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stintamente qualsiasi mezzo istruttorio ammesso dalla legge; e la perizia è uno dei mezzi istruttori consentiti e permessi dalla legge, e spetta soltanto al magistrato di valutarne colla maggiore o minore efficacia l'opportunità e la concludenza purchè, giova ripeterlo, non conduca ad errori di diritto. Del resto le mercuriali si compilano e possono aver valore per le incette all'ingrosso e non ne hanno alcuno per la minuta vendita.

E nella specie, trattandosi precisamente di esame e di discussione di conto anche per pretesi errori di addizione, anzichè la parola del testimone, ritenne più proficua l'opera di un tecnico che in contraddittorio delle parti, alle quali come per legge è riserbata libertà di deduzioni, ed illuminato dalle medesime parti alle quali può attingere le informazioni sui prezzi correnti nelle macellerie dell'importanza di quella della RubeoPapini, è certo meglio in grado di accertare la effettiva cifra del debito, nonchè se i prezzi segnati nel conto erano 0 meno quelli usuali che la Rubeo-Papini faceva ai suoi avventori.

Da questo però ad inferirne, come vorrebbe la difesa della Marley, che nei termini in cui fu formulato e dato incarico al perito il Tribunale si sia spogliato di una attribuzione che per legge soltanto ad esso spettava di esercitare, sarebbe spingere il ragionamento assurdo che dispensa da

ad un
qualsiasi confutazione.

Pertanto adunque non trovando fondamento giuridico, anche questo secondo mezzo va respinto.

Sul terzo motivo osserva che anche quest'ultimo mezzo, immedesimandosi colle ragioni di quelli gia respinti, non può trovare migliore fortuna. Imperocchè nella sostanza li riproduce, aggiungendo solo che il Tribunale omise di ragionare su tutte le deduzioni della Marley, che avendo negato la prova testimoniale e per documenti, ed ordinato invece la perizia, cadde in contraddizione, ed infine perchè pronunzio su cosa non domandata.

Per non ripetere, ma a far emergere anche la insussistenza di queste censure contro la sentenza impugnata, il Supremo Collegio osserva soltanto che il Tribuuale non solo valutò, ma smalti tutte le eccezioni proposte, tanto in linea principale come colle subordinate, nè è chiaro a quali altre genericamente la ricorrente ha voluto alludere; nè facendo uso di una sua facoltà nella scelta dei mezzi probatorii il magistrato di merito può essere accagionato di contraddizione e molto meno poi può ammettersi che pronunzi su cosa non domandata, quando in omaggio al suo potere discretivo ricorre ad uno, anzichè ad un altro dei mezzi

istruttorî ammessi dalla legge; nè il lamento può dirsi più fondato pel diniego della prova per titoli; imperocchè nella specie i titoli, dai quali poteva evincersi commercialmente la prova o a seconda dei casi un principio di essa, erano i registri commerciali regolarmente tenuti, e non le mercuriali che non possono ritenersi documenti equivalenti.

Pertanto adunque il Tribunale non ha violato o fatta male ap

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Attesochè il ricorrente dice che mal fece la Corte di merito a non rilevare la differenza esistente fra il mandato commerciale e la commissione.

Ma questa censura non regge; dappoichè nel corso della causa tale differenza non era stata posta in contestazione, nessuna delle parti avendo contestato, ciò che d'altronde è notorio, come nel mandato il mandatario agisca non solamente per conto, ma anche a nome del mandante, mentre nel contratto di commissione il commissionario agisce, è ben vero, per conto del committente, ma a nome proprio.

Rettamente quindi la Corte d'appelle genovese, pure avendo presente tale differenza, ma giustamente ritenendo che non poteva avere alcuna influenza sull'esito della controversia, la quale concerneva un altro lato dei due distinti istituti giuridici del mandato commerciale e della commissione, disse e disse bene: « Senza qui rilevare la differenza esistente fra il mandato commerciale e la commissione, basta per la risoluzione della controversia insorta fra la Ditta Bloch e lo Scerno conoscere se, questi tacendo al venditore il nome della persona con la quale ha contrattato, debba essere tenuto responsabile il committente delle conseguenze derivanti dall'inadempimento del contratto. Scerno accettando la proposta fattagli dalla Ditta Bloch e promettendo che il giorno successivo le avrebbe spedito il contratto in conformità dell'incarico ricevuto, lasciava chiaramente comprendere che il contratto erasi perfezionato, sia col ritenere per se la merce al prezzo stabilito dal venditore, sia col fatto di averla venduta ad altri.

