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Non possiamo certo vantarci di avere nell' edizione della Commedia ridotta a migliore lezione da Giov. Battista Niccolini, Gino Capponi, Giuseppe Borghi e Fruttuoso Becchi il testo originale di Dante, che, per quanti studi si faranno, non lo si avrà mai; credo anzi che, se per caso, si trovasse un manoscritto per il quale vi fossero prove non dubbie essere esso l'originale di Dante, sorgerebbe ben tosto chi, non potendo impugnarne l'originalità, lo direbbe una copia delle prime, fatta dall' autore stesso, e non ancora ben corretta. Eppure quell' edizione, detta ora la vulgata, è tale che in essa si troveranno pochissimi luoghi, la lezione dei quali, quando anche di molte varianti, non ci dia un senso che ne richiede il

contesto.

Ma quell' edizione è un lavoro di quattro; e chi sa quanti confronti e quante discussioni avranno loro causato le varianti per fissarla, appunto perchè quattro.

Si considerino tra le tante difficoltà, dall'autore accennate nella citata monografia, quelle che ci presentano le sole varianti dei manoscritti e che deve superare chi si accinga a darne un' edizione critica di un'opera; e si giudichi se non sia preferibile di affidarne il lavoro a parecchi. Per un' edizione critica poi della Commedia, della Vita Nuova, del Convivio, di alcune Epistole pure, sulle quali opere fu tanto scritto specialmente nella seconda metà del nostro secolo; quali difficoltà, oltre a quelle che darà la scelta della variante, non porgeranno all' incaricato il gusto, la prevenzione, l' autorità, il difetto, nell'esame e nei confronti, non raro l'amor proprio, i riguardi d'amicizia e che so io, per riuscirvi felicemente ? Si crede forse che tutte le varianti siano per distrazione ed ignoranza dei copisti? Io credo che alcune siano state introdotte per malizia, come si fa anche oggidì nel trascrivere negli archivi certi documenti storici; non poche per i surriferiti motivi personali; moltissime poi dalla troppa presunzione di sè e dal soverchio zelo di riprodurre la lezione originale; come pure quelle, in favore delle quali si pronunciarono già scrittori autorevoli ed amici rispettabili.

Quando il Giuliani, che studiava pur Dante con amore, e lo conosceva, diede la sua edizione della Commedia raffermata nel testo, da quanti mai fu egli lodato per avervi, dopo molto studio, corretto da sè presso a venti luoghi, nei quali non v'erano varianti ? Ed è forse più facile scegliere bene tra molte varianti, che il darne una da sè? Non credo.

Egli è quindi che, parmi, non solo più prudente, ma necessario di affidare l'edizione critica desiderata a parecchi, non però a molti; e di non permettere che la variante prescelta sia intrusa

nel testo, ma sia riportata la prima tra le poche migliori in nota. Meritano forse l'immortalità gli errori palesi dei copisti? Chi è idoneo a fare la scelta della migliore tra le riportate, saprà ritrovarla; e chi no, che importa a lui dell' una piuttosto che dell' altra? Per costui basterà che la lezione gli dia un senso conforme al

contesto.

Ad avvalorare questo mio parere, per certo non nuovo, prendo a dimostrare l'opposto di quanto è detto dal Barbi nel tratto che qui riporto; e lo farò provando, che non sono da incolparsi quelli che sostengono, nei due esempi dal Barbi ivi addotti, le opinioni da lui riprovate, ma quelli appunto che le difendono e delle quali, come pare, intende egli di valersi per la sua edizione critica della Vita Nuova; e ciò per non aver osservato quel canone critico, necessario a far la buona scelta della variante da preferirsi. E voglio sperare che l'autore non se ne avrà a male; poichè ritengo ch'egli, mosso dall' amore per Dante, siasi imposto quel carico a fine principalmente di scoprire i veri intendimenti del poeta, e in pari tempo di adoperarsi perchè riesca all'Italia di non rimanersi più a lungo tenuta inferiore (p. 1) ai forestieri nel dare contributi per facilitare l'intelligenza del suo sommo Poeta.

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Il Barbi scrive: « Non per tutto sincero è però da credere il suo (della Vita Nuova) testo; e ad ogni modo son da raccogliere le prove che sicuramente confermano una variante piuttosto che un'altra, essendo noto quanto importi la sicura lezione di quell'operetta per le molte questioni a cui ha dato luogo in quest'ultimi tempi. Basta ricordare ad esempio, che l'accertamento della lezione va in luogo di andava nel §. XLI ha dato la causa vinta a coloro che vogliono la Vita Nuova essere stata composta avanti l'anno 1300; e che la sostituzione della lezione genuina Arabia alla volgata Italia nel §. XXX, ha offerto, spostando la data della morte di Beatrice, un' altra notevole prova in favore della realtà storica di essa ».

