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attuale, senza Garib. se io, come un tempo, potessi unirmi tra i nostri armati di Rim. e S. Arcang., dir loro: « Andiamo, fratelli » ed esser seguito, non m'occuperei di Garib.; ma finora Garib. è potenza: è debole? Bisogna cercare di trarne quel tanto di bene, che, insistendo, potrebbe trarsene. Fate che gl'Italiani migliorino, non avranno bisogno di lui.

Non s'è potuto prima; bisogna pensare a fare quando il congresso ci detterà leggi. Ma badate: localmente non riesciremo a resistere. Il segreto della vittoria sia non far pompa nell'andare al di là, nel marciare attraverso gli Stati Romani, sul Regno. Il lavoro urgente è dunque sulle truppe: bisogna pensarvi. È indispensabile o una cospirazione militare o un Governo Unico delle quattro provincie che ordini.

Del resto a quel tempo sarò tra voi. Preparate intanto il terreno.

Addio in fretta, per oggi. Vogliate bene al vostro

Giuseppe.

Leonetto Cipriani a Bettino Ricasoli.

Bologna, 18 agosto 1859

Ricevuto dal Prefetto di Firenze l'avviso della partenza di Marangone e Rosolino come agenti di. Mazzini, appena arrivati sono stati arrestati e perquisiti. Avevano stampati diversi e lettere autografe di Mazzini al Generale Ribotti e Nicola Fabrizi a Modena, al Generale Roselli, al Colonnello Papi, al maggiore Caldesi a Forlì e a Rimini.

Le lettere sono datate dal 16 agosto. Mazzini scrive positivamente da Firenze. Dice a Caldesi: Qui Mont. (deve voler dire Montecchi perchè non posso per ora ammettere che sia Montanelli) dice adunque: « Qui Mont. Mazzoni, tutti sono d'accordo: << se accettate Mont. verrà subito da voi ». Scrive a Roselli : « Forse << verrà da voi in due o tre giorni Montecchi che approva: voi, se <<< accettate, rimandate l'amico con due linee e le vostre istruzioni << per me ».

In tutte le lettere propone la insurrezione in nome della libertà e dell'unità nazionale entrando colle truppe che comandano nelle Marche, di là negli Abruzzi, Regno di Napoli, Sicilia, ec. ec.

Ora mi pare evidente che se noi non si arresta Mazzini, in pochi giorni tenterà una insurrezione militare, la quale è possi

bile che non siamo assai forti da poterla reprimere, ed in conseguenza pretesto alle grandi potenze per intervenire.

Non ti dico altro.

Ho preso qui tutte le disposizioni per arrestarlo se comparisce; ma siccome è più probabile che rimanga a Firenze, aspettando le risposte alle lettere sequestrate, così ti mando il nostro Direttore della Pubblica Sicurezza, il signor Carletti piemontese, uomo intelligentissimo, esperto, attivo ed energico, il quale farà l'arresto nel caso seguente, che ho voluto prevedere.

Principio dal dirti che se Mazzini è arrestato o nelle Romagne, o da agenti miei in Toscana, lo faccio giudicare da un Consiglio di Guerra, e non se ne parla più. Se siei disposto a farne altrettanto senza esitare, puoi fare eseguire tu l'arresto dalla Polizia Toscana; ma se temi che un atto simile possa spaventare i tuoi amici, ti propongo il modo di evitare a voi altri questa esecuzione; ed ecco come.

Il Carletti è portatore di una lettera al Governo Toscano (1) nella quale gli domando l'arresto e l'estradizione di un individuo chiamato Giuseppe Bruno, il quale ha commesso un furto di arredi sacri di grandissimo valore nella Chiesa di S. Michele, la notte dal 16 al 17 agosto. Il Carletti solo saprà che il supposto ladro è Mazzini ed il soccorso che gli presterà la tua Polizia sarà per l'arresto di un colpevole di furto sacrilego. Gli sarà consegnato, me lo condurrà qui, tu sarai vittima del mio inganno, al resto ci penso io.

Adesso scegli; ma in un modo o nell'altro credi a quello che ti dice il tuo vecchio amico, se quest'uomo fatale non sparisce, non passa un mese che l'Italia Centrale è nelle sue mani. Un uomo come Bettino deve capire che la sorte del nostro paese dipende da noi in questo momento.

Il Carletti ti dirà le precauzioni che ho prese qui: in ogni modo serviti di lui in quanto ti occorre. Se ha bisogno di denaro gli darai fino a ventimila franchi.

Ti stringe la mano

L'aff.mo amico tuo
Leonetto Cipriani.

(1) Tale lettera ufficiale al Governo Toscano si conserva fra i docu

menti citati.

PIETRO GIANNONE

E L'ANTICLERICALISMO NAPOLETANO SUI PRIMI DEL SETTECENTO

È possibile giudicare con serenità i fatti e gli uomini

dell'età nostra?

Solo il tempo riduce gli avvenimenti alle loro giuste proporzioni, riabilita ed abbatte le rinomanze più diverse, perchè spazza via le passioni di parte ottenebratrici dell'opinione, anche se ci toglie la comprensione esatta de'particolari, degli accessorî.

È vero che noi siamo tratti a proiettare nel passato le nostre aspirazioni e i nostri rancori, a foggiarci gli uomini d'altri tempi a somiglianza nostra; ma è anche vero che ora, sempre più indifferenti a' principî di carattere generale — coi quali è più facile intrecciare un nesso di passioni tra il presente e il passato, siamo tratti a valutare gli uomini a noi lontani nel tempo, e fino a un certo segno anche quelli contemporanei, per sè medesimi e per l'opera loro, non per la causa che essi servirono; noi ammiriamo il tipo estetico dell'individuo a seconda delle forze che seppe spiegare e dell'abilità con cui le coordinò a un determinato fine, qualunque questo sia.

