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>> stava a cuore al nostro Politico. E a tutto fil di logica parmi che >> altri potrebbe andare anche più in là, dandogliene pieno diritto le » stesse parole di Dante; costui potrebbe dire: se tutto il nodo della quistione sta nella parola che l'Autore prese più sopra per » obbiezione da ribattere, che cioè l'Imperatore Romam donavit » Ecclesiae cum multis aliis Imperii dgnitatibus; e nelle parole testè allegate si vede che l'Imperatore poteva fare pur questo (Eccle» siae patrimonium et alia deputare son parole di identico significato » alle altre), tanto solo che fosse immoto nell' Imperatore l'alto dominio, conchiudo che Dante, a quella condizione, non solo giudicava illegittimo il Potere Temporale dei Papi e la sua esi>> stenza, ma che anzi non avrebbe potuto giudicare illegittima >> nei Papi un'autorità civile ben più ampia, magari che si esten» desse su tutto il civile governo dell' Occidente, purchè questa >> autorità venisse dai Pontefici esercitata non come diritto insito alla loro qualità di Papi, ma come delegata loro dall' Impera»tore, e in nome di lui esercitata. E a chi di simil guisa argomentasse, come si potrebbe contraddire? Ne viene quindi, >> come legittima conseguenza, questo corollario: sia che nella co>>stituzione del Poter Temporale della Chiesa si accetti la spontanea. >> donazione di Costantino, come credevasi nel medio evo; sia, » come ne insegna la storia, che quel Dominio siasi venuto for>> mando in forza delle misere e travagliate condizioni politiche «< dei tempi e per libera dedizione delle città invocanti la prote» zione del Papa, come porto unico della loro salvezza, guarentigia suprema delle loro leggi, degli averi dei cittadini e della vita, è chiaro che Dante codesta legittimità di Principato la >> ammette senza discussionė; anzi, rispetto a Costantino, chiama >> tale donazione buono oprar, opera buona fatta con intenzion » casta e benigna; benchè, non essendosi riservato l'alto dominio, >> tale donazione passasse i limiti dell' autorità imperiale: unica >> riserva da farsi era dunque l'alto dominio, e così tutto sarebbe » stato in perfetta regola ».

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Per me, riassumendo, l'interpretazione del Poletto non è accettabile per tre ragioni principali : 1.a Roma, come già si disse, non poteva essere data a governare civilmente al papa ancora che l'imperatore se ne fosse riservato l'alto dominio, dovendo quivi avere la sua sede; per cui di Roma l'imperatore non era

1 Qui forse havvi errore di stampa: ci andava un non ; cioè: non solo non giudicava

soltanto, come di qualunque altra città o luogo, Imperatore, cioè governatore mediato, ma anche Reggitore, cioè governatore immediato. Anche il Poletto dice che l'impero terreno doveva imitare quello celeste ove l'Imperatore che sempre regna siede nell'Empireo, sua città, come re, ivi comanda, senz' altro mezzo, in persona; gli altri nove Cieli sono detti regni dell'impero 2 ove come vicari imperiali, regnano le intelligenze rispettivamente motrici. Dio imperatore ivi non regge, ma impera, come dice Virgilio:

. . . . Quello imperator che lassù regna,
per ch'io fui ribellante alla sua legge,
non vuol che in sua città per me si vegna.
In tutte parti impera, e quivi regge:
quivi è la sua cittade e l'alto seggio

Inf., 1, 124. 3

L'imperatore quindi doveva reggere Roma, sua capitale, come Dio l'Empireo: per cui l'imperatore impera in tutto il mondo, ma in Roma regge, perchè

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Quivi è la sua cittade e l'alto seggio.

. Il dominio temporale del papa, quale era di fatto ai tempi di Dante, escludeva l'alto dominio dell' imperatore sopra di esso: dunque Dante, per non contraddirsi, non poteva riconoscere come legittimo il dominio temporale dei papi quale era di fatto ai suoi giorni. L'unità della civile monarchia divisionem non patitur 1 e lo dice anche il Poletto 5. Dunque chi non riconosce l'autorità. dell'impero fa male: chi si è reso indipendente dall'imperatore, in qualunque modo, ha commesso usurpazione e usurpatio juris non facit jus. Il papa quindi, che non riconosceva l'autorità imperiale sul proprio stato e sopra Roma, era, secondo Dante, usurpatore. Il veltro doveva rimediare.