<< Ma in questo secondo caso aveva l'obbligo di manifestare alla Ditta Bloch la persona alla quale aveva venduta la merce, tanto più che la stessa, persuasa che la vendita si fosse effettuata per suo conto, sollecitava Scerno a darle il relativo contratto. Onde le espressioni dalle quali il Tribunale credette di desumere un contratto di mandato, concretano invece quello di commissione, per

man

chè il venditore, al quale fu tenuto celato il nome del compratore, aveva diritto di ritenere che Scerno avesse comprato il grano per proprio conto.

<< Per converso avrebbesi dovuto caratterizzare mandato il contratto, se Scerno avesse immediatamente fatto conoscere al venditore la persona del compratore e posto così la Ditta Bloch in grado di richiedere l'adempimento del contratto da chi aveva per suo conto e nome contrattato con Scerno, senza attendere di rilevare al committente, dopo due giorni dalla accettazione del contratto, il nome della Ditta alla quale avrebbe venduto la partita di grano, e quando questa merce in quell'intervallo di tempo sub sensibile riduzione di prezzo nella piazza di Genova ».

Colla quale chiarissima motivazione la Corte di Genova non solo non disconobbe la differenza esistente fra il mandato commerciale e la commissione, ma interpretando con sovrano apprezzamento di fatto il contratto che aveva avuto luogo fra le parti, come risultava dagli atti della causa, ritenne insindacabilmente che nei rapporti fra la Ditta Bloch e lo Scerno era avvenuto un contratto di commissionon già un mandato commerciale, come aveva erroneamente ritenuto il Tribunale.

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Ben vero che, allorquando l'incaricato di un affare rende noto al terzo col quale contratta il nome del proprio principale, egli di fronte al terzo prende la figura giuridica di un mandatario; ma da ciò non deriva senz'altro che anche nei rapporti fra il principale

e l'incaricato siasi costituito un contratto di mandato.

Dappoichè se il mandatario si rivela tale al terzo, declinando il nome del suo mandante, anche quando fra l'apparente mandatario ed il suo principale siasi convenuto un contratto di commissione; invece di fronte al committente il commissionario continua a rimanere tale, anche se abbia rivelato al terzo il nome del committente.

Ora nel caso concreto avendo la Corte di merito ritenuto accertato in fatto, ciò che d'altronde era pacifico fra le parti in causa, che lo Scerno aveva avuto dalla Ditta

Bloch l'incarico di venderle cinquemila quintali di grano; che lo stesso Scerno aveva puramente e semplicemente accettata l'offerta fattagli dalla Ditta Bloch, ratificando successivamente per lettera la sua accettazione e promettendo il relativo contratto, senza indicare mai il nome della persona colla quale posteriormente disse d'avere contrattato, dopo che il prezzo del grano era diminuito sulla piazza di Genova, giustamente ed incensurabilmente conchiuse col dire che le espressioni dalle quali il Tribunale credette desumere un contratto di mandato concretano invece quello di commissione.

Invano il ricorrente oppone che egli invocava le risultanze della lettera 21 aprile 1897, in cui la Ditta Bloch dichiarava: « vous avez vendu pour notre compte », come prova che non aveva esso Scerno speso il nome proprio, ma quello di Bloch, perchè, in caso diverso, non avrebbe avuto alcun senso, nè quella frase emessa quando la

Ditta Bloch aveva già ricevuto il telegramma d' accettazione senza indicazione del nome del compratore, nè l'attesa di un contratto scritto, che nella ipotesi che fosse stato lo Scerno il compratore, avrebbe dovuto essere mandato dalla Ditta Bloch, anzichè questa dovesse attenderlo da lui.

Ma, come giustamente osserva in proposito la Ditta controricorrente, questo ragionamento del ricorrente non brilla nè per logica, nè per chiarezza. Imperocchè, tanto nel mandato commerciale, quanto nella commissione, l'incaricato agisce per conto del principale; l'avere quindi la Ditta Bloch scritto: « vous avez vendu pour notre compte non dimostra affatto che lo Scerno agisse nella qualità di un mandatario di essa Ditta. Ed anzi il fatto che la Ditta Bloch era persuasa che lo Scerno avesse venduto per di lei conto, mentre giustifica l'attesa del contratto, altro non prova se non che effettivamente lo Scerno era un commissionario della Ditta medesima, perchè altrimenti questa gli.avrebbe subito chiesto il nome del compratore, nome che, data l'ipotesi di un contratto di commissione, non aveva interesse a conoscere, potendosi all'occorrenza valere, come si è poi effettivamente la Ditta valsa, del dispositivo dell'art. 386 Cod. comm.

