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menti, conforme ci insegna la storia, che i longobardi compivano. le loro conquiste portando dovunque devastazione ed esterminio, uccidendo sacerdoti, profanando chiese, appropriandosi dei beni che prima ai sacerdoti ed alle chiese, ed il resto ai poveri dovevano servire. Basti ricordare anche solo i gravissimi danni spirituali arrecati dal dominio longobardo alla diocesi di Milano, i cui vescovi per ben settantasette anni furono costretti a dimorare lontano dalla loro sede, reggendo da Genova il loro gregge: ecco il dente longobardo che morse la santa chiesa. Era ben giusto che i papi, difensori, per loro missione, dei deboli e degli oppressi, e tutto dovendo temere in danno della propria libertà nel regime della chiesa, avessero ricorso per difesa non all'imperatore d'oriente, che avrebbe dovuto ed aveva sopra ogni altro il diritto di difendere il popolo romano e la chiesa, e che non se ne curava; ma al re dei franchi, perchè si trovava nella miglior condizione di potere e di volere assumersi una tale difesa. Del resto i re dei franchi non furono sempre chiamati in Italia dai papi; nè solo Desiderio, tra i re longobardi, morse la santa chiesa; ma furono i bizantini che, supplicati dai papi, usando del braccio dei franchi condotti da Childeberto contro i longobardi, speravano di riconquistare l'Italia, come altre volte l'avevano mediatamente ricevuta col braccio dei goti condotti dal grande Teodorico. Carlo Magno, venendo in Italia, credeva di seguire le orme dei predecessori suoi, non di far contro all'impero d'oriente.

Evidentemente il poeta non fa quistione di stato pontificio; ma di tutela a favore della chiesa e del papa che, come ho osservato, non sono l'istessa cosa collo stato pontificio; giacchè la Chiesa è chiesa, e si chiama tale non per avere un temporale dominio, ma in quanto ha una missione al tutto spirituale; e il Papa è papa, e si dice tale, non perchè sovrano temporale, ma in quanto è capo. visibile della religione di Cristo. Diversamente la chiesa e il papa avrebbero incominciato ad esistere dalla donazione di Costantino, colla quale, secondo Dante, ebbe principio il poter temporale; e ai nostri giorni la breccia di porta Pia avrebbe dato una solenne smentita alla promessa di Cristo: Et portae Inferi non praevalebunt adversus eam (!!)

E che Dante sapesse perfettamente distinguere tra Chiesa e Dominio temporale, tra Papa e Principe civile si rileva anche dai notissimi versi :

veggio in Alagna entrar lo fiordaliso

e nel vicario suo Cristo esser catto.

Veggiolo un'altra volta esser deriso;
veggio rinnovellar l'aceto e il fele,
e tra vivi ladroni essere anciso,

Purg., XX, 86-90.

nei quali, quantunque altrove il poeta avesse disonestato acerbamente Bonifacio VIII come principe temporale, pure quì ne assume vigorosamente la difesa perchè si tratta di ingiuria, di oppressione fatta a Cristo nel suo vicario.

Se poi si tien calcolo dell' indole dei longobardi, delle loro abitudini guerresche, dell' unica loro legge di governo che era di opprimere il vinto, il papato aveva tutta ragione di temere da essi, qualora si fossero impossessati di Roma, un trattamento non molto dissimile da quello che la storia racconta avere posteriormente usato Filippo il Bello contro la persona di Bonifacio VIII. La chiamata dei franchi per parte del papato, secondo le precise parole di Dante, tanto nella Monarchia quanto nel poema, ebbe per movente la tutela della chiesa e degli interessi legittimi della medesima, anzichè la semplice difesa di uno stato temporale.

