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l'offesa a Dio non cessa nè si attenua mai. Essa, come si diceva di sopra, l'immagine del peccato, e laddove il peccato non fu d' incontinenza, ma si risolvette in danno altrui, allora soltanto noi possiamo ritrovare nel peccatore stesso l'immagine di questo danno, cioè applicata la pena del contrappasso.

Subito dopo gli sciaurati troviamo i sospesi del limbo: qui

Non avea pianto ma che di sospiri,

e vivono in desio senza speme. Sono anime buone, e ad eccezione degl' infanti, di tutti possiamo dire che vissero in desiderio del vero e di Dio. Dice appunto Virgilio

E disiar vedeste senza frutto

tai, che sarebbe lor desio quetato

che eternalmente è dato lor per lutto.

È manifesto che in questo desiderio senza speranza, il quale ora forma il loro tormento, Dante rappresenti la causa e l'origine della loro dannazione, insomma la loro colpa: non per altro si trovano nell'inferno che per non aver fe', per non aver conosciuto il Dio che quell' anime buone pur bramavano di conoscere, ma non potevano da sè. Dei lussuriosi dice bene il Boccaccio, da par suo, che assai ben si vede « l'autore far corrispondersi col peccato la pena », perchè « quanto per venire al peccato i pensieri del cuore e i movimenti del corpo con fatica si esercitarono, cotanto nello eterno supplizio (la bufera) loro gira e rivolge e trasporta». La pena inflitta ai golosi ritrae la bassezza della loro vita, e il Boccaccio trova anzi nella grandine i crudi cibi indigesti e nell'acqua tinta i vini squisiti. Per gli avari e i prodighi Dante ci dà uno spettacolo tra il comico. e il compassionevole: gli uni e gli altri si azzuffano e s'ingiuriano, con molta serietà, per i sassi, che per l'affinità dell'origine stanno ad indicar l'oro; e per non aver riconosciuto il vero valore del denaro nelle relazioni della vita, sono irriconoscibili a tutti: tale è la buffa dell'amore del denaro!. Gl' iracondi stanno in una lorda pozza 2, tutti pieni di fango, con sembiante offeso e si percuotono

Non ha inteso il significato della pena lo Scartazzini il quale dice che qui si tratta di cosa ben seria. Che ci sia lo scherno e la comicità in parecchie pene dell' Inferno dantesco è cosa notissima, e ci è parso di vederli anche in quella degli sciagurati.

2 Non posso tenermi dal notare qui il grave errore dello Scartazzini che fa discendere pozza dal ted. pfütze, mentre l'uno e l'altro risalgono al lat. puteum, pantano, col solito cambiamento di genere dal neutro al femminile!

non pur con mano

ma con la testa col petto e coi piedi

troncandosi coi denti a brano a brano.

Perciò essi seguitano a sfogar l'ira come nel mondo, e se le percosse che ricevono posson parere un giusto contraccambio di quelle che in vita devono aver date, nondimeno qui non c'è alcun ministro della pena, ma sono essi stessi che se la danno a vicenda e in egual misura. E come nel mondo il fumo dell'ira insozzava la loro mente, così qui il fango del pantano caldo. Ma giù in questo medesimo pantano, fitti nel limo vi sono altri peccatori che dicono

Tristi fummo

nell'aer dolce che del sol si allegra

portando dentro accidioso fummo.

L'accidia è il peccato contrario dell' ira come la prodigalità dell' avarizia; e come queste hanno di comune l'intemperanza nell'amore del denaro, così quelle l' intemperanza negli affetti; gl'iracondi peccano per eccesso di zelo, gli accidiosi per difetto: gli uni si muovono e si percuotono come in vita, gli altri sono fitti nel limo come nella loro inerzia, gli uni si mostran troppo, gli altri continuano ad essere sconosciuti e oscuri. Chi abbia vaghezza di più minute corrispondenze rilegga il commento del Boccaccio, e consideri in quel luogo quanta differenza esista tra gli accidiosi, veri peccatori, e i meschinelli dell' antinferno!

