Slike stranica
PDF
ePub

vittoria dei guelfi angioini e dalle disordinate fazioni dei guelfi e dei ghibellini. Il concetto del l'unità della famiglia romana e del fondersi delle varie nazioni nella unità della vita publica è una di quelle verità che scaturendo dalla profondità del pensiero cristiano, e ritraendo vita e nutrimento dall'avanzarsi della civiltà, non sono di certo destinate all'oblio. Dante disegnò nella sua mente un altissimo ideale; s'ingannò in una cosa sola: nel credere che prossima e facile ne potesse essere l'attuazione. Ctr. no. 98.

[blocks in formation]

Ricci Corrado. Cfr. no. 100.
Rocquain Félix.

(92

La cour de Rome et l'esprit de réforme avant Luther. I. La théocratie. Apogée du pouvoir pontifical. Paris, Thorin et fils, edit., (Chatillon-sur-Seine, Pichat et Pepin), 1893, in 8°, di pagg. VIII-428.

Tavola delle materie. I. Fondation de la théocratie: Le monde et l'Eglise à l'époque d'Hildebrand; Les commencements d' Hildebrand, 1046-1073; Grégoire VII, 1073-1085. II. Les prémiers successeurs de Grégoire: Victor III, Urbain II, 1086-1099; Pascal II, 1099-1118; Gélase II, Calixte II, 1118-1124. III. La cour de Rome: Honorius II, 1124-1130; Innocent II, 1130-1143; Célestin II, Lucius II, Eugéne III, 1143-1152. IV. Attaques des souverains sécu liers: Eugéne III, Anastase IV, Adrien IV, 1152-1159; Alexandre III, 1159-1167; Alexandre III, 1167-1181. V. Apogée du pouvoir pontifical: Lucius III, Urbain III, Grégoire VIII, Clémet III, Celestin III, 1181-1198; Innocent III, 1198-1208; Innocent III, 1208-1216. (93

Sabbadini Remigio. Un secondo Leonardo aretino e le origini di Plinio e Svetonio. (In Rivista etnea. Anno I, no. 1).

Tratta di un Leonardo di Arezzo che nel 1414, o giù di lì, era allo studio di Padova sotto il Barzizza: e publica di lui alcune lettere, una delle quali aveva data già in luce il Gamurrini erroneamente attribuendola a Leonardo Bruni.

Soartazzini Giovanni Andrea.

[ocr errors]

(94 Aus der neuesten Dante-Literatur. (In Beilage-Nummer 81 zur Allgemeinen Zeitung. Aprile, 1893).

Parla di Alcuni studi su Dante Alighieri del Poletto, i cui giudizi rispetto al potere temporale dei papi non posson essere spassionati; esamina nelle sue parti l'importante volume Year Book of the American Dante Society; dà giudizio sfavorevole sulla Beatrice Portinari del padre Berthier; rileva il moltiplicarsi delle edizioni del poema dantesco anche al meglior mercato, come quella dell'editore Barbèra di Firenze a cinquanta centesimi, le quali non giovano, per altro, in nessun modo, rispetto al testo critico che, se ci basti la vita, ci vedremo offerto dalla Società dantesca italiana di Firenze, e quindi accenna alla edizione minore del proprio commento lipsiense datoci testè dall' Hoepli, e tratta, poco favorevolmente, di quella impresa dal Berthier di Freiburg e dal Penco. Applaude all'edizione udinese del commento del Bambaglioli, presentata dal Fiammazzo (cfr. il no. 74 di questo Bollettino) e a quella ponteficia di fra Giovanni da Serravalle (non Senavalle) curata dai padri Marcellino da Civezza e Teofilo Domenichelli; e, finalmente, ragiona delle traduzioni tedesche recenti del poema di Dante e delle illustrazioni artistiche Luca Signorelli's Illustrationen zu Dante's divina Commedia (a cura di Franz Xaver Kraus, Freiburg i. B., 1892), Die Kunstlehre Dante's und Giotto's Kunst, (a cura di Hubert Janitscheck, Leipzig, 1892) e del manoscritto grenobliano dell' Eloquenza vulgare publicato a cura del Maignien e del dr. Prompt (Leo S. Olschki di Venezia, editore, 1892). (95

Simonetti Giuseppe. I biografi di Castruccio Castracani degli Antelminelli. (In Studi storici. Vol. II, no. 1).