Ho detto interessi legittimi, e mi spiego. Le terre possedute dai conquistatori erano sottoposte al rozzo e duro diritto barbarico, consuetudinario prima, poi scritto quale ancora lo abbiamo: mentre i possedimenti delle chiese erano retti secondo il diritto. romano: quando un possedimento ecclesiastico veniva usurpato, non era un semplice passaggio di dominio che accadeva, ma un mutamento di diritto, e chi fino là era vissuto all'ombra del diritto romano, passava in balìa del diritto barbarico. Doppio e gravissimo era il danno che ne conseguiva, perchè in ordine ai proventi, colla minor parte applicata al clero e al culto, era perduta anche la maggior parte destinata ai poveri. E con vescovi e papi di virtù eminente capisce ognuno che la destinazione e severa erogazione a favore dei poveri era cosa molto seria, e i papi non potevano a meno che opporsi alle conquiste barbariche le quali venivano a sconvolgere leggi, usi e consuetudini più volte secolari. Chi seppe comprendere ed approffittarsi dei rapporti giuridici che soli spiegano le avversioni degli animi nell' elemento romano contro le barbariche dominazioni fu la più grande individualità del medio evo, Carlo Magno, il quale, quando sostituì sè stesso e poi il figlio Pipino ai re longobardi in quello che poi si chiamò regno d'Italia, si affrettò a dichiarare legislativamente che il clero dovesse vivere a legge romana 1.

1 G. Cassani, in Rassegna Nazionale, 1 febbraio, 1893.

Il Poletto poi muove una difficoltà che non vede come possa essere risolta, nè sa se da altri sia stata dissipata. Secondo me la difficoltà potrebbe risolversi in questo modo: Come Dante insegna uno degli uffici supremi dell' imperatore si era quello di proteggere e tutelare l'azione spirituale del papa e della chiesa perchè conseguisse il fine per cui Cristo fondò la chiesa e pose ad essa per base Pietro, e i legittimi suoi successori. Ora all' epoca dei dissidi tra longobardi e papato il legittimo imperatore, quello d'oriente, con una lunga sequela di fatti aveva dimostrato di non volere e di non potere esercitare un tale officio: anzi, all'occorrenza, supplicato dai pontefici che badasse alle cose d'Italia e di Roma, minacciate dai longobardi, si era rivolto ai franchi per aiuto a difendere l'Italia, come avvenne nelle ripetute chiamate di Childeberto. Donde nessuna maraviglia se i papi invocassero difesa da chi altre volte, a mezzo dei bizantini stessi, furono soccorsi, senza rivolgersi ai legittimi difensori sapendoli impotenti perchè occupati contro ben altri nemici di verso oriente. Nell'occidente adunque, e nei rapporti tra papato ed impero, l'autorità imperiale era, se non per espresso, almeno per tacito consenso del legittimo imperatore, esercitata da Carlo Magno: ed è per questo rispetto che Dante riconobbe in Carlo Magno e ne' suoi successori come legittimo il possesso e l'esercizio dell' imperiale autorità in occidente. Il che ha conferma in questo che lo stesso Dante dichiara illecita ed invalida l'elezione degli imperatori da parte dei papi.

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Ma ritorniamo al Poletto. « Ma un argomento fortissimo (!?), >> al quale ogni uomo discreto dovrà consentire, lo ricavo dalla »> natura stessa dell' Epistola di Dante ai cardinali italiani, scritta » l'anno 1314; e dico: se Dante avesse mai pensato che al Papa >> si dovesse togliere il Dominio Temporale, quale occasione più propizia di quella, quando nel 1305, sotto Clemente V, la S. Sede >> venne trasportata ad Avignone? allora sopratutto che era ancor » sì vivo il suo cruccio contro Bonifacio VIII? Invece abbiamo troppi argomenti per conchiudere che dal 1308 al 1311 egli deplorava altamente quel trasporto e come un gravissimo danno » d'Italia e della civiltà universale, e un danno agli interessi stessi >> così della Religione come del Dominio Papale (?) (si leggano >> attentamente le Epistole V, VI, VII). Quando poi mori Papa Cle» mente (20 Aprile 1314) tanto da lui biasimato, che fa Dante? quasi collo stile dei Profeti prega, scongiura i Cardinali italiani >> a far sì che si elegga un papa che ritorni la Sede Apostolica »> nel Luogo santo, che è Roma, e si ripari così a tanti guai,

