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decorrenza del termine prescrizionale. Quindi il divieto di emettere cambiali al portatore, applicato al bianco-segno, significa unicamente che allorquando la cambiale da titolo in bianco passa col riempimento a titolo in pieno, non è lecito, nel riempirla, indicare come creditore il portatore, ma devesi enunciare la persona del prenditore, come è prescritto nel n. 3 del detto articolo, salvo, se si voglia, di escludere la clausola all'ordine, come è consentito dall'altro articolo 257. Ma, non è male ripeterlo, sino al momento in cui il bianco-segno non è riempito, la cambiale non esiste, e quindi è un fuor d'opera affaticarsi a voler applicare a questo non ente cambiario le regole del diritto cambiario.

Finalmente non ci è dato di capire come, per negare al creditore originario la facoltà di scrivere nel bianco-segno il nome di altra persona in veste di prenditore, si possa trar profitto dall' articolo 277. Quest'articolo trattando dei duplicati, fissa i seguenti due precetti: 1.° il prenditore ha diritto di averli dal traente o dall'emittente; 2.° gli altri possessori hanno diritto di averli dai loro giranti e, per mezzo dei giranti anteriori, dal traente o dall' emittente. Niuno ha mai negato che possessore corrisponda al genere di detentore, sotto certa forma, del titolo cambiario, e prenditore significhi una specie di tal ge

nere: e l'art. 277 fa omaggio a questa distinzione, disciplinando con una regola pel genere e con una per la specie il particolare regresso avente lo scopo di ottenere uno o più duplicati. È quindi perfettamente inutile affermare che per la legge vi deve essere sempre un prenditore e che questo non può restare anonimo. Conveniamo senza difficoltà in tali proposizioni, le quali non rappresentano certo uno sforzo originale e laborioso di interpretazione, ma discendono naturalmente dal numero 3 dell'art. 251. Però, esse non recano alcun contributo pel risolvimento del nostro quesito, perchè dal dovere la cambiale portare il nome del prenditore, non ne deriva che, rilasciato il titolo in bianco, prenditore debba figurare, in modo necessario, colui che in qualità di creditore originario ricevette la consegna del titolo. E poi fa sempre capolino la solita osservazione. Quando l'art. 277 parla di prenditore, suppone una cambiale perfetta in corrispondenza dell'art. 251 e noi, invece, parliamo di bianco-segno, vale a dire di una cambiale latente che, per le facoltà spettanti al consegnatario, possiede gli elementi per potere diventare una cambiale viva, ma che potrebbe anche non nascere mai, come se venisse stornato il rapporto fondamentale per cui fu emessa o si effettuasse il pagamento, mentre essa è tuttora in bianco,

o sorgesse una causa di compensazione che elidesse completamente il debito per cui il titolo fu dato e ritirato.

Nessuna, adunque, delle ragioni recate dalla sentenza della Corte di Venezia, a parer nostro, vale a scuotere il seguente ragionamento: che, cioè, si può, in principio, disconoscere il valore cambiario del bianco-segno nei rapporti della nostra legislazione commerciale, ma quando si è accettato l'istituto della cambiale in bianco, conviene, per essere logici, ammettere che il consegnatario (e supponiamo sempre il creditore originario) trae dal contratto il diritto di riempire il titolo come gli piaccia, limitatamente a renderlo |

cambiale in conformità dell' articolo 251 e salvi gli accordi fatti coll' emittente, accordi che qualche volta potranno essere estesi a tutti i requisiti cambiari, e quindi anche alla persona da indicarsi come prenditore, e qualche volta ristretti a taluno dei requisiti stessi, come la somma da pagarsi, che, per ragioni facili a comprendersi, non sarà certamente abbandonata al capriccio del possessore, ma che rimarrà, invece, sia pure implicitamente, stabilita dalla stessa conclusione del rapporto fondamentale, costituente la causale della emissione del titolo.

Modena, dicembre 1899.

C. PAGANI.

RETRODATAZIONE DELLA CESSAZIONE DEI PAGAMENTI NEI GIUDIZI DI FALLIMENTO (ARTICOLI 704 E 706 CODICE DI COMMERCIO).