Nel corso di meno di un secolo abbiamo quattro vite di Castruccio: quella scritta dal Tegrimi, quella di Niccolò Machiavelli, quella di Aldo Manuzio iuniore e quella del Richi. L'autore passa qui in rassegna, una ad una, queste biografie, per concludere che tutti gli

storici del Castracani non fecero altro che camminare sulle tracce del primo biografo di lui, col quale l'apoteosi dell' Antelminelli incomincia, dopo le crudeli ed ingiuste guerre fatte a Lucca dai fiorentini, e dopo le usurpazioni territoriali che ebbero a soffrire i lucchesi per parte di questi ultimi. Era come una vendetta e una rappresaglia il gettare in faccia ai fio. rentini il racconto delle prodezze del loro grande inimico, benchè, nel fatto, la dominazione di Castruccio a Lucca fosse stata esiziale. (96

Stampini Ettore. Alcune osservazioni sulla leggenda di Enea e Didone nella letteratura romana. (Recensione firmata E. C., ivi).

Lo Stampini, dopo aver fatte alcune osservazioni sull'episodio vergiliano di Enea e Didone, ritiene che ci sia del vero nella vecchia opinione del Niebuhr, che cioè la leggenda troiana sia indigena nel Lazio, inquantochè essa, pure essendo di origine greca, per opera dei romani e dei latini acquistò maggiore amplificazione ed accentuò sempre più il suo carattere antiellenico preso nella Sicilia occidentale. Quivi essa sarebbe stata viva già prima di Stesicoro e nei primi anni della republica sarebbe passata nel Lazio, come naturale prodotto dell'importazione del culto di Venere Ericina: e in una leggenda locale della Sicilia stessa sarebbe stato il germe del legame che unì, più tardi il nome di Enea a quello di Didone e diede a Nevio oggetto di epica poesia. Lo Stampini, in fondo, accetta così l'opinione del Nissen e si scosta invece da quella dello Schwegler. Egli sostiene la sua tesi con dottrina e chiarezza e con pregevole eleganza di esposizione. (97

-

Tamassia Nino. Recensione del libro di Carlo Cipolla « Il trattato De Monarchia di Dante e il De potestate regia et papali di G. da Parigi. (In Rassegna bibliografica della letteratura italiana. Anno I, no. 3).

L'oggetto delle feconde ricerche del Cipolla è riassunto fedelmente in queste parole nelle quali sta tutto il disegno del lavoro suo: « Esaminare come Dante intenda l'Impero nel libro che ha dedicato ad esso espressamente, e vedere le relazioni che le sue opinioni hanno con gli scritti del tempo... ». Per comprendere bene il concetto dantesco affermato nel De Monarchia l'autore è tratto a studiare ne' documenti dell'età il valore, per così dire, pratico e dottrinario dell'impero e l'opposizione esistente già fra l'impero romano in senso tradizionale, cioè quasi mondiale, e il più ristretto e meno remoto dalla realtà. Dante ha lo sguardo rivolto al guelfismo francese, ed è contro questo che egli drizza i suoi strali vigorosi. Ai tempi di Dante s'iniziavano i primi tentativi della monarchia francese per tramutare quello stato feudale in robusta unità di regno: e il pensiero politico e scientifico accompagnava quegli sforzi. Giovanni da Parigi, morto nel 1306, combatte fieramente la monarchia universale; nulla vede di provvidenziale nel vecchio impero romano, che non diede la decantata pace al mondo, che fu costituito per forza d'armi. Lo scritto del giurista francese ha un carattere polemico; sostiene e prova la piena indipendenza del suo paese dall'impero. Al contrario Dante: per Dante la continuazione e il perfezionamento dell'impero romano si hanno nel concetto di una monarchia universale, nella quale tutte le nazioni debbon esser comprese. Il Cipolla, esponendo le idee di san Tommaso, di Egidio Colonna, di Dante, di Giovanni di Parigi e confrontandole nel modo più acconcio, giunge alla conclusione che leggendo questi varii trattati l'uno accanto all'altro, vediamo diminuire la originalità di ciascuno. E sia: ma per mezzo di questi raffronti riusciamo a conoscere le diverse correnti scientifiche dei tempi, una delle quali è così scultoriamente delineata nell'opera dantesca. Cfr. no. 92. (98 Tenneroni Annibale.

