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ciolus condam domini Bambaioli de Bambaiolis de Bononia olim comunis Bononie Cancellarius, volens sui comunis obedire mandatis, coram viro prudenti domino Petro Bartholini de Florentia viri egregii, domino Jannotto de Cavalcantibus militibus Regii Capitanei civitatis Neapolis et districtus locumtenenti, se personaliter presentavit presentibus me Michaele notaris et teste infrascripto.

Actum Neapoli in pallatio dicti domini Capitanei, presentibus domino. Johanne domini Manetti de Cavalcantibus de Florentia, domino Johanne Guillelmi de Florentia, Petro de Bambajolis, Petro de Modio, et Mino filio Bolognetti de Brigola comitatus Bononie testibus vocatis et rogatis.

Et ego Michael filius Johannis Guillelmi de Florentia Imperiali auctoritate notarius hiis omnibus presens fui et rogatus scribere scripsi et publicavi.

II.

Presentacio confinium ser Gracioli de Banbaglolis (27 settembre, 1334).

In Dei nomine amen. Anno Domini millesimo trecentesimo tricesimo quarto, regnante Serenissimo Principe domino nostro domino Roberto Dei gracia Inclito Rege Jerusalem et Sicilie, Ducatus Apulie et Principatus Capue, Provincie et Forcalquerij ac Pedimontis Comite, Regnorum vero cius anno vicesimosexto feliciter amen, die vicesimoseptimo mensis Septembris tercie Inditionis Neapoli. Nos Martinus Coppa Judex civitatis Neapolis ad contractus, Petrus Coppa de Neapoli puplicus ubilibet per totum Regnum Sicilie Regia autoritate notarius, et subscripti testes ad hoc specialiter vocati et rogati, presenti testimoniali scripto puplico, declaramus atque fatemus. Quod constitutus in nostrum presencia discretus vir dominus Graciolus de Bambayolis de Bononia, olim Comunis cancellarij, nunc vero Vicarius viri Magnifici domini Manfridi Comitis Sartiani Regii Capitanei civitatis Neapolis suique districtus et asserens de sua presencia in civitate Neapolis supradicta sibi necessarium fore scriptum puplicum habere testimoniale ad inspicientium certitudinem suique cautelam, nos ex parte Regia requisivit et ex sua rogavit ut de huiusmodi sua presencia in civitate prefata ad inspicentium certitudinem suique cautelam deberemus conficere testimoniale puplicum instrumentum. Cui petitionem iustam utpote admictentes eo maxime quia nostrum officium puplicum quod negare non

possumus requirebat, pretitulato die, predictum dominum Graciolum vidimus stare, morari, habitare et pro tribunali sedere cum dicto et predicto domino Capitaneo in civitate Neapolis, in platea que Capu de plaga vulgariter nuncupatur; ubi ad presens regitur curiam domini Capitanei supradicti. In cuius rei testimonium dictique domini Gracioli cautelam ac inspiciencium certitudinem atque fidem factum est de premissis presens puplicum testimoniale scriptum per manun mei notarii supradicti, signo meo solito signatnm, ac nostrum qui supra judicis et testium subscripcionibus roboratum. Quod scripsi ego prefatus Petrus Coppa de Neapoli puplicus ubilibet per totum Regnum Sicilie Regia auctoritate notarius qui predictis rogatus interfui, vidi et meo consueto signo signavi.

Ego Marcius Coppa supradictus Judex ad contractus subscripsi.
Ego Bernardus de Pesclis de Neapoli testis subscripsi.
Ego Philippus Bonsustegni de Neapoli testis subscripsi.
Ego Petrus Positanus de Neapoli testis subscripsi.

III.

Presentacio confinium Gracioli de Banbaglolis mense Februarii (1335).

In Dei nomine amen. Anno domini millesimo trecentesimo tricesimo quinto, III Inditione, die primo Februarii. Ego Michael notarius infrascriptus simul cum testibus infrascriptis cognovi et vidi discretum virum dominum Gratiolum de Bambajolis, olim comunis Bononie cancellarium, nunc Vicarium nobilis viri domini Manfredi Comitis Sartiani Regii Capitanei civitatis Neapolis stare, habitare et esse in civitate Neapoli, in officio Vicariatus eiusdem ad quorum evidenciam et clarius testimonium ipsius Vicarii precibus et instantia confeci presens puplicum instrumentum.

Actum Neapoli in pallatio dicti domini Capitanei, presentibus domino Johanne Guillelmi de Florentia, Paulino condam Guarnerii de Capraria, Johanne condam Jacobi de Gisso Comitatus Bononiae et Rembotucio condam Comitis Manentis de Sartiano testibus vocatis et rogatis.

Et ego Michael filius domini Johannis Guillelmi de Florentia Imperiali auctoritate notarius hiis omnibus presens fui et rogatus scribere scripsi et publicavi.

Die III Aprilis productum fuit.

IV.

Presentacio confininm mensis Marcij ser Gracioli de Banbaglolis
(27 marzo, 1335).

In Christi nomine amen. Anno eiusdem nativitatis millesimo trecentesimo trigesimo quinto, Indictione tercia, die XXVII mensis Martii, regnante Serenissimo principe Domino Roberto Dei gracia Jerusalem et Sicilie Rege. Ego Nicolaus notarius infrascriptus, simul cum infrascriptis testibus, cognovi et vidi discretum virum dominum Graciolum de Bambaiolis de Bononia Regii Capitanei civitatis Neapolitane Vicarium habitare et esse in civitate predicta; ad cuius domini Gracioli instanciam et mandatum de habitacione et residencia ejus in civitate predicta hoc presens confeci publicum instrumentum. Actum Neapoli, in palacio Domini Capitanei predicti, presentibus Domino Manfredo comite Sartiani, notario Perotto filio judicis Martino Coppe de Neapoli, Francescino de Lando de Placencia, Johanello filio Errarii et Johanne de Parma familiare dicti domini Capitanei testibus ad hec vocatis et rogatis.