Sì, la lezione va dev'essere preferita all'andava per ciò che la Vita Nuova, dedicata a Guido Cavalcanti, al quale in essa si accenna più volte e sempre come vivo, mai altrimenti, dev'essere stata composta innanzi alla morte di Guido, avvenuta il 28 agosto 1300, e innanzi al priorato di Dante, che fu dal 15 giugno al 15 agosto dello stesso anno; nel quale priorato fu Guido con altri della sua fazione confinato a Serrazzana, ove contrasse la malattia che gli

cagionò la morte. La lezione andava ne darebbe la Vita Nuova composta dopo il 1300, cioè un anno almeno dopo; come pure dopo quel passaggio dei peregrini; il che non può essere, poichè di quel passaggio si tocca nel §. XLI.

Ritenuta adunque accertata la lezione va in confronto di andava nel §. XLI, qual' è, chiedo io, l' areopago che per tale accertamento diede la causa vinta a coloro che sostengono la Vita Nuova essere stata composta avanti l'anno 1300? Sarebbe forse l'areopago dei sostenitori di tale opinione? In questa e in altre simili questioni vale tanto l'autorità dei sostenitori della loro opinione, quanto le loro ragioni; e, intendiamoci, non le soggettive, quand'anche, come nel caso nostro, di celebrati dantisti ; ma ragioni tratte con sana critica dal testo che si vuol emendare e dall'altre opere dello stesso autore c, secondo i casi, da dati veramente storici.

Or bene che cosa volle Dante farne sapere con quel §. XLI? Non altro che l'anno del passaggio per Firenze di que' peregrini diretti per Roma, E se Dante volle farnelo sapere, non è a dubitare s'egli abbia saputo farlo. Lo seppe e lo fece, seguendo però, come usa spessissimo, e segnatamente nella Vita Nuova, quel suo canone estetico essere bello un po' di fatica lasciare ad un nobile ingegno.

Ma per conoscere l'anno indicato in quel paragrafo non bisogna mutilarlo come si fa. Facendo così io potrei dire che la Scrittura Santa nega l'esistenza di Dio là dove dice: Non est Deus, tacendo quel dixit insipiens in corde suo, che ne lo precede.

Nel S. XLI vi ha qualche cosa di più e di meglio del presente va, benchè accertato, il quale però da se solo non basta per indicarne quell' anno.

II S. XLI dice: Dopo questa tribolazione avvenne (in quel tempo che molta gente va per vedere, ecc. Qui abbiamo due dati per conoscere l'anno del passaggio di que' peregrini per Firenze. II primo è dopo questa tribolazione avvenne; il secondo: in quel tempo che molta gente va per vedere, ecc.

Qual'è quella tribolazione dopo la quale avvenne quel passaggio? Nessuno degli annotatori della Vita Nuova ne disse parola, nè è da maravigliarsene è tanto facile a rilevarla dal testo. Ma nessuno pure di coloro che, valendosi di questo paragrafo, impresero a fissare il tempo nel quale la Vita Nuova fu scritta, ne tenne conto. E quest' è trascuratezza riprensibile, poichè fu essa scritta dall'autore con ordine cronologico; e tale ordine fu in essa costantemente osservato dal principio alla fine sì che può dirsi in essa caratteristico: il che nessuno oserà negare.

Quella tribolazione è la lotta interna da Dante sofferta durante l'episodio amoroso colla Donna Gentile. -- Vediamo quando cominciò quell'episodio e quando finì, ossia quale fu la durata di quella tribolazione. La prima apparizione della Donna Gentile è non più che accennata nel §. XXXVI della Vita Nuova, in modo però da farne noto ch'essa fu dopo l'anniversario della morte di Beatrice, del quale si tocca nel paragrafo precedente, e nulla più.

