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facilone che egli era, prestò fede ad un' affermazione nata dall' ambizione e dalla vanagloria, e la ripetè senza curarsi nè tanto nè poco della critica storica, che, come tutti sappiamo, per lui non esisteva.

Quel riferirsi, che fa il Boccaccio nel Commento, alla «relazione di fededegna persona », risveglia spontaneamente un sospetto. Nel Trattatello egli racconta che la Beatrice di Dante fu la figlia di Folco Portinari senza pensare di addurre alcuna prova del fatto, come se si trattasse di cosa non soggiacente a verun dubbio. Nel Commento egli rimanda espressamente al Trattatello per quanto concerne la vita ed i costumi di Dante, suppone per conseguenza, che i suoi uditori conoscano quel suo lavoro. Eppure parlando di Beatrice egli trova opportuno di addurre la testimonianza della « fededegna persona ». Pare quindi che fossero sin d'allora nati dei dubbi sulla verità di quanto in proposito il Certaldese aveva affermato nel Trattatello, e che nel Commento egli mirasse per l'appunto a togliere di mezzo quei dubbi. Or se fin d'allora erano nati dei dubbi sull'identità della Beatrice Portinari-Bardi e della Beatrice di Dante, come faremo noi, dopo oltre cinque secoli, a non dubitarne?

E che i dubbi erano veramente nati, è un fatto innegabile. È ben noto che per la gran maggioranza dei commentatori antichi la Beatrice della divina Commedia è un mero simbolo, il che non sarebbe possibile, quando essi avessero saputo qualche cosa della Beatrice Portinari amata da Dante. Ed anche coloro che non negano la realtà femminea della Beatrice di Dante si fermano sulle generali, senza dirci chi veramente si fosse stata nel mondo questa donna. Non lo avrebbero detto, se lo avessero saputo? Anzi, Francesco da Buti nega espressamente la corporeità della Beatrice dantesca, ed il suo ma non è così sembra diretto a confutare quanto racconta messer Giovanni. Non ci era egli mai venuto, il Buti, da Pisa a Firenze? Egli, pubblico lettore della divina Commedia, non si era informato a Firenze delle cose di Dante? Ma non è così? Come, se nella patria di Dante si sa che la Beatrice di Dante fu la figlia di Folco Portinari? Quel ma non è così è prova provata che al racconto del Boccaccio non si credeva già nel Trecento; non si credeva a Pisa, e non si credeva nemmeno a Firenze.

Leonardo Bruni, chi sappia leggerlo, nega anch'egli la verità di quanto afferma il Boccaccio, ed è in questo punto così sicuro del fatto suo, che non esita di fare acerbo rimprovero a messer Giovanni. Il fondamento del biasimo, avere il Boccaccio scritto la vita di Dante « come se a scrivere avesse il Filocolo, o il Filo

strato, o la Fiammetta, » è evidentemente l'idillio del Calendimaggio con il rimanente che il Certaldese racconta degli amori di Dante colla Portinari. Onde il Segretario Fiorentino, raccontati i fatti d'armi ai quali il massimo Poeta prese parte, continua: «Vorrei, che il Boccaccio nostro di questa virtù avesse fatto menzione, più che dell' amore di nove anni, e di simili leggerezze, che per lui si raccontano di tanto uomo. Ma che giova a dire? la lingua pur va dove il dente duole, e a chi piace il bere sempre ragiona di vini » . Dunque per il Bruni quanto in proposito racconta il Boccaccio non è che una bella favola, chè il biasimo sarebbe assolutamente fuor di luogo, quando il Bruni avesse creduto vero ciò che il Certaldese racconta. Chi racconta il vero non merita biasimo. Ma se favoloso è il racconto del Boccaccio, se la nota del codice Ashburnhamiano non è autentica, su qual mai fondamento sta l'opinione, che la Beatrice di Dante fosse la figlia di Folco Portinari?