Ego Nicolaus de Albertis de Tergesto Imperiali auctoritate notarius predictis omnibus interfui et rogatus predicta scribere scripsi et roboravi et interlineavi.

Die XII mensis aprilis productum fuit per d. Laurentium de Bonacchaptis.

CHIOSE DANTESCHE

BATTE COL REMO QUALUNQUE S'ADAGIA

Inf., III, 111.

Il prof. Oreste Antognoni in un elegante volumetto, stampato in questi giorni dal Giusti di Livorno, ha pubblicato un saggio di studi sopra la Commedia dantesca, del quale io ho già dato notizia intera ai lettori nel III quaderno di questo Giornale. In uno di quegli studi l'autore si propone di togliere la contradizione che vi è tra il verso sopra citato, in cui l'adagiarsi devesi interpretare, secondo lui e secondo molti commentatori, per indugiarsi, e gli altri versi, che si riferiscono pure alle anime de' dannati al passaggio dell' Acheronte, ne' quali e Dante domanda :

qual costume

le fa parer di trapassar si pronte,
Inf., III, 73, 4.

e Virgilio più tardi risponde:

E pronti sono a trapassar lo rio,
chè la divina giustizia li sprona,
si che la tema si volge in desio.
Inf., III, 124-6.

L'Antognoni rigetta l'interpretazione di coloro che spiegano l' adagiarsi non per indugiarsi, ma per sedersi o coricarsi, poichè chi interpreta così, egli osserva, intende che Caronte battesse le anime, entrate nella barca, affinchè, levandosi, lasciassero posto alle altre. Ebbene come mai, dice egli, Dante, il quale ancora non ha visto le anime gittarsi di quel lito nella barca (scena che ci descriverà con la famosa immagine virgiliana delle foglie che secche si staccan dall'albero), poteva pensare a un atto che suppone le anime entrate non solo in parte, ma in tanto numero, che ci bisognasse occupar tutto lo spazio disponibile? » E più oltre: « Sarebbe infine curioso che proprio si raccogliessero a ogni viaggio di Caronte quante anime bastano per far piena la sua barca e che questa si riempisse esattamente in modo che vi dovessero occupare il minor posto possibile». Perciò, pur non potendo negare che il verbo adagiarsi ha, nella nostra lingua antica eziandio, il senso di posarsi, l'Antognoni ricerca nella divina Commedia l'uso che altre volte il poeta ha fatto della stessa parola, e pone a riscontro col passo sopra citato dell' Inferno questo del Purgatorio:

Ma perchè dentro a tuo voler t' adage
XXV, 28.

Nel quale, allargando l'interpretazione del Torelli, trova nell' adagiarsi il senso di penetrare, e conclude che adagiarsi ha quindi nel poema senso di moto e non di stato, vale cioè muoversi adagio, lentamente.

Accettata così la prima interpretazione del verso, egli toglie la contradizione, facendo osservare che le anime sono pronte a trapassare il fiume, pronte cioè nel senso di parate, ma che il dolore le fa indugiare alcun poco.

A me sembra ingegnosa la dimostrazione dell' Antognoni, ma francamente, a togliere la contradizione trovo invece più giusto basarsi in parte proprio sull'interpretazione ch' egli rigetta. Io dico: Le anime sono pronte, cioè sollecite, non soltanto preparate, a passare il fiume, perchè le sprona la divina giustizia e la tema si volge in desio; ma, dovendo scendere nella barca ad una ad una, conviene che, pure ardentemente desiderando d'essere tra ghettate, attendano ciascuna la propria volta. Nell'attendere possono mettersi a loro agio? possono cioè riposarsi? No, chè debbono soffrire fin da questo momento. Sarebbe bella che le anime de' dannati potessero stare ad agio loro. Non occorre che Caronte desideri che lascino maggior posto nella barca, nè si comprenderebbe ciò, come ben dimostra l'Antognoni; ma le anime lasse, vuoi nella barca, vuoi sul lido, attendendo, vorrebbero posarsi.

Così non solo mi pare tolta la contradizione, ma mi pare che si possa sicuramente lasciare al vocabolo adagiarsi il suo incontrastabile significato di posarsi, senza ricorrere ad interpretazioni difficili e, diciamolo pure, un po' troppo sottili.

Se questa mia interpretazione incontrerà il favore dei dantisti, il merito non è mio, ma dell' Antognoni, che mi ha fatto ripensare col suo bel volumetto al verso I del III dell' Inferno.

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Era ben da prevedersi che la spiegazione da me data del Satana di Dante, benchè si logica e naturale, dovesse incontrare in sul principio una certa ripugnanza. E, di fatto, il Bollettino di Foggia, de 4 del corrente mese, in un articolo firmato C. Capuano, ne parla come se si trattasse di una fantasticaggine, che perciò nulla avrebbe di reale o di concreto. Fa, quindi, di mestieri una risposta; ed eccomi qui pronto a darla subito.

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Per Dante, anche il diavolo è «loico (Inf., XXVII, 41): e che logica! la più terribile ed internale!

Allorchè, nel 1862, sono ormai decorsi oltre a 30 anni!... in Bari delle Puglie io m'ebbi la prima volta tra mani « Dante e la filosofia cattolica del tredicesimo secolo » di A. F. Ozanam, nella versione italiana di Pietro Molinelli (Napoli, 1842), giunto in fine alla parte seconda, capitolo II, mi soffermarono meditabondo le seguenti parole, dettate da tanta profondità di pensiero e con tanta pienezza di sentimento:

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