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CATERINA CECCHINI, LETTERE INEDITE DI GIUSEPPE MAZZINI 51

della mala fede di Luigi Napoleone. Credeva quindi inevitabile la ristorazione, e non vedeva per l'Italia che una via di salute: lavorare sul popolo, con ogni mezzo di propaganda verbale e scritta; educarlo ad avere coscienza di sè; popolarizzare, specialmente nel Centro, l'idea dell'invasione al di là; estendere il moto, liberando Perugia, agitando l'Umbria, le Marche, gli Abruzzi, la Sicilia, conquistando alla rivoluzione il Regno di Napoli; in una parola, emanciparsi dalla Francia, e insorgere tutti, forti del proprio diritto, contro le armi straniere e i segreti maneggi della diplomazia. Per quanto riguardava la questione interna, riunire la Toscana e le provincie di Modena, Parma, Bologna in un unico Stato, per aver subito, dubbio, riluttante, o impedito il Piemonte, un altro centro di fusione italiana (1). I governi trascinarli all'azione, costringerli, o rovesciarli; quindi dirigere un lavoro di affratellamento nell'esercito, e preparare un pronunciamento militare, se i governi non ordinano di passare oltre il confine della Cattolica. Giovarsi a tal fine anche di Garibaldi, incalorirlo, trarlo al partito, porlo nell'obbligo di andar oltre: se i Governi tradiscono, gridarlo Dittatore, nonostante la divergenza d'indirizzo e gli antichi dissensi. Costringere ad un'azione risoluta anche il Re, e se mai è possibile che la monarchia conduca all'unità, far sacrifizio dell'ideale politico a quello della patria, e accettare la monarchia, pure rispettando la volontà sovrana della Nazione.

Tale, nelle linee generali, il programma di Giuseppe Mazzini: ma all'atto pratico esso doveva necessariamente adattarsi agli avvenimenti che via via si compivano; quindi, anche nel breve periodo al quale appartengono le lettere, dall'agosto al dicembre, possiamo distinguere varj momenti.

Subito dopo Villafranca, il Mazzini, impaziente e fiducioso in un'azione immediata, lascia l'Inghilterra e viene a

(1) Il Mazzini, e con lui molti altri, anche non mazziniani, era persuaso dell' opportunità di fondere insieme le quattro Provincie, osteggiando il concetto del Ricasoli, che con meraviglioso intuito politico vedeva nella formazione dell'Italia Centrale in un unico Stato un ostacolo al conseguimento dell'Unità.

Firenze (1), da dove propone risolutamente una spedizione nell' Umbria, come risulta dalle lettere ai generali Roselli e Ribotti, al Papi, al Caldesi, a Nicola Fabrizi. Queste lettere neppure giunsero a destinazione, e il disegno non ebbe effetto (2). Nonostante, il Mazzini non si stancò d'insistere nella sua idea, che verso la fine di ottobre sembrò avere probabilità di attuazione. Infatti, trascinato all'impresa generosa lo stesso Dittatore Farini, questi permise un accordo tra Fanti e Garibaldi per un' improvvisa invasione dell'esercito della Lega al di là della Cattolica. Ma l'opposizione del governo toscano, cui era noto il divieto imperiale, rese impossibile l'impresa (3), e Garibaldi, che era stato costretto

(1) Il M. giunse a Firenze i primi di agosto e fu ospitato dai fratelli Luigi e Gregorio Fabbrini, in Via del Ramerino, ora Via Borgallegri, n. 31. Vi rimase, consapevole il Ricasoli, nascosto a tutti, tranne che a pochissimi amici. Di particolare interesse sono i rapporti che ebbe allora col Ricasoli la lettera che gli scrisse in data 22 agosto 1859 e le Massime Generali, che quasi come risposta a lui mandò il Ric. il 1o settembre e che il Maz. restitui postillate al Barone, manifestando apertamente la necessità di estendere il moto del Centro, senza timore d'intervento straniero, e la propria amarezza per essere esule in patria e per la persecuzione ad altri esuli innocenti. Non sarebbe fuori di luogo riportare qui questi importanti documenti; me ne astengo, perchè, pubblicati dal SAFFI, negli Scritti editi ed inediti di G. Mazzini, Roma 1880, vol. X, pp. xCHI, XCVI; da M. TABARRINI ed A. GOTTI, nelle Lettere e Documenti del Barone Bettino Ricasoli, Firenze, Succ. Le Monnier, 1888, vol. III, pp. 225, 257; e ultimamente dal giornale La Nazione, in occasione del centenario della nascita di G. Mazzini, possono essere facilmente accessibili a tutti.

