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la Filosofia e non una donna mortale; dirò corto, che resta pur vero ch'egli le ha scritte durante quella tribolazione, se anche più tardi possa averne aggiunta alcuna. E perchè non potrebb' essere che delle scritte, più d'una ne abbia anche escluso?

Di più, contemporaneamente a quelle canzoni, Dante scrisse ballate, sestine, sonetti moltissimi su temi filosofici e sulle sofferenze da lui provate nella lotta di que' due amori feraci di controversie, in quei tempi, moltissime, soventi religiose, che attaccavano la fede nelle sue basi; una delle quali gli porse tanta difficoltà, da farlo risolvere di neppur tentarla. E ciò, perchè per lui, la Fisolofia è la bellissima e onestissima figlia dell' Imperadore dell' Universo, e la Teologia l'opera del Sommo Fattore, Uno e Trino; ond'è che a lui conveniva serbarsi ad ambedue fedele.

Se tutto questo si consideri, senza dimenticare il tempo a questi studi sottratto dalla malattia degli occhi, dai viaggi intrapresi per ambasciate pubbliche ed affari suoi privati, dalle cure di una numerosa famiglia, cause tutte che allungavano quella tribolazione; si potrà mai dire che la durata di essa, nella quale egli operò tanto, sarà stata di un anno, e forse meno, come da alcuni si pretende? Io dico invece, che se diamo a quella tribolazione, ch' ebbe principio nel 1293, quattro o cinque anni, non sarà troppo ; e così saremmo già nel 1298 o piuttosto nel 1299.

Questo termine acquista valore, se si consideri che, quando Dante cominciò a leggere il libro di Boezio de Consolatione, allora non molto conosciuto, e quello De Amicitia di Tullio — e fu nell'anno di quella prima apparizione egli non sapeva più di un po' di latino, sì poco che, sulle prime, gli era duro entrare nella loro sentenza; che fu allora appena che leggendo in essi libri que' tanti nomi di autori e di scienze e di libri, giudicò che la Filosofia dovea essere di somma eccellenza; che fu allora appena che prese a studiarla, ma con tanto amore da entusiasmarsene sì, che l'amore per la Filosofia ne cacciava e distruggeva ogni altro pensiero.

Potrà mai supporsi che la Filosofia non abbia trovato, nell'ingegno di Dante, di che alimentare quell' incendio che per essa si accese in lui, già poeta filosofo prima ancora di ben conoscere la Filosofia, e ch'essa lo lasciasse spegnere in brevissimo tempo?

No tant'è che, mentre egli nel 1293 non sapeva se non un po' di latino, nella Vita Nuova ci si mostra astronomo, fisico, psicologo, metafisico profondo; e che tosto, dopo averne in essa dato contezza di quella tribolazione, avente nella Vita Nuova principio, mezzo e fine, ci si annuncia poeta tale da concepire e studiarvi sopra per

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porla ad atto, la più vasta, la più svariata, la più sublime delle epopee che si conoscano.

Premesso ciò, che è pure storico, potrà mai sostenersi ch'egli abbia scritto la Vita Nuova in uno degli anni dal 1291-"94; e dire che la durata di quell' episodio o di quella tribolazione sia stata di un anno o poco più?

Si spogli il racconto di quell'episodio amoroso, contenuto nei §§. XXXVI al XL, di quanto vi ha in esso di fervido e di appassionato, e di quel linguaggio allegorico pure, e si dica che Dante, qnando riconobbe di essersi assicurata la rinomanza di cantore della Rettitudine, trovò opportuno di tralasciare lo studio filosofico e prese congedo dalie poesie filosofiche col sonetto: Parole mie che per lo mondo siete, nel quale le chiama antiche; come pure si dica che fu allora che sentendosi atto a cose più alte, i suoi pensieri tutti si rivolsero alla loro gentilissima Beatrice. Così cessò quell'episodio o quella tribolazione, e fu probabilmente nel 1299, poichè dopo questo suo racconto viene immediatamente quello del passaggio dei peregrini.