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quanti da quel trasporto (Dante lo dice exorbitatio) ne proven>> nero alla Chiesa, a Roma e all' Italia non solo, ma a tutta l'umana famiglia; e se nol faranno, intima loro i castighi del cielo. Se >> a Dante fosse pur balenata anche un solo istante l'idea di pri>> vare il Papato del suo Dominio Temporale, il miglior modo di » effettuarlo vi pare egli quello di tutto tentare perchè il Papa ritor»> nasse a Roma? o non sarebbesi anzi dovuto ingegnare per ogni guisa che quel ritorno non avvenisse, per rendere così più effet» tuabile il suo intento? E se a tale spogliazione avesse mai pen>> sato, non credete voi che Dante per franchezza di carattere e >> anche per avvedutezza politica, meglio che ai Cardinali pel ri>> torno, non avrebbe scritto in quegli anni di abbandono una » focosa Epistola o all' Imperatore, o ai Romani, cogliendo la >> buona occasione dell' assenza del Papa per iscrollarne una buona » volta il Dominio? A questo sarei contento mi si rispondesse in >> maniera convincente ».

È il Poletto che qui intrude la quistione del dominio temporale. Dante deplora la lontananza da Roma del papa pel motivo che il papa stesso, come Sole della via spirituale, doveva risiedere in Roma. Questo e non altro è il motivo che spinse Dante a scrivere ai cardinali italiani: il che ha conferma da tutto quanto scrive l'Alighieri nella lettera stessa. Dunque l'Alighieri, così scrivendo ai cardinali non pensava menomamente al temporale dominio dei papi. Del resto quando il Poletto afferma che se l' Alighieri fosse stato avverso al dominio temporale dei papi, anzichè deplorare la loro lontananza da Roma, si sarebbe adoperato perchè non vi ritornassero, dimentica che per Dante è necessaria, pel bene del mondo, la permanenza in Roma dei due Soli, del papa, cioè, non meno che dell' imperatore, onde, avverso o non avverso al dominio temporale (e in qual senso fosse avverso abbiamo già veduto) le sue dottrine politiche e religiose, la logica, la lealtà ed onestà del carattere, lo costringevano a deplorare come un male gravissimo, universale, la lontananza da Roma tanto del papa quanto dell' imperatore. E così credo di avere sciolta la quistione sollevata dal Poletto, e spero di averlo accontentato con una risposta convincente, sebbene, a suo modo di vedere, io sia uomo punto discreto.

Nel XIV il Poletto crede che Dante nelle sue tremende invettive contro i papi volesse riprovare unicamente l'abuso delle rendite provenienti dal poter temporale; ma non il potere temporale stesso. Io mi limito a contro osservare che Dante non solo condanna nei papi l'abuso delle mondane ricchezze, ma deplora

anzitutto la stessa donazione di Costantino, causa principale da cui derivò nei papi un tale abuso. — È poi tutt'altro che accettabile che l'espressione dantesca:

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dal Poletto riportata coll' equivalente di apostolico sangue, si riferisca alle rendite ecclesiastiche; ma il sangue degli apostoli e dei martiri, al dire del poeta, fu alimento alla sposa di Cristo perchè crescesse i caorsini e i guaschi bevevano questo sangue ad acquisto d'oro 2, mentre la sposa di Cristo deve essere usata conforme il fine per cui fu da Cristo fondata e alimentata dal sangue degli apostoli e dei martiri, il qual fine è l'acquisto d'esso viver lieto cioè del cielo. Dice san Pietro:

Non fu la sposa di Cristo allevata

del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto

per essere ad acquisto d'oro usata,

ma per acquisto d'esto viver lieto

e Sisto e Pio e Calisto ed Urbano

sparser lo sangue dopo molto fleto.

Parad., XXVII, 46-51.

O buona intenzione di monsignor Poletto,

A che vil fine convien che tu caschi!

Il paragrafo XV è dedicato a tutti gli imperatori, re, principi ai quali Dante fu largo di frecciate nel divino poema; e il Poletto fa questo come per mitigare quelle lanciate ai papi e alle genti di chiesa. «Ma checchè ne sia di questo modo, conclude, resta >> il fatto che non il dominio civile della Chiesa oppugnava Dante, » sibbene gli abusi ».

Dante, e l'ho già detto tante volte, nella generalità delle sue

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Pag. 178, linea 20. 2 Parad., XXVII, 42. 3 Parad., XXVII, 43.

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