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3. Quando Dante dice che l' imperatore poteva conferire alla chiesa un patrimonio ed altre cose, non intende di parlare di un

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M. G. Ponta, Nuovo esperimento sulla principale allegoria della D. C., ecc.

4 Mon., III, 10.

5 Pag. 141.

principato politico, perchè su questo patrimonio e su queste cose. il papa non poteva esercitare che quel potere del quale usarono gli apostoli, come amministratori dei beni temporali in pro' della chiesa e dei poveri di Cristo: il che non ha nulla che fare con un potere civile e politico su di un popolo; potere che gli apostoli non ebbero mai. Anzi io leggo al capo VI degli Atti degli apostoli, che essendo cresciuto il numero dei discepoli, furono eletti sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito santo c di sapienza, ai quali si diede l'amministrazione delle cose temporali. « Noi poi ci occuperemo totalmente all' orazione e al ministero della parola », dissero gli apostoli stessi; e furono in tal modo istituiti i diaconi. E san Paolo nella seconda lettera a Timoteo Nessuno ascritto alla milizia di Dio s' impaccia de' negozi del secolo; affine di piacere a Colui che lo ha arruolato » 1.

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Ma la monarchia universale, secondo Dante, non era assorbente dei regni particolari, degli speciali principati e dell' autonomia delle città reggentisi con governo proprio in siffatta monarchia potevano liberamente vivere e prosperare i regni, e i principati con leggi proprie ai loro bisogni e alle loro civiltà corrispondenti, purchè nell' imperatore riconoscessero il capo supremo dell' umana famiglia, e come l'autentico suggello della loro politica esistenza, e da cui ricevessero come la norma suprema dalla quale dedurre le loro leggi speciali così il Poletto, il quale riporta un brano della Monarchia, a cui appoggia la sua asserzione e quindi la relativa deduzione.

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«< Advertendum sane, quod cum dicitur, humanum genus po>>test regi per unum supremum Principem, non sic intelligendum >> est, ut minima judicia cujuscumque Municipii ab illo uno imme»diate prodire possint. Habent namque (ed ecco un principio di capitalissima importanza 2) Nationes, Regna et Civitates, inter se proprietates, quas Legibus differentibus regulari oportet. Est enim Lex regula directiva vitae... Sed sic intelligendum est, ut humanum >> genus secundum sua communia, quae omnibus competunt, ab eo » regatur, et communi regula gubernetur ad pacem. Quam quidem regulam sive legem (la legge o norma generale onde si traggono » le leggi speciali), particulares Principes ab eo recipere debent; » tamquam intellectus practicus ad conclusionem operativam reci

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1 Cap. II, 4.

2 Per il Poletto, s'intende.

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pit majorem propositionem ab intellectu speculativo: et sub illa particularem, quae proprie sua est, adsumit, et particulariter ad >> operationem concludit. Et hoc non solum possibile est uni, sed »> necesse est ab uno procedere, ut omnis confusio de principiis » universalibus auferatur ». (Mon., I, 16).