Dunque chi fu dessa nel mondo reale? Come si chiamava col suo nome di battesimo? A quale famiglia apparteneva? Chi furono i suoi genitori, fratelli e sorelle? Non lo sappiamo, non lo sapevano nemmeno gli antichi commentatori, non lo sapevano nemmeno i coetanei del Poeta. Questi seppe tener celato l'oggetto del suo amore a segno da far credere alla gente che fosse innamorato di un'altra. Morta l'amata è ben certo, che egli non pensò mai a svelare il suo segreto. Se lo stesso Pietro, o gli altri suoi figli gli avessero chiesto: «Per cui t'ha così distrutto questo Amore?» egli sorridendo li avrebbe guardati, e nulla detto loro (cfr. V. N. § 4). Del resto figli tanto o quanto costumati non interrogano i genitori sui loro amori giovanili, nè genitori decenti parlano di essi ai loro figli. Dire che Pietro Alighieri seppe per bocca dello stesso Poeta che la sua Beatrice fu la Portinari, sarebbe un' assurdità, se non fosse una sciocchezza.

Quando Dante, marito e padre, prendeva parte agli affari della Repubblica, vi sarà stato a Firenze appena una monna Berta o un ser Martino che si curassero di sapere chi Dante avesse amato nella sua giovinezza. E certo persona non se ne curò più nè tanto nè poco dopo gli sconvolgimenti del 1301, quando il Poeta, scacciato, condannato e maledetto dalla patria, andava errando di luogo in luogo e mostrando, contro a sua voglia, la piaga della fortuna. Chi là sui primi del Trecento fosse andato a Firenze ad informarsi della personalità della donna amata da Dante, non avrebbe ottenuto altra risposta, se non: «Che ne sappiamo noi? E che importano a noi gli amori giovanili di un uomo bandito, di un condannato ? >>

Più tardi le cose cambiarono aspetto. Il Poema sacro salì in fama, e col Poema la donna in esso divinizzata. Adesso sì che incominciava ad importare alla gente di sapere chi quella donna fosse stata nel secolo. Dante la chiama Beatrice; dunque, si concluse, questo era il di lei nome di battesimo. Stabilito ciò, si andava investigando quali fanciulle e giovani donne così si chiamassero ai tempi del Poeta. Si trovò (tra altre?) la Portinari nei Bardi, già vicina del Pocta, e si congetturò, quindi si affermò, e finalmente si crede che fosse veramente costei. Qualche parente della figlia di Folco lo disse al Boccaccio, il quale probabilmente non sognò le conseguenze che doveva avere il fatto, di avere egli eternizzata la leggenda della Beatrice Portinari nei Bardi, amata da Dante.

Ma di gran lunga non tutti prestarono fede alla leggenda. I commentatori indipendenti dal Boccaccio non vi badarono, contentandosi di esporre il senso allegorico della Beatrice del Poema sacro, senza occuparsi di una questione, la quale era per essi non meno insolubile che non sia per noi. Il Boccaccio trovò poi molti seguaci, accanto ai seguaci però anche oppositori, che, come il Buti, gli opposero un non è così, secco, secco. Tanto grande era nondimeno l'autorità del Boccaccio, che la leggenda, da lui accettata ad occhi chiusi come storia, fu come tale accettata anche dai posteri, ad eccezione di coloro che negavano e negano la realtà corporea della Beatrice di Dante, convertendola in un simbolo, o in un ideale.

Per ora la Beatrice Portinari nei Bardi troverà senza dubbio ancora i suoi paladini. Ma, secondo la nostra convinzione, la sua causa è perduta. Verrà il tempo, in cui tutti andranno d'accordo che la Beatrice di Dante non fu la figlia di Folco Portinari e moglie di messer Simone di Geri dei Bardi.

DOTT. SCARTAZZINI.

DANTE E LA ROMAGNA

(Cfr. Quaderno 1, pag. 19).

II.

La conversazione fra Dante e i due gentiluomini romagnoli nel secondo cerchio del purgatorio è, come già ho accennato, occasione al poeta per tratteggiare un quadro della società cavalleresca di Romagna, di cui egli celebra le glorie passate in confronto all'avvilimento della decadenza presente. Quale differenza, e quali trapassi dallo splendore e dalle virtù civili e private della nobiltà romagnola nei primi anni del secolo XIII alla miseria e ai vizi onde essa apparve tralignata sul principio del XIV al poeta peregrinante per le terre distese ai piedi dell' Apennino tra il Reno e la marina! Alle virtù cavalleresche delle antiche case romagnole, nelle quali l'ideale eroico era temperato dallo spirito delle avventure d'amore e la fierezza degli animi e degli atti non si dissociava da miti sensi d'amicizia e di liberalità, l' Alighieri contraponeva l'impoverimento e lo spegnimento delle schiatte e i tristi effetti della cupidigia d'avere e dell'ambizione di signoria :

Le donne e i cavalier, gli affanni e gli agi,

che ne invogliava amore e cortesia,

là dove i cor son fatti si malvagi (Purg. XIV, 109)...,

... dentro a questi termini è ripieno

di venenosi sterpi, sì che tardi

per coltivare omai verrebber meno (ivi, 94)......