Ma tra i nostri italiani dantisti ve ne sono alcuni che non si curano nè di quella solennissima protesta di Dante che quelle canzoni non erano dirette a donna mortale, ma alla Filosofia, nè della confessione di quel suo poco sapere al tempo della apparizione della sua gentile consolatrice, nè della data di quella apparizione risultante dalle due rivoluzioni di Venere serotina e mattutina, riconosciuta vera da astronomi italiani; e preferiscono di accettare i ritrovati di astronomi forestieri, i quali nulla curando, nè le conoscenze astronomiche di Dante, nè lo stato in cui erano a quel tempo gli studi astronomici in Europa, come neppure di accertarsi del vero senso delle parole di Dante, rigorosamente conformi alle teorie di Piolemeo, nel determinare il cerchio di quelle due rivoluzioni di Venere, ne traggono quelle dell'altra rivoluzione, valendosi di teorie di astronomi posteriori a Dante di secoli; le quali per Ptolemeo e per i tempi di Dante

non aveano senso.

1 Cfr. A. Lubin, Il cerchio che, secondo Dante, fa parere Venere serotina e mattutina, ecc. Il Propugnatore di Bologna, fasc. 25, 1892.

Ed è questa forse la critica storica e diplomatica, critica del buon senso, tanto raccomandata nell' interessantissima monografia del Barbi? E cotale critica si fa oggi sui libri di Dante e trova lodi, mentre non si oserebbe di farla sui libri del più mediocre. scrittore senza trovar chi ne prendesse scandalo!

Ma quali ne sono i risultati? I più circospetti che non fecero mai attenzione - come non la fecero neppure i più risoluti a quel primo dato dopo questa tribolazione avvenne, dato indispensabile per trovar il vero; e che, mentre tengono la Vita Nuova scritta nell'anno stesso di quel passaggio dei peregrini, o circa - nè in ciò vanno errati vogliono che quel va, che è il secondo dato, indichi un'usanza consueta di tutti gli anni; e da ciò, senz'altro, stabiliscono che quel passaggio sia stato avanti il 1300; e per conseguenza che la Vita Nuova sia anche stata composta avanti il 1300.

Che cosa sappiamo da questo ritrovato più che non si sapesse prima pei ritrovati di quelli che dissero la Vita Nuova scritta in uno degli anni dal 1291-"94? Anche questi anni ne la davano scritta avanti il trecento; e di più ognuno di essi anni era, se non altro, determinato. Perchè non lo determinano anch'essi, indicandone quale degli anni corsi dalla morte di Beatrice, che sono certo tutti avanti il 1300, è quello in cui la Vita Nuova fu scritta, e che sia pure uno degli anni dopo cessata quella tribolazione? Non lo fanno perchè non vi trovano prove a ciò, dando così prova di non curarsi di scoprire il vero. Vedono nel §. XLI indicata un'usanza consueta di tutti gli anni senza che in esso vi sia parola che lo determini.

Ma se essi vedono in quel paragrafo un' usanza consueta annuale, io vi vedo un'usanza consueta di tutti i secoli, cioè il Giubileo del 1300, usanza ed anno che non possono essere scambiati con altri.

Sì, il Giubileo non fu un' instituzione del 1300; fu un'usanza praticata ogni centesimo anno; e Bonifazio VIII, allora papa, ne emanò la bolla confermandola in perpetuum, mosso dal fatto del concorso straordinario dei fedeli, giovani e vecchi, accorsi a Roma da tutte le parti vicine e lontane, fin dalla natività del Signore, per lucrarsi le indulgenze che ogni centesimo anno si largivano. Tra quali fedeli, racconta Jacopo Stefanesco, consigliere di Bonifazio, vi fu un vecchio sabaudo portato in lettica, il quale diceva di esservi stato cento anni addietro con suo padre allo stesso scopo. Un tale anno non si dimentica mai. La sua ricordanza vive sempre nei fedeli e presso tutte le colte nazioni.

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Ed è per ciò che Dante, invece di dire in quel paragrafo apertamente e semplicemente : Dopo questa tribolazione avvenne nel tempo del Giubileo che alquanti peregrini ecc., disse: avvenne (in quel tempo che molta gente va per vedere quella imagine benedetta... che alquanti peregrini, ecc. E continuando nota che a lui parevano que' peregrini di lontana parte, e non più, come farebbe un cronista; e fece così perchè il lettore avesse la compiacenza di trovare quell'anno da sè. Nè di più occorreva per trovarlo affinchè ogni lettore della Vita Nuova di quel tempo vi vedesse indicato l'anno del Giubileo; come lo vedono anche i lettori del nostro, i quali senza prevenzioni leggono quel paragrafo dopo aver letto soltanto quello che del Giubileo ne scrissero due soli contemporanei, Gio. Villani e Guglielmo Ventura, i quali in quello stesso anno visitarono Roma; e le poche allusioni al Giubileo del 1300 nella divina Commedia, Inf., XVIII, 28: Come i Roman, per l'esercito molto L'anno del Giubileo, ecc.; e il canto del Casella.