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1 ed altre quella del BOLAFFIO, richiamate dal Cuzzeri, che ritengono potere il Tribunale ritornare, d'ufficio, sul proprio giudicato e mutare la data già fissata della cessazione dei pagamenti, perchè la legge non pone alcuna limitazione all'esercizio di codesta facoltà, e la cognizione di nuovi fatti può indurre i giudici nella persuasione d'avere errato nella sentenza già emessa.

Noi riteniamo che questa tesi risulti preferibile volta che si esamini un po'a fondo lo spirito che informa le disposizioni degli art. 704 e 706 Codice di comm. Scopo principale del fallimento è di stabilire l'eguaglianza fra i creditori. A raggiungerlo vennero sancite tutte le disposizioni infirmanti per frode, anche presunta, gli atti posti in essere dal fallito, a pro di alcuni creditori e a danno della massa, nel periodo in cui latente, sebbene non ancora dichiarato, era lo stato di fallimento. A determinare siffatto periodo sono volte le disposizioni concernenti la data di cessazione dei pagamenti.

In questa materia si trovano in conflitto da un lato i creditori favoriti da detti atti, dall'altro la massa dei creditori rappresentata dal curatore. Ora a favore della massa sono dettate le disposizioni che permettono di far risalire ad epoca anteriore a quella della dichiara

'Nella Temi veneta, n. 35 del 1897. 2 Loc. cit.

zione di fallimento la data della cessazione dei pagamenti (articolo 704 Cod. comm.). A garanzia dei creditori favoriti cogli atti, che sarebbero colpiti dalla presunzione di frode per effetto della retrotrazione della data di cessazione dei pagamenti, è invece concessa la opposizione alla sentenza che retrotrae tale data. Compito del curatore nell'interesse della massa è quindi di far risalire il più possibile la data di cessazione. Ma a limitarne il soverchio zelo sta, a difesa dei creditori favoriti, la facoltà di opposizione alla retrodatazione.

Da questi concetti, che ne sembrano chiari e intuitivi, scende logica questa conseguenza: che l'opposizione spetta ai creditori, non al curatore, e può avere soltanto lo scopo di combattere, non di favorire, la retrotrazione della data di cessazione. Questo risulta evidente anche dalla lettera dell'art. 706 che considera il curatore come contraddittore in detta opposizione, e così come convenuto e non come attore, e che permette l'opposizione solo contro sentenza che determini provvisoriamente ad un tempo anteriore la data della cessazione dei pagamenti, non contro quella che la fissasse, o esplicitamente o col silenzio, al di del dichiarato fallimento o della morte del fallito o del ritiro suo dal commercio.

I sostenitori della tesi contraria sono tratti a consentire l'opposizione anche al curatore per non lasciare indifesa la

massa contro la mancanza di determinazione dell'epoca di cessazione dei pagamenti o contro la determinazione di un'epoca troppo vicina precipitatamente fatta dal Tribunale. Ma in contraddittorio di chi dovrebbe il curatore promuovere siffatta opposizione, se la legge non lo dice? se anzi essa fa contraddittore il curatore a chi spiega l'opposizione di cui all'art. 706? E come potrebbe il curatore invocare l'art. 706 per far retrotrarre la data di cessazione, se quel precetto di legge regola l'opposizione contro la retrodatazione?

Le sentenze a noi contrarie dicono che il curatore proporrà la sua opposizione contro i creditori che per la retrodatazione vedrebbero colpiti i loro atti dalla presunzione di frode: il Vidari invece, nel suo trattato di diritto commerciale, indica in questo caso come contraddittore il fallito. Ecco come, a scostarsi dalla legge, si brancola nel buio. Chi può preventivamente accertare quanti e quali creditori potranno essere pregiudicati dalla retrodatazione? e come accettare quale contraddittore il fallito, se per effetto appunto del fallimento esso perde la sua personalità giuridica per quanto riguarda l'esercizio delle azioni e la difesa contro di esse (art. 699 Cod. comm.)?

