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E che essa non fu la Portinari si ha da un altro fatto, al quale non vediamo che altri sin qui facesse attenzione, ma che a noi sembra solo decisivo. La morte del padre della donna di Dante è raccontata nel §. 22 della Vita Nuova, la morte di lei nel S. 29. Folco di Ricovero di Folco dei Portinari morì il 31 dicembre 1289, la donna di Dante il 19 giugno 1290. Fra la morte dell' uno e quella dell' altra scorsero soltanto cinque mesi e mezzo. Dato dunque che la Beatrice di Dante fosse la figlia di Folco Portinari, tutto ciò che è raccontato nei paragrafi 22 a 28 della Vita Nuova sarebbe avvenuto durante i cinque mesi e mezzo del lutto e, forse, della malattia di Beatrice. La cosa ci sembra troppo assurda per poterne ammettere un momento solo la possibilità. Morto il padre della sua donna, Dante ne lamenta la morte in due Sonetti. Appresso ciò pochi di » egli cade infermo e soffre « per molti di amarissima pena ». Si noti, che la frase per molti di significa in Dante non soltanto alcune settimane, ma mesi ed anni (cfr. gli alquanti dì, V. N. §. 40). Infatti dal suo racconto risulta che la sua fu una malattia assai grave e pericolosa. nato di questa infermità », egli detta la Canzone Donna pietosa e di novella etate. Alquanto più tardi, essendo il Poeta già perfettamente guarito dalla sua malattia, succede la quarta apparizione di Amore ed il sesto incontro con Beatrice (V. N. §. 24). Quindi, dopo la digressione sull'uso delle personificazioni nella poesia, Dante continua (V. N. §. 26): « Questa gentilissima donna, di cui ragionato è nelle precedenti parole, venne in tanta grazia delle genti, che quando passava per via le persone correano per veder lei; onde mirabile letizia me ne giungea. E quando ella fosse presso ad alcuno, tanta onestà venìa nel core di quello, ch'egli non ardia di levare gli occhi, nè di rispondere al suo saluto; e di questo molti, siccome esperti, mi potrebbono testimoniare a chi nol credesse. Ella coronata e vestita di umiltà s' andava, nulla gloria mostrando di ciò ch'ella vedeva ed udiva. Dicevano molti, poi che passata era: Questa non è femina, anzi è uno de' bellissimi angeli di cielo. E altri diceano: Questa è una maraviglia; che benedetto sia lo Signore che si mirabilmente sa operare! Io dico ch'ella si mostrava si gentile e sì piena di tutti i piaceri, che quelli che la miravano comprendevano in loro una dolcezza onesta e soave tanto, che ridire non la sapevano; nè alcuno era lo quale potesse mirar lei, che nel principio non gli convenisse sospirare. Queste e più mirabili cose da lei procedeano mirabilmente e virtuosamente ».

Quanto tempo abbraccia questo racconto? Soltanto i primi mesi del 1290, quando la Beatrice Portinari nei Bardi piangeva

la recente morte del padre?! Ciò è impossibile. Evidentemente il racconto abbraccia non solo qualche mese di lutto, ma qualche anno. Dunque il padre della donna di Dante morì assai prima del 31 decembre 1289; dunque egli non era Folco Portinari. O stiamo a vedere se alcuno ha il coraggio di sostenere, e fors' anche l' ingenuità di credere, che nei §. S. 22-28 della Vita Nuova non si parli che di fatti avvenuti dal 31 decembre 1289 al 19 giugno 1290!

Beatrice figlia di Folco Portinari andò sposa al cavaliere messer Simone di Geri de' Bardi. Sul fatto non può cadere il menomo dubbio, essendo confermato dal testamento di Folco del 15 gennaio 1288. Non si sa quando le nozze si celebrarono; alcuni credono già prima della primavera del 1283, altri più tardi. In ogni caso nel gennaio del 1288 era inoglie di Simone dei Bardi onde, se fu lei la donna di Dante, questi avrebbe amato, idolatrato la moglie altrui. È ben vero che i costumi del tempo erano diversi dai nostri; che l'amore di Dante per Beatrice non era nato da sensualità, la quale anche più tardi poco o nulla ci entrava; che per i trovatori e poeti del Trecento era cosa del tutto indifferente se la donna amata fosse nubile o maritata, e che anche Dante, secondo la costumanza del tempo, fece all' amore in versi. Ma è però chiaro dalle sue opere che l'amore di Dante per Beatrice non fu un semplice amore poetico e convenzionale, come solevano essere gli amori dei trovatori e poeti prima di lui e suoi contemporanei. Fu anzi un amore vero, profondamente sentito, che anche la morte della donna amata non valse a spegnere e nemmeno ad intiepidire. Tanto profondamente sentito, che esso fu decisivo per la vita intima come pure per l'indirizzo intellettuale del Poeta. Lo afferma Dante stesso e col titolo del suo lavoro giovanile e là dove dice di non voler trattare della morte di Beatrice, perchè, volendolo fare, gli converrebbe essere laudatore di sè medesimo, sulle quali parole non era veramente necessario di fantasticare e disputar tanto, la chiave della loro interpretazione essendo il verso 105 del canto II dell' Inferno. Chè se veramente l'amore per Beatrice stimolò Dante ad uscire dalla volgare schiera, ben s'intende che non poteva farne il necrologio senza accennarvi, e che un accenno tale avrebbe suonato lode di sè medesimo. Un amore di questo genere non vuolsi confonderlo cogli amori convenzionali e non di rado poeticamente finti dei trovatori e poeti ordinarî. Inoltre Dante non fece all' amore soltanto in versi, ma anche in prosa, e nella Vita Nuova e nel Con

