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attinge a sì diversi campi, e la letteratura che prende nome da quel grande, ha ormai acquistato tale ampiezza, che vi si richiede studio e insegnamento proprio. Tale insegnamento, ristabilito, darà occasione più assidua d'occuparsi del sommo Poeta a quei valentuomini che saranno chiamati all'alto ufficio, e preparerà, addestrati alle future indagini, giovani valenti e freschi di forze.

M. BARBI

DANTE E LA ROMAGNA

I.

Non è mio intendimento di fare una compiuta illustrazione storica delle cose e persone di Romagna accennate nelle opere sue dall' Alighieri, nè di riprendere ancora una volta ad esame le testimonianze positive e le ipotesi erudite circa la dimora del grandissimo poeta nelle terre romagnole; perchè, se l'argomento è bello e pieno di allettamenti, vorrebbe a trattarlo una preparazioné molto ampia di ricerche negli archivi e nelle biblioteche, quale io non ho nè posso avere. Pur tuttavia, trovandomi di avere raccolto notizie e documenti di qualche interesse su tale argomento, ne prenderò occasione per rassegnar brevemente gli ultimi studi e lavori intorno. alla parte che la Romagna ha nelle opere di Dante, sì per informarne i lettori cui possono essere sfuggite alcune spicciole pubblicazioncelle, sì per dar luogo ad alcune mie particolari osservazioni e ricerche. Al titolo adunque di questi articoli si guardi senza chieder loro più di quello ch'io intendo. e posso dare; in aspettazione che altri con più piena preparazione ci dia un compiuto lavoro intorno all' interessante argomento 1.

1 Molte ricerche fortunate sulla Romagna ai tempi di Dante ha fatte il mio dotto amico Francesco Torraca, e già n'ha pubblicato alcun saggio, che fa vivamente desiderare il resto delle sue fatiche.

Romagna è, nel poema dantesco, la denominazione di un paese del quale il poeta stesso determina con esatta specificazione i confini (Purg. XIV, 92) tra il Po e il monte e la marina e il Reno; e i nomi di quei gentili, che già vi allignarono in tempi che a Dante, tanta era ormai la diversità dei costumi, parevano già antichi sebbene cronologicamente fossero recenti, quei nomi ci aiutano a precisar meglio la estensione di quei confini; si che possiamo ritenere che per l'Alighieri era Romagna il territorio da Bologna a Rimini, dai gioghi di Montefeltro al pian di Ravenna. Non vi comprendeva Ferrara, per ragiòni piuttosto politiche che geografiche; poichè quella città longobarda, per via dei suoi signori era da una parte, a cagion di Modena, stretta al paese di Lombardia, e da un'altra, per i feudi estensi, si andava a confondere con le terre veneziane; ma, per compenso, teneva per romagnoli (Inf. XXVII, 29) i monti là intra Urbino e il giogo di che 'l Tever si disserra, cioè le terre feretrane, la storia e la vita delle quali, non ostante i rapporti con la Toscana, l' Umbria e le Marche, furono e in parte sono prettamente romagnole.

Tuttavia non bisogna dimenticare due cose. L'una, che Bologna, così allora come adesso, per quanto potesse comprendersi e possa sotto la designazione generica di terra di Romagna, formava e forma un paese non più lombardo e non ancor romagnolo: la città posta tra Savena e Reno (Inf. XVIII, 61) sì per la più lunga durata del suo reggimento comunale, sì per la tradizione dei ricordi antichi, sì per lo splendore dell' università, mostrò nei secoli una tendenza non mai interrotta a non confondersi con le sorelle più propriamente romagnole, già di buon'ora asservite da piccoli tiranelli discesi dai sovrastanti Apennini e povere così di storia nei tempi classici e barbari come di coltura nell' età dei Comuni e del Rinascimento; e di cotesta tendenza, della quale è anche oggi testimonianza la nettissima separazione delle parlate dialettali, Dante non potè esimersi dal tener conto;

1 Le terre cispadane dal Reno in là furono sino ai tempi di Dante comprese con le oltrepadane nella comune designazione di Lombardia; esattamente, perchè sino al Reno appunto si era esteso il dominio dei Longobardi: la denominazione di Emilia, ricordo della geografia classica, erroneamente fu usata nei secoli barbari, e poi rifiorì nel Rinascimento; ma solo in tempi assai recenti fu ripresa a designare tutto il paese da Piacenza a Rimini, i due termini della via romana del console Emilio. Sulla significazione di cotesti nomi si potrà ancora consultare con frutto G. G. BERETTA, De Italia medii aevi dissertatio chorographica pro usu tabulae Italiae graeco-langobardico-francicae in MURATORI, Rer. Ital. Script. vol. X; inoltre si vedano A. VESI, Ragionamento intorno ai veri confini di Romagna. (Faenza, 1841), e G. G. BAGLI in Atti e memorie della R. Dep. di storia patria per le provincie di Romagna, 3a scrie, vol. VII, pag. 320 e segg.).