Ma nel Convivio, nel quale egli non intese alla Vita Nuova in parte alcuna derogare, ma maggiormente giovare, ne indica con precisione il tempo di essa apparizione. Questa fu tanto dopo la morte di Beatrice, che Venere due fiate era rivolta in quello suo cerchio che la fa parere serotina e mattutina, secondo i due diversi tempi (Tr. II, 2). E per ciò che Beatrice, secondo Dante, indubitatamente mori il 9 giugno 1290 e lo proverò -e la durata di due rivoluzioni di Venere nel cerchio che la fa parere serotina e mattutina, equivale ad anni tre, mesi due, giorni quasi tredici, il che è confermato da astronomi italiani ', ne segue che quella prima apparizione della Donna Gentile nella quale Dante, ad imitazione di Boezio, raffigurò Filosofia, fu nell' agosto 1293.

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Eccone un dato importante per trovare l'anno di quel passaggio; il quale da quei che vogliono la Vita Nuova composta avanti il 1300 nei primi anni dell'ultimo decennio di questo centinaio deve essere tenuto ancora prima di quella apparizione, mentre e dal racconto cronologico della Vita Nuova e dal Convivio, che in alcuni luoghi la spiega, risulta ad evidenza che tra quella prima apparizione della Donna Gentile e quel passaggio sono corsi anni parecchi.

Tant'è che Dante, in quello stesso capitolo del Convivio, ne fa sapere che, dopo questa prima apparizione, si pose con grande amore a studiare la filosofia, e che dopo trenta mesi di assiduo studio ne scrisse la prima canzone filosofica Voi, che intendendo, il terzo ciel movete.

Se alla data della prima apparizione si aggiungono questi trenta mesi di studio, si troverà che quella prima canzone fu scritta in sul principio del febbraio 1296.

A questo tempo la Vita Nuova non era adunque scritta ancora, nè avvenuto quel passaggio dei peregrini. E siamo appena al princi

1 Cfr. G. LORENZONI, Il movimento ed il cerchio di Venere, secondo Dante. Venezia, G. Antonelli, 1891.

pio dell'episodio amoroso, ossia di quella tribolazione. Cadono quindi tutte le opinioni ed asserzioni di chicchessia che il libello dantesco sia stato composto nel 1291, "92, "93, "94, non esclusone il Boccaccio che fu il primo a dirlo e alla cui autorità alcuni s'appoggiano. Ma il Boccaccio era giovane, lo disse egli stesso, quando scrisse la Vita di Dante; nella quale disse anche che Dante in età matura si vergognava di avere scritta la Vita Nuova, mentre Dante nell' età appunto matura, scrisse come abbiam veduto: che tutt'altro che derogare in parte alcuna la Vita Nuova volea, nel Convivio, giovarla. A chi s' ha da prestar fede: al giovinetto Boccaccio o al maturo Dante? Io rispondo a Dante.

Ciò posto, vuolsi ora sapere quanto tempo sarà mai corso dalla composizione della prima canzone in onore della Filosofia sino alla fine di quella tribolazione, durante la quale, com' è noto, ne scrisse parecchie, filosofiche tutte, allegoriche o no.

La storia di quella tribolazione ci è data, benchè enimmaticamente, per intero, nella Vita Nuova, nei paragrafi dal XXXVII al XL, e noi colla prima canzone ci siamo forse non più in là del XXXVIII.

Abbiamo però il Convivio, scritto per giovarci, cioè aiutarci a sciogliere quegli enimmi, se anche non tutti: e verosimilmente non tutti, perchè il Convivio rimase incompiuto.

Da esso però sappiamo che Dante, dopo quella prima canzone, ne scrisse parecchie altre, delle quali, come dissi, era sua intenzione di sporne in esso quattordici, tutte ricchissime di svariate ed anche profonde dottrine; ciò che puossi a diritto dedurre dal saggio d'interpretazione datoci di sole tre.

In esse, come si ritrae dall' opera De vulgari eloquio (L. II, 2, 5, 6), egli ebbe intenzione di cantare la Rettitudine; tant'è che ne cita ivi alcune di esse, ponendole in linea con quelle dei più celebrati poeti provenzali ed italiani: Beltramo da Bornio, Gerardo de Bornello, il Re di Navarra, Arnaldo Daniello, Folchetto da Marsiglia, Guido Guinicelli, Guido Cavalcanti, Cino da Pistoja ed altri ancora, ciò che avrallo senza dubbio obbligato a mettervi studio, e ben lungo, per comporle sì da non parer da meno di que' grandi, della cui schiera erasi egli fatto da sè.

E se alcuno si pensasse di supporre postuma alle canzoni quella intenzione, come si volle postuma, in contradizione alla solenne di lui protesta, l'intenzione di averle composte per celebrarvi

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