In tal modo si vien formando la storia obbiettiva, dell'unico obbiettivismo possibile, la storia non più strumento di lotta, ma tutt'al più ricerca d'un'esperienza politica; e svanisce tra le vecchie illusioni qualunque tentativo di ricostruzione partigiana del passato, svanisce la storiografia a tesi clericale conservatrice o democratica, borghese o socialista.

Si spiega così il desiderio incessante di ritornare su le vecchie glorie e su le opinioni ricevute, e la grande facilità con cui si abbattono idoli secolari, malgrado lo scandalo di

qualche solitario aggrappato tenacemente all'antico. A quante demolizioni di grandi uomini non ha assistito la nostra generazione?

Non sono ancora tre anni che uscì un libriccino dall'apparenza modesta (1), il quale era un audace tentativo di revisione della fama di Pietro Giannone, lo scrittore che da circa due secoli è simbolo di rivendicazione del pensiero laico e dello stato laico contro le inframmettenze della Chiesa (2). Il giovane autore di esso, Giovanni Bonacci, volle esaminare le basi della fama del Giannone, e fu tratto naturalmente a studiare l'opera di lui che sollevò maggior rumore e che quasi sola i posteri conobbero per oltre un secolo e mezzo, l'Istoria Civile del Regno di Napoli.

È notissimo un giudizio del Manzoni intorno all'Istoria; egli esaminò e confrontò varî passi, che il Giannone aveva copiati dal Nani dal Parrino dal Sarpi senza mai citarli, e concluse: « E chi sa quali altri furti non osservati di costui << potrebbe scoprire chi ne facesse ricerca; ma quel tanto che << abbiamo veduto d'un tal prendere da altri scrittori, non dico << la scelta e l'ordine de'fatti, non dico i giudizi, le osservazioni, « lo spirito, ma le pagine, i capitoli, i libri, è sicuramente, in << un autor famoso e lodato, quel che si dice un fenomeno. Sia << stata, o sterilità, o pigrizia di mente, fu certamente rara, << come fu raro il coraggio; ma unica la felicità di restare, << anche con tutto ciò (sin che resta) un grand'uomo » (3).

A parte la forma vivace che altri (4) ha già rilevato, il giudizio del Manzoni era così nuovo e grave, che per ciò stesso da molti gli venne negato ogni valore. Il Bonacci si propose quindi, nella prima parte del suo lavoro, di verificarne l'esattezza mediante un'analisi ampia ed accurata delle fonti e della

(1) Dott. GIOVANNI BONACCI, Saggio sulla Istoria Civile del Giannone, Firenze, Bemporad, 1903.

(2) Ved. nel Saggio del BONACCI il capitolo II dell'introduzione, nel quale è esposta la Varia fortuna della "Istoria civile " (pp. 8 segg.). (3) Storia della colonna infame, Napoli, 1843, pp. 169-70.

(4) Vedi V. CIAN, L'agonia d'un grande italiano sepolto vivo, nella Nuova Antologia del 16 febbraio 1903 (vol. 103°, p. 698). Il plagio, del resto, era noto fin dal sec. XVIII; cfr. BONACCI, Saggio, p. 24.

composizione dell'Istoria Civile: e il plagio fu provato, con opportune citazioni e confronti.

Senonchè il Bonacci previde l'obbiezione: << Ma valeva << proprio la pena di far tante chiacchiere se fu plagiario per<< fino il Machiavelli?». E osservò: « Nel G. la cosa muta aspetto. << Egli non riassume con parole proprie pagine altrui, ma se le << appropria addirittura e in tal maniera, che ne risulta un'opera << più di amanuense che di storico: l'autore ha copiato non sol<< tanto gli avvenimenti delle epoche remote ma anche quelli << dei tempi nei quali egli viveva; e ha fatto un mosaico con << pezzi di autori disparatissimi, accozzando nelle sue pagine << periodi sdilinquiti del Parrino, frasi cortigianesche del Co<< stanzo o del Castaldo, note di cronaca del Rosso accanto a periodi solenni del Guicciardini, brani del gesuita Buffier << e di Paolo Sarpi » (1).

Di questo copiare senza discrezione e senza abilità risente naturalmente lo spirito generale dell'opera, che il Bonacci analizzò nella seconda parte del Saggio, per conchiudere che <<< mentre il problema fondamentale dell'epoca era quello di << liquidare il passato, risollevare moralmente e intellettual<< mente il popolo per instaurare nuove istituzioni, essa [la Isto«ria Civile] invece elogia e difende i vecchi uomini e le antiche << istituzioni, e biasima chi mostrava il più piccolo risentimento « contro gli uni e contro le altre; a gente oppressa e affamata << non sa che additare la forca, e mentre le menti elette eleva<< vano la loro voce contro le diseguaglianze tra ecclesiastici « e laici, il G. riconosce quelle opere e quegli istituti che <«< consacravano l'ambizione della Chiesa, e predicava delle <<< massime ispirate, più che dalla scienza, dall'oscurantismo << medioevale » (2).

Le conclusioni, che ho voluto riportare per intero, non potevano non suscitare aspre polemiche, perchè venivano a cozzare contro l'opinione universale e tradizionale. Il Bonacci previde gli attacchi e il suo libro assunse perciò quell'intonazione polemica che da alcuni gli è stata rimproverata.

(1) Saggio, pp. 118-9.

(2) Saggio, p. 201.

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