(2) Le cinque lettere, consegnate dal Mazzini a Rosolino Pilo, furono sequestrate a Bologna, ove il Pilo fu tratto in arresto dal Cipriani. Tale notizia ho potuto ricavare dalla lettera del Cipriani al Ricasoli che si legge qui appresso a p. 91, e che ho tratto dai citati documenti Bianchi, ove pure si trovano le copie di dette lettere. Altre copie, o forse gli originali, ritenne presso di sè il Ricasoli a cui furono trasmesse dal Cipriani, e furono pubblicate da M. TABARRINI ed A. GOTTI nelle Lettere e Documenti del Barone Ricasoli, vol. III, p. 225, in nota. Il Mazzini stesso, nel P.S. alla lettera XVII, diretta al Cironi, allude alle lettere consegnate a R. Pilo.

(3) Ved. a questo proposito Lettere e Documenti del Barone Ricasoli, vol. III, pp. 465, 470, 472, 484. Altri telegrammi, che si conservano nel R. Arch. di Stato (carte Bianchi), servono a meglio precisare il disegno.

nel novembre a lasciare il comando dell'esercito della Lega, si ritirò sdegnoso a Caprera (1).

Questo fatto dà un crollo alle speranze del Mazzini, ma non alla sua fede, e contro l'opposizione dei governi vagheggia allora, come già abbiamo accennato, una cospirazione militare, che conduca allo stesso scopo.

Tutte le presenti lettere non sono che un'affermazione insistente, energica, appassionata, dei concetti che siamo venuti esponendo. Così grande, salda, e quasi cieca è la fede del Mazzini nel proprio ideale, che talvolta gl'impedisce di rendersi esatto conto della situazione politica, delle difficoltà e delle necessità del momento. Quindi, mentre da un lato è ingiustamente diffidente verso il Ricasoli, e più ancora verso il Cipriani, il cui governo vorrebbe rovesciare ad ogni patto, s'illude dall'altro soverchiamente, credendo il popolo preparato e disposto a secondare i suoi disegni di rivoluzione. Egli vorrebbe in tutti trasfondere la sua fede, e se è pieno d'ira e di sospetto verso gli avversari, è anche talvolta ingiusto verso gli amici, quando gli sembrano fiacchi ed incerti. o ligi all'autorità governativa; e dolorosamente sdegnoso contro gl'Italiani tutti, se in essi gli sembra morta ogni scintilla di vita. Talvolta al fervore dell'apostolo succede lo scoramento, durante il quale sente tutta l'amarezza dell'essere esule in patria, e la stanchezza di un lavoro, che forse sarà vano.

Nessun fatto nuovo emerge dalle seguenti lettere, ma poichè servono a gettare qualche luce su avvenimenti notevoli e sull'animo di Giuseppe Mazzini, non mi sembrano prive d'importanza come contributo alla storia di quel periodo, così interessante per gli studiosi del nostro Risorgimento.

Firenze.

CATERINA CECCHINI.

(1) Ved. le lettere indirizzate dal Ricasoli a G. Garibaldi. Lettere e Documenti ec., vol. IV, p. 52.

I.

Al Generale Roselli.

15 agosto 1859

Fratello.

Affido qualunque sia la risposta che mi darete al vostro onore il segreto della proposta e del mio soggiorno già troppo pericolante. Mi dirigo a voi, perchè vi so italiano anzi tutto: perchè fummo insieme e ci amiamo, e perchè siam certi, per prova, l'uno dell'altro.