però nel libro De vulgari eloquentia, pur facendo una più generale distinzione tra la lingua della Romandiola e quella della Lombardia (lib. I, cap. 10: Romandiolorum cum Lombardis), ne fa poi una assai più precisa tra il dialetto che parlano Romandioli omnes et praesertim Forlivenses (lib. I, cap. 14), ch' ei dice pieno di mollezza femminea, e quello dei Bolognesi (lib. I, cap. 15) che la natural parlatura colorano di dolcezza e mollezza loro comunicata dai vicini Imolesi: due linguaggi adunque nettamente distinti, l'uno in Bologna e territorio, l'altro da Imola a Rimini. L'altra cosa è che Rimini, se è l'estrema città orientale di Romagna, non ne fu proprio l'ultimo confine, poichè sì per il linguaggio sì per i costumi la schiatta romagnola si estende oltre Rimini sino al Foglia o Isauro; comprendendo adunque le terre malatestiane di Gradara e di Cattolica e le colline di Focara, e cessando poi il paese di esser romagnolo con Pesaro: sì che quando Dante ricordava la regione che siede tra Romagna e quel di Carlo (Purg. V, 69) cioè la Marca Anconitana intendeva accennare il paese. litorale del Tronto al Foglia e non più; ccnformandosi quindi a ciò che aveva scritto il faentino Tolosano (morto nel 1226) che provincia Romaniae.... extenditur a Rheno usque Foliam, a mari usque ad Alpes'.

Due luoghi del poema dantesco sono specialmente osservabili per ciò che riguarda il giudizio dell' Alighieri sulle cose e persone di Romagna; nell'uno dei quali (Purg. XIV, 77-126) egli rimpiangendo la cortesia e il valore dei tempi andati ci fa rivivere in mezzo alla cavalleresca società del secolo XIII, di cui ci tratteggia il fiorire e il decadere; nell'altro (Inf. XXVII, 36-54) descrive a linee scultorie lo stato politico delle principali città romagnole nell'anno stesso della sua poetica immaginazione.

Al rimpianto delle virtù ch' adornavano la vecchia Romagna porge occasione nel secondo cerchio del purgatorio l'incontro di Dante con Guido. del Duca e Rinieri da Calboli, dei quali ci danno scarse notizie, e solamente aneddotiche, la maggior parte dei commentatori. Del primo per altro si hanno ora informazioni abbastanza copiose raccolte di sui documenti e cronisti romagnoli dall' Amaducci e dal Torraca 2. Per queste ricerche veniamo a sapere che Guido appartenne alla famiglia ravennate degli Onesti, già illustre pei nomi di san Romualdo e di Pietro Peccatore 3, e

1 G. B. MITTARELLI, Ad scriptores rerum italicarum Cl. Muratorii accessiones Faventinae. Venezia, 1771, pag 11. (TOLOSANI, Historia faventinae civitatis, cap. I).

2 PAOLO AMADUCCI, Sappi ch' io son Guido del Duca. Forlì, tip. Bordandini, 1890, in 8.o, di pagg. IX. FRANCESCO TORRACA, Guido del Duca nella Rivista critica della Letteratura italiana, nuova serie, agosto 1891 (a. VII, n. 2, col. 27-28).

3 Su questa famiglia si veda l'opera di M. FANTUZzı, De gente Honestia. Cesena, 1786.

fu figliuolo di Giovanni del Duca 1. La prima menzione che abbiamo di Guido è in un documento del 4 maggio 1199, nel quale è ricordato per essere stato presente, nella sua qualità di giudice di Alberghetto podestà di Rimini, al giuramento di fedeltà prestato dagli uomini della terra di Longiano, ma più ampia notizia di quei fatti ci porgono le testimonianze raccolte dai due studiosi sovraccennati.

Sino da tempi che non possiamo precisare, ma certo nella seconda metà del secolo XII, gli Onesti ebbero mano nelle faccende del castello di Bertinoro, e Giovanni del Duca vi fermò sua dimora con gli altri suoi e forse vi morì. In quello stesso tempo le famiglie bertinoresi si spartirono (non è ben chiaro se per usurpazione o per legittima ragione) i possedimenti e i diritti che in Bertinoro e nel suo distretto avea goduti il conte Cavalcaconte, morto nel 1177 3; e più tardi ne nacquero dissensioni, che furono composte nel calendinaggio del 1201 mediante una tregua stipulata tra i Bulgari e i Mainardi, i quali ultimi in quell' occasione giurarono sottomissione a Pietro Traversari 4. L'anno di poi, forse al fine di rimuovere qualsiasi altre discordie, gli interessati si accordarono di cedere quei possessi e diritti alla Chiesa ravennate: il 12 giugno 1202 nel palazzo del comune di Ravenna, in presenza del general Consiglio della città e in particolare di messer Ubertino di Guido Dusdei e di messer Pietro Traversari podestà, fu fatta la cessione solenne: Nos Bulgari, Mainardi et quicunque huic cartule consenserit, pro nobis nostrisque liberis et heredibus et successoribus rei vel juris, concedimus atque in perpetuum transferimus quidquid juris vel actionis rerum et personarum quodcumque vel quamcumque habuit quondam Cavalcacomes nomine suo vel alterius in castro Brettenorii et eius iurisdictione vel districtu vel suo comitatu, scilicet dicti comitis, et omnes usancias quascumque ipse comes habuit in Brettenorio et eius distretu vel comitatu ipsius comitis, ad vestram voluntatem, et quidquid superadditum est vel quidquid habemus in suprascriptis locis ad vestram voluntatem, vobis