[ocr errors]

Di un compendio sconosciuto della « Cronica di G. Villani Roma, Forzani e C. tipografi del Senato, 1893, in 8.o, di pagg. 8.

Dà la notizia e la descrizione di un codice che insieme ad altro importante manoscritto villaniano del finir del trecento o de' prim' anni del quattrocento, saranno indicati nella terza parte, ora in corso di stampa, del Catalogue des livres de feu M. le comte Jacque

Manzoni. Il codice, cartaceo, in 8.o, alto m. 0.210 e largo m. 0,143, appare scritto nell' ultimo terzo del XIV o, al più tardi, nel principio del secolo XV. Contiene un compendio della Cronica di Giovanni Villani, compilato e scritto con lettera di forma corsiva, angolosa, molto stretta con unioni continue di parole, correzioni e giunte interlineari da Domenico del Terosi, calzolaio di Firenze, come ne attesta la sottoscrizione al recto della carta 213. Il codice consta di duecentosedici carte aventi un giglio per filigrana, numerate da mano antica, eccetto le ultime tre, con linee scritte da 35 a 56 per pagina; ha bianche le carte 41 verso e 42 recto, offese dalle tarme le carte 1-5 e 211-216, e restaurate o macchiate le prime venti. Ad ogni quaderno di dodici carte son richiami e piccoli spazi vuoti per le iniziali dei capi i quali vi si succedono, senza distinzioni in libri, segnati di numero originariamente sino al XIII, e preceduti quasi sempre da titoli nello stesso carattere ed inchiostro nero del testo. chiusi fra due trattini. Nei margini, sei disegni a penna, rozzamente tracciati da mano posteriore, dei quali tre ricordano il ponte a s. Trinita, a carte 36 recto; la Ciesa di sta *** (Croce) quando si comicio, a carte 85 verso; e di santa Maria del Fiore come si chrebe, a carte 104 verso, colla celebre cupola. Conserva il volume, guasta in più parti, la legatura originale, in asse ricoperte di cuoio scuro con impressioni a secco e vestigia di borchie e termagli: vi precede un foglio di risguardo membranaceo, tagliato circa la metà. Il testo comincia al recto della prima carta: cronache fiorentine | [q] uia apreso brieue mente chonteremo len | ouita antiche di fiorenza presso la citta di fiesola disfatta per gli ro| mani giulio ciesare il quale aueua auta | quella vitoria con sua giente isciese gi| uso alpiano preso alla riua darno: la dove | fiorino chonsue hoste era istato morto da fiesolani.... Firisce col capitolo 51 del libro XI, che va da carte 215 recto a 215 verso e s'intitola: chome le brigate di meser mastino chaualcarono in | sul contado di firenze. Segue la sottoscrizione. Scritte di una diversa mano e posteriore son le note di varii soggetti nel margine della carta 13 verso a 107 recto e il relativo indice o tavola a carte 214. Il Terosi principia le sue cronache con una riduzione dei capi 38 e 42 del I libro, Come di primo fu edificata Firenze, e Come in Firenze fu fatto il tempio di Marte (ediz. del Magheri, Firenze, 1823) dopo di che salta al capitolo 57, Martirio di san Miniato; quindi dal capo 60, Come la fede cristiana fu prima nella città di Firenze, ai capitoli, 3, 4, 6, 15 del Il libro, e sempre seguitando nel metodo propostosi, di escludere, cioè, i fatti non appar tenenti a Firenze, giunge al capitolo 51 dell' XI libro, ossia al 15 di luglio 1336, dove precisamente pure si arrestano il compendio anonimo serbatoci dal codice Magliabechiano 1, 252 ed altri apografi che credonsi derivati da un testo rimasto mutilo a quel punto. A dar qualche idea del come e quanto il Terosi, a differenza dell'anonimo, ora trascriva, or riduca e qualche volta anche agginga, il Tenneroni offre in saggio il capitolo 25 del V libro del Villani dal codice della Riccardiana 1532 co' due compendi, la cui indipendenza tra loro per più ragioni si fa palese ed avverte che il capitolo 124 del VII libro riportato dal calzolaio fiorentino per intero, è compendiato dall' anonimo in pochi righi: e che il noto passo del capitolo dedicato a Dante sul comento delle XIV canzoni e sul trattato di Volgare eloquenza, del quale il Riccardiano 1532 manca, leggesi invece nell' autografo del codice manzoniano, che in ciò concorda coll' altro Riccardiano segnato 1533, della fine del trecento. Di Domenico di Giovanni Del Terosi, novello onore delle arti fiorentine, tacciono le bibliografie toscane e il Tenneroni fa sapere che ogni sua ricerca fatta altrove è riuscita vana. Con tutto ciò, il nome, da prima ignoto, del calzolaio riduttore della Cronica non andrà, d'ora in poi, disgiunto da quello del primo storico d' Italia nostra. (99