vivio. Saravvi appena chi sappia capacitarsi, come mai l'austero Alighieri abbia parlato così seriamente del suo amore per Beatrice in un lavoro didattico e scientifico come il Convivio, se quell'amore non fu tutt'altra cosa che quello solito dei poeti e di altra gente del tempo. Anzi, nel Convivio, dove e' si mostra tanto geloso del suo buon nome, a segno da convertire in pura allegoria la donna gentile, la bella consolatrice che nella Vita Nuova di allegorico non ha proprio nulla, il dotto autore non avrebbe certo ricordato il suo amore per Beatrice, quando essa fosse stata la sposa altrui.

Ma vedete? dicono, Dante chiama due volte nelle Rime la donna sua monna Bice; la qualificazione di monna o madonna era riserbata alle sole maritate, ma a non maritate non data mai. Ecco dunque provato che la Beatrice di Dante era maritata. Per noi questo argomento non è di verun peso. Ammettiamo di buon grado che in cronache e documenti, come pure nella vita pubblica e privata il titolo di monna o madonna non si dava che alle maritate; ma questo fatto nel caso nostro non prova nulla, se non si mostra che anche i poeti nelle loro canzoni e nei loro. sonetti non si scostavano da tale usanza. Ed il mostrarlo sarà per avventura un po' difficile. O che erano tutte quante maritate le innumerevoli monne o madonne dei poeti antichi? Ma fosse pure; se Dante, come egli stesso racconta, si dava tanta premura di custodire il suo secreto, qual maraviglia se nelle sue Rime dava all'oggetto dell' amor suo un titolo che non gli apparteneva? Se egli fingeva amori per altrui a segno da dar luogo ai pettegolezzi della gente ed eccitare persino lo sdegno dell' amante, non poteva egli assai più facilmente fingere una qualificazione della sua donna, la quale, appunto perchè non le era data, giovava non poco a serbare il segreto? Dunque il « monna Bice », usato dal Poeta, non prova, nè che la sua donna fosse maritata, nè che fosse nubile.

Invece da una bella serie di argomenti risulta, a parer nostro, che la donna di Dante era nubile e mori nubile. Questi argomenti furono già fatti valere in altri nostri lavori (Prolegomeni, p. 191 e segg.; Dante-Handbuch p. 186 e segg.), onde non crediamo necessario di metterli qui nuovamente in ischiera. Constatiamo soltanto il fatto, che sin qui a quegli argomenti non fu risposto che con frasi generali sulle costumanze del tempo e sugli amori per rima, frasi che, nel nostro caso, sono inattendibili. Finchè gli argomenti fatti valere non saranno pienamente confutati, ci permetteremo di considerare come dimostrato e provato, che la donna di Dante non fu

mai legata da alcun vincolo matrimoniale, che per conseguenza non fu la figlia di Folco Portinari.