No, in quel tempo che molta gente va ecc., non indica uno di quegli anni, nel quale si mostrava a Roma la l'eronica nella seconda domenica dopo l'Epifania, per ciò che essendo quest'usanza d'ogni anno, dalle espressioni di Dante non può rilevarsi quale degli anni tra il 1290 e il 1300 esso sia; e Dante voleva pure che lo si sapesse. E la frase in quel tempo per accennare un'usanza che si compiva in un giorno solo, parmi anche molto strana. Altrimenti è se la si prenda per un anno intero.

Egli è quindi che, nella stessa sentenza del va, Dante ne die de note non dubbie per rilevare che quell' anno, quel tempo non poteva essere se non il tempo del Giubileo del 1300.

Nè quel presente va si oppone punto ad intendere che in quello stesso anno che avveniva quel passaggio, Dante scrivesse la Vita Nuova.

Quel va nella nostra sentenza dà un senso che equivale a questo avvenne in quel tempo che molta gente suole andare per vedere ecc.; ed è per questo che dai sostenitori dell' opinione contraria fu detto, che quel va indica un'usanza consueta di tutti gli anni. E però esso presente va è tanto indeterminato, che può indicare un tempo ancora in durata come un tempo già passato. E nel caso nostro, nel quale l'autore volle lasciare al lettore la compiacenza di trovare quell'anno, non dall' indeterminato ra, ma dalle circostanze al va annesse, esso va indica con quelle un tempo non ancora passato.

Nè so vedere perchè, s'io dica che la sentenza: avvenne in quel tempo che molta gente va per vedere, ecc., equivale a questa: av

venne nel tempo del Giubileo che (o quando) molta gente va per redere, ecc., mi si possa chiedere quale lingua faccia io parlare a Dante? come fu fatto altra volta quand' io rispondeva similmente a chi in quel va vedeva un'usanza consueta di tutti gli anni.

Dopo quel paragrafo dei peregrini non vi sono che due soli: uno comincia col cronologico poi, nel quale si accenna a due sonetti mandati a due gentili donne che avean pregato Dante di mandare loro delle parole rimate, del tenore del sonetto diretto a quei peregrini: uno di essi ne è indicato soltanto, l'altro è riportato. Il secondo paragrafo è quello della chiusa della Vita Nuova, che comincia anch'esso con un cronologico Appresso a questo sonetto.

In questo ultimo paragrafo Dante ne dice di aver avuto una mirabile visione, che lo fece proporre di non dire più nè sonetti nè ballate, nè canzoni per la sua Donna, ma un poema, nel quale dirà di lei quello che non fu detto di alcuna. E nella solennità. del dire, usata in esso, si sente l'espressione di un' anima profondamente commossa dall' affetto per la sua Donna, dalla grandezza del soggetto del suo Poema, dall' ardente brama di compirlo, da potersi ragionevolmente ritenere che Dante, scrivendo quel paragrafo, dovesse anche sommamente godere per essergli riuscito, col racconto del passaggio di que' peregrini, assicurare la ricordanza di quella mirabile Visione (che dovea essere stato il più solenne momento della sua vita) coll' aver potuto legarla al Giubileo, anno d' imperitura memoria; come fece poscia coll' assicurare la memoria dell'anno nel quale attuava il suo provvidenziale viaggio, cantato nel sacrato Poema, nel quale sciolse davvero la solenne promessa di dire della sua Donna quello che non fu mai detto di alcuna, legandolo allo stesso anno d'imperitura memoria col primo verso di esso: Nel mezzo del cammin di nostra vita.

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E qui, prima di passare all'altra variante, mi sia permesso di dire che il nobile sodalizio di Firenze a fine di far finita e la questione tra i dantisti, insorta nell' interpretare il passo di Dante, l'interpretazione del quale è la più importante per la questione trattata, e per essa molte altre forse non meno interessanti vrebbe rivolgersi direttamente a parecchi astronomi, a preferenza italiani, affinchè essi per amor di patria vogliano indicare quale delle due rivoluzioni di Venere secondo gli astronomi antichi, la vera di giorni circa 365 o quella d'anomalia di giorni 584 scarsi; e secondo gli astronomi moderni, la siderale di giorni 225

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