[Tremacoldo]. San Francesco d'Assisi. (In Folchetto. Anno II, no. 96).

-

Rende conto della conferenza tenuta dal dottor Corrado Ricci nella sala del Collegio romano il 6 dello scorso aprile. L'oratore, con la parola facile, semplice e pure effica

cissima, con la coloritura chiara dei particolari, delle figure, del paesaggio, ha precisamente trasportato gli ascoltatori fuori del secolo presente, nel mondo dove san Domenico e san Francesco d'Asisi, Dante e Giotto vivevano. Il medioevo ebbe specialmente due fatti, diremo, sociali: la violenza brutale e le eresie. I due santi, accomunati appunto in una terzina di Dante (Paradiso, XI, 37-39), finirono per contrapporsi a quei due vizi del tempo. San Domenico, ingiustamente accusato d'aver creato il tribunale della inquisizione, ebbe una vita di dotto combattente e trascorse il mondo come torrente d'alta vena pieno: san Francesco, invece, ingentilì gli animi e convertì i violenti: la vera adorazione delle stelle, della luna, del sole, delle piante, è tutta una conversione delle anime all'amore, alla pace, alla gentilezza. Il parallelo che il Ricci ha fatto tra l'atleta della chiesa e il poverello d'Asisi è stato splendido. La diversità de' due santi si trova nel presagio, dove le loro opere si compirono, nella loro morte stessa, nei simboli che l'arte ha scolpiti sui loro sepolcri. La figura di san Domenico è necessaria perchè spicchi bene dallo sfondo quella del frate poverello. San Francesco predicava in modo strano; le sue parole erano come i suoi fioretti: massime staccate, senza una tesi logica, senza una dimostrazione teologica. Ma quell'arte, e forse più la persona del fraticello, esercitava sulla moltitudine un fascino grande. Dopo le sue prediche i cittadini, da lungo tempo in guerra, facevano la pace e gli odi si deponevano. A Bologna molti scolari dello studio, attratti dalla predicazione di Francesco, si fecer monaci. Quello era allora un santo veramente popolare e democratico. I freschi di Giotto che rappresentano la vita del poverello danno la vera idea ascetica, mistica del frate: sono parecchi gruppi simbolici dove son rappresentate la castità, l'umiltà, la povertà, l'obbe dienza. Corrado Ricci ha descritto tutto questo con arte finissima rilevando come nell' allegoria Giotto abbia tratto più volte il suo pensiero da imagini dantesche. Ma il gruppo primeggiante è il matrimonio di san Francesco con la povertà, dove alcuni particolari non si intenderebbero se non si ricorresse a reminiscenze del poema dantesco. Giotto fu il solo che diede all'arte san Francesco estatico, assorto nella contemplazione divina, nella quiete del paesaggio umbro. La tecnica conferì molto a questa espressione artistica. Nei secoli posteriori questo concetto si perdette, e più tardi san Francesco fu sempre rappresentato in caverne col teschio in mano, col crocefisso e col libro. L'arte moderna si studiò di risalire alla bella idealità del trecento. Il conferenziere citò parecchi esempi i quali dimostrano quale influenza abbia esercitato il poema dantesco su l'opera artistica di Giotto; e finì ricordando come Dante, mentre studiava a Bologna, assistette ad una celebre solennità francescana, dove vide Piero da Medicina, Francesco d' Accorso, i due frati godenti, Venedico Caccianemico, Ghisolabella, Oderisi di Gubbio, Franco bolognese: gente che nella Commedia ha di poi trovata l'immortalità. (100

Trenta Giorgio.