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« Ecco in sostanza, che cosa Dante richiedeva, che cioè tutti » i Re e Principi riconoscessero nell' Imperatore il Capo supremo » del genere umano, il vero e solo possessor del mondo tutto, il Principe universale, l'immagine vivente della legge e della giu» stizia, e quindi la ragione stessa del loro essere e del comando » che esercitavano, pure restando ognun a capo del proprio reame >> o principato, non come possessor, ma come vicegerente del Mo» narca, e con leggi particolari governando, solo riconoscendo che » di tutta l'universale autorità civile Iddio investì il sommo Mo» narca, dal quale ogni altra autorità civile dipende e che il do» minio di lui non aveva territoriali confini, dappertutto il mondo >> essendo casa sua. Que' Principi, che avessero ciò contravvenuto, » sarebbero per ciò stesso divenuti non altro che despoti e tiranni, »e i popoli, secondo Dante, sarebbero stati sciolti, di diritto dal » loro giogo (cfr. Mon., II, 1). Che queste in Dante fossero fantasie » o che egli vedesse possibile ciò che impossibile può parere a » molti, non importa ora cercarlo; importa solo conoscere appieno il suo pensiero. E questo pensiero chiarito così, possiamo » conchiudere, che rispetto ai Papi, per riconoscerli legittimi So>> vrani non solo del Patrimonio, che infatti allora avevano, ma » anche d'uno assai più vasto, per quanto vasto lo si sappia pen» sare, Dante non altro richiedeva da questo infuori che il Papa, >> come principe civile, avesse dall' Imperatore quella dipendenza, >> ch'era condizione indispensabile alla legittimità degli altri So>> vrani: cosi i reami e i principati ed ogni fatta di giurisdizione ter>> ritoriale cessava di essere una scissura rispetto all'Impero, e una » minoratio jurisdictionis rispetto all' Imperatore ».

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Qui il Poletto fa arbitrariamente una applicazione a favore del papa di una teoria che Dante espone parlando di regni, città, municipi; non già di chiesa nè di papa. Quando il poeta accenna al genere di temporal possedimento che può avere il papa, lo fa consistere nel semplice uso a favore della chiesa e dei poveri di Cristo di beni materiali nel modo che ne usavano gli apostoli.

Il Poletto che, a questo punto, crederebbe di aver finito la trattazione, e risolta splendidamente la propria tesi, vuol darci il soprammercato e proseguire, specialmente per coloro che della monarchia di Dante hanno poca pratica. Eccoci a Carlo Magno.

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« Dicunt, quod Adrianus Papa Carolum Magnum sibi et Ecclesiae advocavit, ob iniuriam Longobardorum, tempore Desi» derii regis eorum, et quod Carolus ab eo recepit Imperii digni» tatem, non obstante quod Michael imperabat apud Constantinopolim. Propter quod dicunt, quod omnes qui fuerunt Roma» norum Imperatores post ipsum, et ipse, advocati Ecclesiae sunt, >> et debent ab Ecclesia advocari ». « E siamo di bel nuovo nel » ribadire che Costantino, avendo cesso illegittimamente al Papa » parte della giurisdizione imperiale, il Papa, come non poteva riceverla, meno ancora poteva trasmetterla in Carlo Magno e » ne' suoi successori nell'Impero. Ed è pur notabile che accenni >> all' Imperatore Michele, per raffermare che siccome Dio vuole >> un solo Imperatore, e questo c'era, tanto più apparisca e illegittima e irrazionale l'elezione del nuovo pel semplice fatto che usurpatio juris non facit jus. Però questo passo ha una somma >> rilevanza anche rispetto al Poema. Qui parla dell' Ingiuria dei Longobardi: in che stette cotale ingiuria sotto re Desiderio ? >> nell'invasione dello Stato Pontificio; dunque tale invasione Dante » la giudica ingiuria, cioè azione contro il diritto, e perciò ingiustizia: dunque della conservazione del loro Dominio Dante nei Papi ammetteva il diritto. Ma nel Poema va più in là, e fa un elogio manifesto a Carlo Magno per essere venuto in aiuto della » Chiesa contro Desiderio :

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E quando il dente Longobardo morse

la santa Chiesa, sotto alle sue ali (dell'Aquila)

Carlo Magno vincendo la soccorse.

Parad., VI, 94-6. 2

Tanto l'obbiezione riportata nella Monarchia, quanto i versi del Paradiso non parlano di stato pontificio, come gratuitamente interpreta il Poletto; ma di difesa della chiesa e del papa capo della chiesa. Questo identificare lo stato pontificio col papa e colla chiesa nel Poletto, che di chiesa e di papa certamente se ne intende, è cosa inesplicabile. Fatta questa osservazione riesce naturale che Dante abbia parlato di Carlo Magno come di un difensore della chiesa dal dente longobardo, massime se si ram

1 Mon., capo X.

2 Pagina 172.

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