I fati delle provincie del Centro sono segnati. Reiset ha già dichiarato ai diversi governi che bisogna cedere, e con promesse di non so quali riforme, riaccettare i padroni. Le condizioni della pace di Villafranca devono essere mantenute.

Nutriti d'illusioni rinascenti, i rappresentanti di diverse provincie stanno per votare una fusione col Piemonte, che avrà rifiuto. Gli agenti Piemontesi vi spingono, come spingevano nel '48 Venezia, mentre la capitolazione era segnata, per avere un precedente in tasca, per dir dopo dieci anni all'Europa in subbuglio : quelle popolazioni nel 1859 si diedero a noi.

Le popolazioni delle città non vogliono sentir parlare di ristorazione, e resisteranno. Ma i governi, moderati in parte, in parte, come a Bologna, bonapartisti, abbandoneranno al momento supremo le popolazioni, stenderanno una protesta, e del resto diranno che bisogna salvare da una lotta inutile le città. La difesa senza capi, senza disegno, senza insieme, sarà una protesta santa, ma senza scopo e senza possibilità di successo.

La difesa, localizzandosi, si perde. Non vi è che un mezzo possibile di difesa: l'offendere, l'allargare il terreno d'azione ; cercare di conquistare una base di operazione al moto.

Bisogna passare, appena presentiremo l'offesa, i limiti rispettati finora; piombar su Perugia, riconquistarla; poi di terra in terra, a marce rapide, lasciando Roma da banda per ora, giungere all'Abruzzo e cacciarsi dentro.

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La Sicilia è pronta: insorgerà ne ho tutti i dati più positivi se non prima, all'annunzio della nostra mossa. Il regno sarà fra

due assalti. L'opinione vi è buona universalmente, ma sfiduciata ed incapace d'iniziativa. L'ardita mossa la rinfrancherà.

Noi saremo accompagnati da Abruzzesi influenti che fanno parte dei 66 esuli che escirono con Poerio.

Io ed altri accompagneremo la colonna, senza apparire con atti pubblici fino alla frontiera degli Abruzzi. Là il mio nome è influente, e firmerei io pure, entrando, il proclama.

I paesi del Centro, il Lombardo, Genova sono preparati tutti all'idea; seconderanno i nostri, da tutti i punti si mobilizzeranno rapidamente sul Centro. Sarà una seconda iniziativa italiana. Se riusciamo a far che la insurrezione trionfi nel regno, possiamo parlare da potenza a potenza.

Il concetto è ardito, ma i tempi sono supremi. Il cittadino non ha oggi che un dovere supremo: quello di tentare la salute della patria, e dove si debba soccombere, di salvarne almeno l'onore.

Associamo in quest'opera i nostri nomi, e riabbracciamoci, tentando sciogliere il legato di Roma.

Se rifiutate, mi dorrà nell'anima che non uno degli antichi compagni serbi energia per vivere o morire romanamente. Se accettate, fate che io lo sappia. Gli elementi che sono in Forlì, in Rimini, sono in parte membri Marchigiani vogliosi; i Romagnoli non possono ritirarsi.

Io verrei al momento della mossa, o subito, purchè presso a voi vi fosse modo di vivere chiuso, travestito, come converrà, durante i giorni che possono essere necessarî.

Generale, siamo vecchi: coroniamo degnamente una vita che fu sacra a un'Idea. Fummo, per ciò che chiamavano il bene di tutti, rassegnati abbastanza.

15 agosto

Vostro

Giuseppe Mazzini.

Il latore, uomo di fiducia, può darvi conto del desiderio che domina in Genova e in Lombardia. Qui è universale. E compito un fatto, quello di Perugia, avremo dietro un esercito di uomini. Fiducia, amico con un momento di energia possiamo salvare l'Italia. Qui è giunto ieri Garibaldi, al quale danno il comando dell'esercito toscano. Ha, esprime idea consimile. Per questo appunto vorrei che l'iniziativa fosse vostra. Forse verrà fra voi fra due o tre giorni Montecchi che approva. Ma se accettate, rimandate l'amico con due linee, e le vostre istruzioni per me.

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