[ocr errors]

Cfr. no. 76.

Valeggia Gildo. Su di un luogo del canto VIII del « Paradiso » dantesco. (In La Biblioteca delle Scuole italiane. Anno V, no. 14).

Si riferisce al passo Però ch' io credo che l' alta letizia dal verso 85 al go del canto VIII di Paradiso, ove il poeta manifesta la propria gioia a Carlo Martello che gli ha parlato di sè e del fratello Roberto, e che l'autore spiega: Godo che tu vegga la mia letizia in Dio, perchè così la vedi quale io la sento, mentre io, per quanto mi sforzassi, non potrei trovare parole adeguate ad esprimertela. Ora godo proprio anche del fatto che tu questa mia letizia la vegga in Dio, cioè che tu sia qui beato, nel paradiso. Dante dice qui, in modo o più sublime o più ostico, quanto ha detto a Nino dei Visconti nella valle fiorita dell' antipurga. torio, VIII, 53-54: Giudice Nin gentil, quanto mi piacque Quando ti vidi non esser tra rei! (101

[ocr errors]

Valeri Antonio. « Matelda»: nuove osservazioni di Mario Mandalari. (In Rivista critica e bibliografica della letteratura dantesca. Roma, febbraio, 1893). Recensione favorevole.

[blocks in formation]

(102

G. L. Passerini.

NOTIZIE E APPUNTI.

Degli opuscoli e degli articoli danteschi rimasti ancora inediti o publicati qua e là per giornali o riviste, oppure in edizioni per nozze, non venali e a ristretto numero di esemplari, e però accessibili a pochi e a molti inaccessibili, inizierà tra breve una ordinata raccolta il Lapi di Città di Castello. Alla nuova publicazione che si intitolerà Collezione di opuscoli danteschi inediti o rari presiederà il direttore di questo Giornale; al quale sarà bene che i cultori di Dante, ognuno nella cerchia delle proprie indagini, siano larghi di aiuto e di consiglio, e manifestino i loro desideri circa gli scritti dei quali parrà loro più utile ed urgente la ristampa. L'editore promette un volumetto mensile di circa 100 pagine in 16o, al prezzo di ottanta centesimi. Dodici di questi volumetti formeranno una serie per abbonarsi alla quale basterà inviare una cartolina-vaglia di nove lire allo stabilimento Lapi in Città di Castello. Sordello e Cunizza nella leggenda sarà l'argomento di uno studio di prossima publicazione del professore Antonio Piccarolo.

Augusto Conti, commemorando in un breve scritto (in Roma letteraria, I, 11) il padre Ludovico da Casoria, conclude ricordando il monumento fatto innalzare dal buon francescano davanti all'ospizio marino di Frisio ad onore del poverello di Asisi, di Dante, di Giotto e di Colombo.

Il professor G. Bertolotto, prendendo ad illustrare un codice ignorato di Catullo (cfr. Spicilegio genovese, estratto dal Giornale ligustico, XIX, 7-8, pag. 7), ritorna brevemente, in nota, su la questione se Dante abbia, o no, avuto in mano o letto Catullo, da lui non nominato mai. Conchiude esser inverosimile che il ritrovamento del poeta veronese sia avvenuto nel 1304 o poco prima, quando Dante era a Verona: quasi certamente poi il cantore di Lesbia era ignoto all' Alighieri quando egli scrisse il canto IV dell' Inferno.

Nel II quaderno di questo Giornale, per una svista che i lettori vorran perdonarci, abbiam data come inedita una lettera del professore Mossotti che fu, invece, publicata fin dal 1865 (Roma, tip. delle scienze matematiche e fisiche) accompagnata da una lunga nota di B. Boncompagni.

Alla direzione del Giornale dantesco son pervenuti in dono i seguenti libri:

Buscaino-Campo Alberto. Dante e il potere temporale de papi. Trapani, tip. fratelli Messina e C., 1893, in 8.o (Dall' autore).

« PrethodnaNastavi »