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Staffolo », che fu ricompensato, lui solo, con 12 fiorini (1). Il che, se dimostra la grande venerazione della Comunità per la santa protettrice, rivela anche nella Comunità stessa un certo spirito d'iniziativa a favor della fiera già abbastanza sviluppato, giacchè non è dubbio che tali festeggiamenti siano stati deliberati con l'intento di ottenere maggior affluenza cosi di devoti come di venditori e di compratori.

Finalmente, a ritener l'opera di Giovanni a favor della fiera limitata a un puro e semplice riconoscimento di essa e ad una codificazione di norme già esistenti, ci induce una notizia, della cui esattezza a tutt'oggi non ci è possibile renderci conto, ma che ha pel nostro argomento un'importanza capitale: ce la presenta l'anonimo della Cronaca Passeri.

Dopo aver brevemente errato qua e là pel mare magnum della storia generale del medio evo, raccolte le vele per accingersi a filare lungo la direttiva propostasi, l'anonimo scrittore, detto della desolazione e miseria della città ridotta a 36 case e circondata per quattro miglia all'intorno da boschi, covo di ladroni e assassini, narra come Sigismondo Malatesta deliberasse, e per l'opportunità del luogo a mezza strada tra Fano e Ancona, e per la fama sua, di ricostruirla (fu una semplice restaurazione però la sua). Fece pertanto bandire per tutta Italia, continua il cronista, che a chiunque vi andasse ad abitare darebbe terreno quanto ne volesse e un paio di buoi per famiglia, che permetterebbe ai venuti di radunarsi a consiglio col Podestà e di far donazioni a sopravvenienti di quanto terreno fosse richiesto. «< Ancora <«< dette libertà a quella Città, che li debiti, che havessero quelli che venivano... non potessero essere astretti, nè con<< venuti per niun tempo mai... E tutte le robbe che se por<< tassino in la città mai per nissun tempo se gli dovesse << domandar daccio o gabella alcuna » (2).

Chi non ravvisa in queste due ultime concessioni l'immunità personale e reale del capitolo XIV della falsa conven

(1) Repert. dei Bollettari, c. 671.

(2) Vatic.-Urbin., 992, c. 19 e sgg.; Arch. com. di Senig., Mem. Div., S. II, vol. VI, n. 38.

zione vannucciana e del capitolo XXI della convenzione con Leone X? In questi è la comunità che chiede pel periodo della fiera, nel passo riferito è Sigismondo che a' nuovi abitatori offre, per un tempo indeterminato, protezione contro possibili molestie o pene per debiti ed esenzione totale da dazî d'entrata. E che cosa dobbiamo pensare di questa così intima rispondenza tra la notizia si ben particolareggiata dell'anonimo e l'essenza della franchigia della fiera? Si è già detto e non sarà superfluo ripeterlo: l'anonimo della Cronaca Passeri narra con tale abbondanza di particolari e di date, che tutto fa credere riferisca cose per diretta cognizione. Egli inoltre in tutto il corso della narrazione non mostra al riguardo della fiera, che nomina l'unica volta che si è visto, preoccupazioni di sorta. Infine della convenzione con Leone X, nella quale per la prima volta, secondo quanto abbiam visto, è testimonianza della franchigia, egli non ha, e con tutta probabilità non potè avere, conoscenza. Anche dunque di questa notizia che registra egli deve aver avuto da qualche parte contezza: da quale, il buio presso che completo, che avvolge la vita di Senigallia in questo come nei secoli precedenti, non ci permette di dire. Ma ciò non ostante, data la esattezza e la veridicità dello scrittore in tutto il resto, noi siamo come moralmente tenuti a credergli. E se ora, insieme colla particolareggiata relazione delle concessioni di Sigismondo fattaci dallo scrittore, vogliamo considerare il carattere di consuetudinarietà assunto già nel 1519 dalla fiera in un colle sue franchigie, noi avremo tanto da poter senza gravi difficoltà ritenere che l'origine della franchigia della fiera si debba realmente a un atto di Sigismondo.

E d'altra parte poi questo atteggiarsi a novello fondatore di Senigallia (come ci fa sapere lo scrittore senegalliese) chi potrebbe negare non si addica, come a tutti i principi e tiranni di quel mirabile Quattrocento, all' irrequieto, raffinato, sitibondo di gloria e di piaceri, che fu l'amante di Isotta? Che Senegallia sino alla metà del sec. XV fosse desolata e spopolata, è un fatto; che Sigismondo la restaurasse e fortificasse, è pure certo; che infine la maggior parte della popolazione tra il Cinque e Seicento fosse fore

stiera, ce lo attesta uno scrittore regionale del tempo (1). Perchè quindi tanti forestieri vi accorsero, è certo che doverono esservi attratti da speciali vantaggi. Tra i quali non solo nulla ci vieta, ma la buona fede dell'anonimo, ripetiamo, ci obbliga a credere fossero quelli da lui registrati, come promessi per pubblici bandi dal municifico Sigismondo.

