo storico. L'opera, in conclusione, ha infiniti difetti e poche buone notizie, che potevano e dovevano non occupare nemmeno la metà di uno dei quattro volumi.

Massa.

G. BIANCO.

A. ARCANGELI, Gli istituti del diritto commerciale nel Costituto Senese del 1310 (in Rivista di Diritto Commerciale ec. Vol. IV, fasc. III, pp. 243-255, fasc. IV, pp. 331-371. Milano 1906.

Questo lavoro, pregevole per la forma, concisa ed efficace, ha inoltre il merito di trattare una materia, dirò così, grezza. L'A. sfrutta con successo ricchissime fonti, quali sono il costituto senese volgare del 1309-10 e quello del 1282, editi entrambi, ma finora poco studiati, nonostante l'importanza che hanno per ogni cultore della storia del diritto italiano.

L'A. espone, molto opportunamente, nel primo capitolo una storia sommaria del commercio senese nel sec. XIII, accennando all'estensione ch'esso ebbe, specialmente nell'Europa centrale e occidentale, rilevando quanto in ciò ebbero importanza le relazioni con Roma e quale fu il vantaggio che dette a Siena la sua fortunata posizione sulla grande via Francigena. Vien poi messo in luce il carattere puramente bancario del commercio senese, e vien chiarita l'importanza che esso ha nella rapida ascesa e nella repentina decadenza di quei mercanti, al cui tramonto contribuiron peraltro anche le vicende politiche e, più ancora, la concorrenza spietata dei Fiorentini. L'A. cerca pure di tratteggiare il momento storico, in cui è fatta la redazione dei due costituti del Comune, per far comprendere quanto in essi son riflesse le condizioni del tempo, caratterizzate dal crescer continuo dell'influenza dei mercanti e dei banchieri nel governo: e infatti frequentissime e di somma importanza sono le norme di diritto commerciale.

Nel secondo capitolo l'A. rivolge l'indagine sull'arte della Mercanzia: ne esamina lo sviluppo e mette con molta opportunità in rilievo la graduale trasformazione delle due dei mercatores e dei

piççicarii nell'unica arte della Mercanzia; trasformazione, che si rileva chiara nel costituto del 1262, in cui le due corporazioni, ormai non più divise, non han però raggiunto ancora quella perfetta fusione, che appare nel costituto del 1309-10: esse allora sono soltanto federate. Vien poi considerata l'organizzazione esterna ed interna della Mercanzia e la sua posizione rispetto alle altre arti, posizione piuttosto di superiorità che di privilegio, perchè era una corporazione che comprendeva in sè quelle minori, sulle quali i consoli di essa esercitavano il loro potere giurisdizionale, come rappresentanti di un'autorità superiore, di un'arte delle arti. Ed io non sarei alieno dal credere che i libri pactorum, la cui tenuta, insieme colla funzione di giudici, formava il potere caratteristico dei consoli della Mercanzia, contenessero contratti e convenzioni riferentisi anche ad una singola arte.

Il terzo capitolo, come dice la sua rubrica, riguarda l'azione del Comune e della Mercanzia di Siena per l'incremento e per la tutela del commercio. L'A. distingue quell'azione in quattro serie di provvedimenti di indole economica e politica, e cioè: soppressione o, almeno, diminuzione dei pedaggi; mantenimento delle strade, sia dal lato della viabilità che da quello della sicurezza; regolamento delle rappresaglie, che doveva essere un primo passo verso la loro abolizione; e, finalmente, coniazione della moneta, riguardo alla quale il Comune cerca di regolare la fornitura della materia prima e il potere di controllo. Su tutti questi punti lo Statuto dell'Arte di Mercanzia avrebbe dato all'A. altre notizie più esaurienti.

Nel quarto capitolo è compendiata la trattazione sugli atti di commercio e sui commercianti: un paragrafo è dedicato alla capacità giuridica, e contiene le rubriche di due constituti che regolan l'esercizio del commercio per parte dei minori. Si entra così nella intricata, ma interessante materia delle società. L'A. sostiene che le compagnie commerciali di Siena ripeton le origini nella famiglia, opinione ormai accettata, anche in tesi generale, dagli scrittori : non so quindi quanto sia esatto porre fra le ragioni di questo mutamento delle primitive consorterie il bisogno dei banchieri senesi di unirsi con quelli romani: questa unione ci appare più un effetto che una causa, se si rifletta alla generalità con cui si manifesta il fenomeno dell'estensione delle compagnie oltre i limiti familiari.

Nell'illustrar le norme sui rapporti dei soci fra loro e coi terzi, l'A. dimostra la netta separazione del patrimonio della collettività da quello di ciascun membro di essa il patrimonio di ciascun membro infatti costituisce per i creditori una garanzia ausiliare (perchè dev'essere escusso a lor garanzia quello sociale), e solo per

ARCANGELI, IL DIRITTO COMMERCIALE NEL COSTITUTO SENESE 475

la parte di debito che è in proporzione alla quota di capitale versata alla compagnia da ogni individuo. L'opinione dell'A. è giusta in quanto riguarda i costituti comunali fino al 1310: ma il principio, da lui enunciato come caratteristico della legislazione senese, della responsabilità illimitata, ma non solidale (veramente un limite sarebbe fissato dalla proporzione della quota individuale escutibile ausiliarmente a quella posta nel patrimonio sociale), cade nelle leggi posteriori. Infatti lo Statuto dell'Arte di Mercanzia del 1342, che, spero, vedrà fra non molto la luce, sancisce espressamente la norma che ciascheuno compagnio sia tenuto en tutto, svolgendo poi il principio della solidarietà nei debiti sociali. E sebbene altri statuti precedenti a questi debbano essere esistiti, come rilevasi dagli stessi costituti del 1262 e del 1309-10, voglio credere che questa norma fosse un'innovazione di quello del 1342, perchè altrimenti ci troveremmo di fronte ad una contraddizione fra due leggi, assai difficile a spiegare.

Mentre è esatto dire che accanto alla compagnia non trovansi altre vere e proprie forme associative nei due costituti, non è vero che la società in accomandita non faccia la sua apparizione in Siena anche nel sec. XIII, molto prima cioè del suo riconoscimento avvenuto nel 1420: l'atto di costituzione della Gran Tavola dei Bonsignori del 1289, riportato dal TIZIO (1), dimostra ch'essa era una vera accomandita; la petizione del 9 agosto 1298 di alcuni soci dei Bonsignori, respinta dai Nove, tendeva forse a limitare la responsabilità alla quota versata per tutti i membri. L'A. poi respinge l'opinione che l'accomandigia o comandigia possa costituire un antecedente dell'accomandita, definendola senz'altro un sinonimo del deposito bancario. A ciò mi permetto di fare alcune riserve. Prima di tutto anche il GOLDSCHMIDT (2), alla cui autorità così spesso si richiama l'A., afferma che la parola commendare non si accorda bene coll'espressione deponere, che pur serve sovente per spiegare quella; inoltre esistono esempi di accomandigie senesi contenenti formule, le quali espongono ad un rischio chi versa il danaro, formule, che si ritrovan tali e quali in contratti di vera e propria commenda. Non voglio dir con ciò che di questa l'accomandigia sia un sinonimo: io credo però che costituisse un contratto sui generis, formalmente assimilabile al deposito, ma non sostanzialmente, perchè conteneva principî con esso in

(1) Tizio, Storia di Siena, fol. 173 (ms. della Bib. Comunale di Siena). (2) GOLDSCHMIDT, Universalgeschichte des Handelsrechts, Stuttgart. 1897, p. 257.

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