Dal che ne consegue che neppure sussiste quanto sostiene il ricorrente, che cioè la Corte d'appello di Genova sia incorsa nel difetto o contraddizione di motivi.

Per questi motivi, rigetta ecc.

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Attesochè la controversia che si agitava tra il Taddei e la ditta Maglia consisteva nel vedere se quegli aveva diritto di ripetere da questa il rilievo di quel danno che allegava avere risentito per il protesto contro lui operato della cambiale 1° gennaio 1897.

Non era punto contestato dalle parti che quella cambiale, tuttochè firmata dal Taddei, stava però a tutto debito della ditta Maglia, che l'aveva girata, ed in pagamento aveva ricevuta dal Taddei l'altra cambiale del 18 maggio successivo. Vero che presso ai terzi debitore di quella prima cambiale figurava sempre il Taddei, e che alla scadenza della me

desima i terzi possessori dovevano da lui stesso ripeterne il pagamento, nè il Taddei dissimulava a sè stesso questo dovere. Ma era vero ancora che esso nulla più doveva, perchè la ditta Maglia, originaria creditrice e girataria, era stata soddisfatta dal Taddei mediante la nuova cambiale del 18 maggio, scadibile il 30 settembre 1897, e col girar la cambiale se ne era costituita debitrice; e questi nuovi rapporti, così creati tra le due parti, rendevano necessariamente la ditta Maglia obbligata a ritirare e pagare essa direttamente quella cambiale nel giorno della sua scadenza, ovvero a somministrare al Taddei i fondi necessari per estinguerla. E questo ritenne pure la denunciata sentenza, affermando che la Ditta poteva seguire questo duplice modo per soddisfare a questa sua obbligazione, e che scelse il secondo, cioè quello di somministrare al Taddei la somma.

E che questa fosse la intelligenza corsa tra le parti, esse medesime lo addimostrarono; il Taddei con la cartolina del 26 giugno, con la quale rammentava alla Ditta il suo dovere scrivendo : « Il 30 corrente scade l'effetto di L. 234; come da nostre intelligenze, favorite di farmi avere i fondi per il ritiro »; e la Ditta coll'incaricare il Ricci nulla potè fare perchè erroneamente informata non potè ritrovare il possessore della cambiale e con lettera 1 luglio, avvertendo di tale inconveniente la Ditta, il Ricci chiedevale più precise indicazioni.

Intanto però il Taddei, non avendo risposta, insisteva con altra

cartolina 30 giugno per avere i fondi; e venuto il 1° luglio 1897, giorno del pagamento, telegrafava allo stesso fine alla Ditta, la quale rispondeva soltando col dire che aveva incaricato il Ricei, e al bisogno indicava pure di rivolgersi al figlio del suo rappresentante che si trovava a Genova all' albergo Confidenza.

Questo il contegno delle parti, e la denunciata sentenza riconosceva che le pratiche fatte anteriormente al 1° luglio dalla Ditta erano incomplete, ma affermava che quelle fatte nel 1° luglio esaurivano tutto quanto essa Ditta poteva fare per adempiere la sua obbligazione.

Ora tale affermazione il Tribunale non la deduceva veramente dal fatto, ma da una falsa interpretazione di diritto, per la quale ritenne che il termine stabilito per il protesto dall'art. 296 Codice di commercio fosse tutto a beneficio del debitore della cambiale; e ciò deduceva dal disposto dell'art. 1175 Codice civile. Quindi ne inferiva che il Taddei, quando la ditta Maglia rispondendo al suo telegramma gl' indicava le persone da cui avrebbe potuto avere il danaro per la estinzione e ritiro della cambiale, aveva tutto il tempo per rivolgersi a queste persone, ritirare da esse il danaro, pagare la cambiale ed evitare il protesto.

Ma il Tribunale di merito così ragionando confuse due termini totalmente distinti nella loro essenza e nel loro scopo: quello della scadenza della cambiale e quello del protesto. Il primo ter

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