1 La notizia della paternità è data da un passo dell'Istoria di Romagna di V. CARRARI (in FANTUZZI, op. cit., n. CCCII), il quale attinse, com' era solito, a una fonte sincrona: sebbene egli dica Guido nato di Duca figlio di Giovanni, io ritengo che il documento da lui veduto portasse Guido nato Johannis Ducis (cfr. la nota 2); de' Ducis o del Duca era un sopranome di un ramo degli Onesti; come si raccoglie dal confronto di molti documenti pubbl. dal cit. FANTUZZI.

2 L. TONINI, Storia di Rimini, vol. II, pagg. 396 e 614; non può cader dubbio sull'identità del personaggio dantesco col giudice del podestà riminese, che è designato così: Widone Johannis ducis.

3 MURATORI, Rer. ital. script. III, 472; FANTUzzi, op. cit, n. CI, CIX.

4 Sul relativo documento avrò occasione di ritornare più innanzi.

Domino Alberto sancte Ravennatis Ecclesie archiepiscopo acceptori pro vobis vestrisque successoribus et pro sancta Ecclesia in perpetuum. Questa cessione fu giurata in Ravenna da molti dei Bulgari e dei Mainardi personalmente convenuti; e in rapporto a una riserva in essa espressa, il 12 giugno dello stesso anno la giurò in Bertinoro Guido del Duca, al quale si associarono in quel giorno stesso e nei giorni 15 e 16 giugno altri molti di quel castello e delle vicinanze . Nel 1204, a' 28 di novembre, Guido del Duca fu presente con più altri all'atto solenne per cui fu deferito a Pietro Traversari e a Guido conte di Cunio il giudizio di una controversia sorta fra il conte Uberto e l'arcivescovo di Ravenna; il che dimostra non pur ch' egli era persona d'importanza, se si trovò mescolato negli affari dei principali signori romagnoli, ma anche che in Bertinoro non aveva sede così ferma che non discendesse qualche volta al piano: poichè quell'atto fu compiuto in Casamurata, castello del piano di Ravenna 2. Sembra anche potersi ricavare dalle notizie sin qui riferite che Guido del Duca fosse uno degli aderenti di Pietro Traversari; ciò che spiegherebbe come il Carrari, storico del cinquecento ma molto autorevole, raccontando che nell'ottobre del 1218 il Traversari prese Ravenna e ne scacciò gli avversari con l'aiuto dei suoi e massime dei Mainardi di Bertinoro, e nel novembre dello stesso anno gli avversari di Pietro si impadronirono di Bertinoro, ne cacciarono gli amici di lui e abbatterono le case e torri dei Mainardi 3, soggiunga che in quello stesso tempo Guido del Duca insieme con il figlio Salomone e la famiglia si parti da Bertinoro e ritornò ad abitare in Ravenna: seguiva, si vede, la fortuna del Traversari 4. Passano più di dieci anni senza che apparisca alcuna menzione di Guido del Duca; il quale il 17 gennaio 1229 ci ritorna innanzi come testimonio a un atto di Teodorico arcivescovo di Ravenna relativo a una controversia che si agitava tra alcuni bertinoresi e il loro comune 5: Guido viveva tuttora in Ravenna, mentre suo figlio Sa

1 L'atto fu edito da M. FANTUzzi, Monumenti ravennati IV, 308 e da P. Amaducci, 1. cit., pagg. IV e segg., che lo riscontrò sull'originale.

2 Dell'atto dà notizia il Rossi, Hist. ravennat, p. 370, in un passo riferito dal TORRACA, loc. cit.

3 Il passo del CARRARI è quello stesso citato alla nota 1 della pag. 22; il TORRACA avverte giustamente che fin qui le notizie sono tradotte dalla cronaca di Tolosano (Hist. fav. in MITTARELLI, op. cit., pag. 149).

4 II TORRACA, 1. cit., sembra dubitare dell'attendibilità del CARRARI, per ciò che riguarda il passaggio di Guido del Duca da Bertinoro, a Ravenna; ma non ne vedo la ragione, una

volta che si ammette la diligenza grandissima dello storico cinquecentista.

5 La fonte è un passo del CARRARI, dato dall' AMADUCCI, pag. VII, e completato dal TORRACA, loc. cit.

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