Ammesso ciò, è facile cosa spiegare la trasformazione di quei privilegi, che dovevano aver vita temporanea, in franchigia di fiera duratura. Riempitasi dei nuovi abitanti la città, venne naturalmente a cadere di per sè l'uso delle donazioni di terre. E siccome poi l'immunità per debiti e forse anche, come dal cap. XXI della convenzione con Leone X, per maleficî, e soprattutto la libera entrata per ogni sorta di prodotti potevano compromettere la vita della risorgente città, minacciandone quella la sicurezza pubblica, questa le non floride finanze, anche questi privilegi, che presto si sarebbero evidentemente risolti in danno, a poco a poco doverono essere prudentemente limitati e ristretti, se non addirittura minacciati di soppressione. Venutasi istituendo intanto pel concorso alla festa della Maddalena la fiera omonima, e iniziatasi inoltre da Giovanni della Rovere la fiera di S. Francesco, nulla di più probabile che, e a concedere una soddisfazione all'inevitabile malcontento per la minacciata soppressione, e ad attirare maggior numero di mercanti, fosse dallo stesso Giovanni trasferita ad esse fiere si l'esenzione da dazî per le merci apportate, si l'immunità pei debitori e per i rei di non gravi delitti. La fiera di S. Francesco però dopo la morte di Giovanni venne rapidamente a cadere, finchè nel 1522, tre anni appena dopo essere stata solennemente riconosciuta co' suoi privilegi ormai consuetudinarî, non si celebrava neanche più. Al contrario quella della Maddalena, più umile dell'altra, si mantenne,

(1) « Di Senigallia son gli abitatori di lei per lo più forestieri, per<< chè nei secoli passati fu d'aria insalubre ». F. MINGUCCI, pesarese, cit. in CELLI, Di S. Gozzolini, p. 165. E lo stesso Gozzolini: « Al presente << quella città (Senig.) è tanto piena che non tien più luogo a edificarvi di nuovo; e concorrendovi ogni di nuovi abitatori ecc. », CELLI, op. cit., p. 189.

andò prendendo sempre più piede, vigoreggiò, riuscendo sin dalla metà di quel XVI secolo a divenir l'emporio della regione: accumulò su di sè le immunità della rivale scaduta e con esse e per esse diede nei successivi XVII, XVIII e in parte del XIX il benessere, la ricchezza, lo splendore all'umile città delle sponde del Misa, cui Sigismondo, per vera necessità politica e militare, aveva richiamato in vita.

Riassumendo e concludendo: la fiera della Maddalena non trae affatto le sue origini, come vuole la leggenda, dall'anno 1200: la storia del conte Sergio e della sposa marsigliese e del tempio costruito a raccoglier il « braccio » e la «< coscia» di santa Maria Maddalena, non è che leggenda; la convenzione del 1464, ritenuta da tutti gli scrittori della fiera come il primo documento irrefutabile e mostranteci la fiera nella durata di diciassette giorni, quale fu solo nel suo periodo culminante, non è che una fortunata falsificazione. La fiera si è formata, sorgendo accanto alla festa della Maddalena, dopo la restaurazione della città, a mezzo il secolo XV, per opera del Malatesta; a un atto del Malatesta deve certo l'ampia franchigia, che fu la fortuna sua e della città, ed a Giovanni della Rovere il primo riconoscimento e la prima sua legale costituzione.

Roncitelli di Senigallia.

ROBERTO MARCUCCI.

ARCH. STOR. Ir., 5." Serie. XXXVIII.

LETTERE INEDITE DI GIUSEPPE MAZZINI

Le lettere di G. Mazzini che qui pubblichiamo, per la maggior parte inedite, fanno parte dei documenti di Celestino Bianchi, che si conservano nel R. Archivio di Stato di Firenze. Tali lettere vanno dalla metà di agosto alla metà di dicembre dell'anno 1859, e sono quasi tutte dirette ad amici toscani, animandoli ad estendere il moto dell'Italia centrale oltre i confini della Cattolica.

Non v'è dubbio che dopo Villafranca le questioni riguardanti il centro della Penisola acquistano una speciale importanza, ricongiungendosi anche più strettamente con la questione italiana nazionale. Modena, Parma, e segnatamente la Toscana, accettando la restaurazione o volendo conservata l'autonomia, potevano essere di non lieve ostacolo a conseguire l'unità della Patria, laddove l'avrebbero efficacemente promossa, e la promossero infatti, resistendo ad ogni tentativo di restaurazione, ed incoraggiando il Piemonte nella sua politica unitaria.

L'importanza del momento non sfuggi al Mazzini: egli affermò insistentemente la necessità di cangiare la questione del Centro in questione italiana nazionale; ma, impaziente d'azione, osteggiò sempre, e quindi in parte ostacolò, l'opera dei governi delle quattro Provincie, i quali con prudente riserbo, giustificato dalle circostanze specialissime in cui si trovavano di fronte all'Europa, operavano verso lo stesso fine.

Il Mazzini aveva scarsa fiducia nei governi di Toscana e di Modena, nessuna in quello di Bologna, che accusava di favorire gl'interessi napoleonici; era dubitoso dell'energico volere di Vittorio Emanuele, e fermamente convinto

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