Romagna tua non è, e non fu mai,

senza guerra ne' cor de' suoi tiranni (Inf. XXVII, 37)...

Contemplando il doloroso spettacolo, Dante non sapeva darsi pace di tanta decadenza; ripercorreva con la mente i nomi e i fatti dei gentili uomini, che in Romagna erano stati esempi di cittadine e domestiche virtù, e un grido amaro gli prorompeva dal cuore:

O Romagnoli tornati in bastardi!

Meglio, egli pensava, meglio assai la fine, per quanto dolorosa, di coteste razze già gloriose; e fortunati chiamava coloro i quali erano morti senza lasciare alcun erede che tralignando potesse oscurare la fama incorrotta della famiglia; sebbene pur sempre gli incresceva di vedere come un fatale dissolvimento gravasse sopra le case più illustri: non ti meravigliare, dice al Poeta Rinieri da Calboli (Purg. XIV 103 e segg.), se io piango di giusto dolore quando ricordo

la casa Traversara e gli Anastagi,

e l'una e l'altra gente è diredata.

La famiglia dei Traversari (domus Traversariorum, dicono i cronisti e i documenti del tempo) aveva vanto di antichissime origini, come quella che credevasi derivata da Teodoro prefetto di Ravenna sotto Odoacre, il quale avrebbe fatta edificare in mezzo alla pianura bagnata dal Lamone il castello di Traversara, onde più tardi i suoi discendenti avrebbero preso il cognome. Girolamo Rossi, che abbozzò un albero genealogico di questa famiglia ', trovò che il primo ad assumere la designazione de Traversaria fu Paolo Duca, già morto nel 947: da lui, per una discendenza che non è in ogni sua parte chiarissima, venne Guglielmo, vissuto nella prima metà del secolo XII, il quale sarebbe stato, secondo lo storico ravennate 2, padre a Pietro Traversari, onorevolmente ricordato da Dante (Purg. XIV, 98). Se non che un documento autentico ci avverte che il Rossi cadde in errore e ci attesta che padre al personaggio dantesco fu un altro Pietro, il quale nel 1196 già era defunto ; onde s' affacciano subito questioni assai difficili a risolvere, quali cioè delle carte anteriori a quest'anno, in cui sia fatta menzione di Pietro Traversari si debbano riferire al padre e quali al figlio. A Pietro seniore accennano probabilmente due carte degli anni 1174 e 1178, nell' una delle quali appare come testimonio a un'investitura fatta da Gherardo arcivescovo

....

1 Quest'albero, Traversariorum propago,. ex vetustis monumentis, si trova in fine agli Historiarum ravennatum libri di G. Rossı; e con notevolissime differenze dalla prima edizione (Venezia, Aldo, 1572) alla seconda (Venezia, Franceschi, 1590): in questa è posto come capostipite Paulus dux, con la nota: hunc primum reperi de Traversaria fuisse appellatum; con le quali parole il Rossi assai probabilmente si riferiva al documento del 947, pubblicato poi dal FANTUZZI, Mon. rav. I, 123, ove Paolo Duca è ricordato come già defunto. Il Rossi pone accanto al nome di Guglielmo Traversari le date 1116, 1131 e 1151; i documenti che lo riguardano, in FANTUZZI, II, 264, 269, III. 38, 39, 290, 382, IV, 254, 2573 FANTUZZI, V, 467 e I. di S. LUIGI, Delizie degli erud. VIII, 165: il documento non lascia luogo a dubbi di sorta, perchè Pietro Traversari del fu Pietro vi è ricordato insieme con il proprio figliuolo Paolo, con la moglie Imilia e con la nuora Beatrice.

Giornale Dantesco

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