Se non avessimo altre notizie sulla Beatrice di Dante, tranne quelle che si leggono nelle sue proprie opere, è fuori di dubbio che nessuno avrebbe mai pensato alla moglie di messer Simone dei Bardi. Ma abbiamo la testimonianza del Boccaccio, alla quale in questi ultimi anni si aggiunse quella di un codice del commento alla divina Commedia attribuito a Pietro figlio di Dante. Dell' autenticità di quest'ultima testimonianza sarà lecito di dubitare sul serio. Come tutti sanno, essa non si trova che nel solo codice Ashburnhamiano, la cui antichità ed importanza non vogliamo certo, negare, ma che non è poi il Vangelo. Perchè manca quel passo, di importanza capitale, in tutti gli altri codici sinora conosciuti? Datane l'autenticità si dovrebbe ammettere che tutti gli amanuensi omettessero, a caso o a bella posta, un passo di tanta importanza. È ciò ammessibile? Non crediamo. Invece la cosa è assai semplice, se il passo fu introdotto nel testo del commento da chi o aveva letto il Boccaccio, o aveva udito dire da qualche altra persona che la Beatrice di Dante fosse «nata de domo quorundam civium florentinorum qui dicuntur Portinarii. » Si comprende facilmente che taluno poteva notare questo che egli credeva un fatto storico sul margine, e che un amanuense introdusse quindi la chiosa nel testo, ritenendola parte integrante di esso. E si comprende pure che un amanuense aggiungesse lui al testo che copiava questa notizia da lui creduta storica ed indubbia, la quale però, a dire il vero, nel commento di Pietro ci sta come il cavolo a merenda. Il lavoro di Pietro di Dante appartiene a quella classe di commenti antichi della divina Commedia che si curano esclusivamente della Beatrice allegorica, mentre della Beatrice storica o non sanno o non vogliono saper nulla. Quando il passo in questione fosse autentico, diversi altri passi del commento di Pietro dovrebbero di necessità suonare un po' diversamente da quel che suonano.

La testimonianza di Pietro Alighieri è dunque, per dir poco, alquanto problematica. Veniamo a quella del Boccaccio.

Se essa si leggesse soltanto nel Trattatello, noi la chiameremmo inattendibile senza occuparcene ulteriormente. Non già perchè crediamo che abbia ragione il dott. Prompt, il quale nel suo recentissimo e paradossissimo lavoro sostiene che il Trattatello sia apocrifo; il Boccaccio lo ha citato nel Commento, dunque è roba sua. Ma tutto quell' idillio boccaccesco del Calendimaggio non è altro che poesia, e per le indagini storiche non ha il menomo valore.

Quale importanza può dunque avere una notizia che si legge in questo esercizio di rettorica poetica? Se non che la notizia si legge pure nel Commento del Certaldese, il cui carattere e valore sono un po' diversi da quelli del Trattatello. E qui il Boccaccio (Commento, lezione VIII. Ediz. Milanesi I, p. 224) si fonda sulla «relazione di fededegna persona, la quale conobbe Beatrice, e fu per consanguineità strettissima a lei ». Ma quei Fiorentini, ai quali messer Giovanni di viva voce esponeva il Poema sacro, sapevano che la Beatrice di Dante fu la figlia di Folco Portinari, o non lo sapevano? Se lo sapevano, qual mai bisogno c'era di invocare la testimonianza della « fededegna persona »? Fu adunque questo Bismarck, secondo la relazione di fededegna persona, il primo cancelliere del nuovo impero Germanico..... chi non vede il ridicolo di questa frase? Eppure la frase è esattamente modellata su quella del Boccaccio! Al quale certo non sarebbe sfuggito che egli incorreva nel ridicolo invocando la « relazione di fededegna persona» in prova di un fatto che a' suoi uditori era già noto. Dunque i Fiorentini ignoravano chi si fosse stata la Beatrice di Dante, ed allora si comprende assai bene che il Boccaccio invochi la fededegna persona. Ma se lo ignoravano gli altri, d'onde lo sapeva dopo tanti e tanti sconvolgimenti la fededegna persona? Si potrebbe rispondere che lo sapeva, perchè era, « per consanguineità strettissima » a Beatrice. Hanno saputo i genitori e gli eventuali fratelli e sorelle della donna di Dante che il Poeta vagheggiava la loro figlia e sorella? Vista la gran premura che il Poeta si dava che nessuno indovinasse chi si fosse il vero oggetto dell'amor suo, si direbbe di no. E poi, chi era la fededegna persona? Un uomo o una donna? Dai termini usati dal Boccaccio pare che fosse una donna. E qual era il suo grado di parentela colla Beatrice Portinari nei Bardi? Se questa, come è poco meno che indubbio, morì senza prole, non poteva essere qualche suo discendente. Dunque il figlio o la figlia di qualche fratello o sorella della Beatrice Bardi-Portinari? Ma costoro, come potevano essere al fatto della cosa? L'udirono dal babbo o dalla mamma? Non sarebbe impossibile. Quando Dante fu salito in alta fama, quando il suo massimo Poema colla sua apoteosi di Beatrice eccitava l'universale ammirazione era troppo naturale che i signori e le signore Portinari (e Bardi?) desiderassero prima, poi congetturassero, poi credessero e finalmente divolgassero, la donna divinizzata da Dante essere stata la sua vicina, e quel che più importa, la loro parente, consanguinea. Ma qual valore ponno avere in questo caso le loro affermazioni? Insomma, la «< fededegna persona» ci sembra ben poco degna di fede. Ma il Boccaccio, da quel

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