No: il curatore ha altra via per far retrotrarre la data di cessazione dei pagamenti: espone i fatti raccolti nella trattazione del fallimento al giudice delega

to: il giudice delegato ne riferisce al Tribunale in Camera di Consiglio, e il Tribunale emette sentenza con cui retrotrae in via provvisoria: poichè a render definitivo il suo pronunciato necessita o che scorra senza opposizione, da parte dei creditori pregiudicati dalla retrotrazione, il termine degli otto giorni dalla chiusura del processo verbale di verificazione dei crediti, o che intervenga sentenza in contraddittorio tra i creditori opponenti e il curatore.

Solo in tal guisa sono davvero armonizzati gli interessi della massa e la difesa dei creditori, mentre la massa sarebbe sacrificata se, per seguire la tesi avversaria, mancasse modo al curatore, cui non è data l'opposizione dell'art. 706, di far correggere quella pronuncia con cui il Tribunale, sui primordî del giudizio di fallimento, avesse troppo affrettatamente fissato un'epoca, prima della quale le successive emergenze del fallimento comprovassero essere già da tempo seguita la cessazione dei pagamenti.

Di fronte allo spirito cosi evidente delle disposizioni regolanti l'istituto del fallimento, non possiamo dar peso soverchio alla dizione di sentenza al singolare, anzichè al plurale, adoperata negli art. 704 e 706, quasichè non si dica anche molte volte, nell'uso comune e nei testi di legge, l'uomo per significare gli uomini e ci sembra assurdo, per

tale dizione al singolare, sostenere che una sol volta il Tribunale possa pronunciare in via provvisoria sulla data di cessazione dei pagamenti, mentre sarebbe stato uopo di espressa disposizione per limitare al riguardo le facoltà del Tribunale. Tanto più che vi hanno effetti

ricorso, in Camera di Consiglio: epperciò appunto non formano cosa giudicata: e come il Tribunale, in sede onoraria, respinto una volta un ricorso, può, se questo viene ripresentato con nuovi elementi di convinzione, accoglierlo, cosi può fare in materia di determinazione provvi

vamente più pronuncie provvisoria della data di cessazione dei

sorie sulla data di cessazione dei pagamenti, anche adottando la tesi avversaria, ogniqualvolta vi sia la sentenza posteriore di cui all'art. 704 perchè quando - perché quando la sentenza dichiarativa del fallimento non dispone circa tale data, pel capoverso dell'art. 704 la cessazione si reputa avvenuta nel giorno della sentenza che dichiara il fallimento, ovvero nel giorno della morte del fallito o del di lui ritiro dal commercio, se il fallimento fu dichiarato dopo tali avvenimenti. Dunque in questo caso la prima sentenza di dichiarazione del fallimento per effetto del suo stesso silenzio induce una data per legge determinata: la sentenza posteriore determina una data anteriore a quella prima. Ora se possono darsi così due date portate da due sentenze successive, nulla osta che possano esservi anche due o più date fissate da due o più sentenze, dacché resta ad ogni modo sfatato l'argomento che dar non si possa se non un'unica determinazione di data in via provvisoria.

Si noti poi che tanto la prima quanto le successive pronuncie, in via provvisoria, seguono su

pagamenti, senza che per ciò si possa dire che il Tribunale contraddica a sè stesso violi la cosa giudicata. Della facoltà poi di pronunciare il Tribunale si spoglia allora soltanto che decida in contraddittorio, non in Camera di Consiglio allora, ma allora soltanto, munere suo functus est, e spetta esclusivamente alla Corte correggere il giudicato.

Concludiamo perciò non doversi, in ogni modo, sacrificare alla lettera della legge, suscettibile anche di diversa interpretazione, lo spirito di essa; non doversi ad una dubbia questione di forma sacrificare l'interesse vero della massa dei creditori, il quale richiede che si possa sempre, durante la verificazione dei crediti, correggere la data di cessazione dei pagamenti sugli elementi che detta verificazione offre al giudice; dacchè alla tutela dei creditori che potessero essere da ciò pregiudicati è provveduto in modo ampio e sicuro coll' accordare loro la facoltà di opposizione entro gli otto giorni successivi alla chiusura di detto verbale.

Avv. PIETRO FRUGONI.

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