Ma a questo punto noi non possiamo sorvolare sulle varie supposizioni che si son manifestate a proposito dei peccatori dello Stige. Quel maledetto pantano l'hanno frugato e intorbidato in modo che non dev'esser più come era al tempo che lo vide Dante; e ci si deve star molto peggio. Non bastavano le infinite varianti dei manoscritti, che si dovevano anche trovarne di così audaci come quella di invidioso fummo per accidioso fummo! Di questo passo non la si finirà mai, eppure sarebbe così facile intendersela sopra di alcuni punti capitali e indiscutibili. Io ridurrò a pochi quesiti le principali obiezioni:

1. È lecito sostituire invidioso ad accidioso senza nessun argomento obbiettivo, fuor che quello di un' ipotesi della testa propria? Sarebbe stranissimo che questo povero invidioso fosse stato bandito sin dal suo primo apparire nell'autografo dantesco, e i più antichi, il Boccaccio, l'Imolese leggessero e interpretassero innanzi a un gran pubblico l' accidioso fummo con la maggior leggerezza di questo mondo! E non si tratta mica di cacciarli e caccianli, di sonno e di vene, e che so io, ma di accidia ed invidia, due peccatacci che dovevano contar per qualche cosa nell'etica di Dante e del suo secolo!

2. Se Dante parla di accidia, è lecito intendere di altra specie di ira, quella che si cova lungamente nell' animo? O che Dante stesse così a corto di vocaboli e fosse così poco sollecito della proprietà e così poco schivo dei garbugli da dover dire accidia per voler intendere ira? Garbugli ne ha pur fatti, ma quando vi è stato, come si dice, tirato per i capelli.

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3. Se i peccati approvati, consacrati, canonizzati per tutta la cattolicità sono la lussuria, la gola, l'avarizia, l'ira, l'accidia, l'invidia, la superbia, e noi li vogliamo trovar tutti tra l'Acheronte e lo Stige, e credere, per trovarci d'accordo con le espresse parole di Dante nel canto medesimo, che sieno tutti d'incontinenza, come spiegheremo i peccati che son puniti nel basso inferno, città di Dite? La violenza, la frode, il tradimento, i peccati di malizia e di bestialità insomma, sarebbero mai dei peccati nuovi, inventati da Dante, da lui aggiunti alle distinzioni trite della scolastica medioevale ?!

Contro queste gravi difficoltà devono combattere coloro che fanno della palude stigia il serbatoio di tutti i farabutti che sono stati spinti al male da ira o da accidia o da invidia o da superbia. È vero che appena entriamo nella città roggia perdiamo di vista quella regolarità delle categorie ordinarie dei peccati: ma se la confusione la vediamo in quel che vien dopo, non dobbiamo metterla anche in ciò che sta prima, e piuttosto l' invidia e la superbia cercarla a bello studio nella malizia é nella bestialità.

Prendendo ad esame il c. XI dell' Inferno si vede che Dante fa provenire da malizia ogni ingiuria (d'ogni malizia.... ingiuria è il fine), e comecchè negli ultimi tre cerchi tutti i peccati sono di ingiuria in questi cerchi è punita appunto la malizia. I violenti hanno adoperato la forza, e riempiono il settimo cerchio, gli altri la frode. Ma poichè la frode si usa in chi si fida e in chi non si fida, questi ultimi più colpevoli stanno nel nono cerchio. Son tutti maliziosi adunque, e non vi sarebbe luogo alla bestialità. Senonchè il poeta fa consistere questa appunto nell'oblio non solo dell'amor naturale, ma di quello

Di che la fede spezial si cria,

onde non resta più nessun vincolo umano, e però sono più specialmente i peccatori bestiali puniti nell' ultimo cerchio.

D'altra parte Dante definisce nel XVII del Purgatorio la superbia pel vizio di chi spera eccellenza dall' essere il suo vicino soppresso, e soltanto per questa speranza vuole che esso sia abbattuto, senza nessun altro motivo; c'è nel superbo, secondo Dante, un istinto brutale di egoismo e di soverchieria, che non ammette alcun rispetto e alcuna considerazione dell'altr' uomo. L'invidioso è chi si sdegna vedendo il vicino sormontare, e

perciò vuole che sia abbassato; egli dunque ha, rispetto al superbo, questa scusa per sè, il veder gli altri realmente più ricchi e più potenti di lui: egli non si curerebbe del suo vicino se non lo vedesse potente, invece l'altro gli dà addosso per solo istinto brutale. Posto adunque che il primo e il secondo arrecano ingiuria, sono entrambi maliziosi, e il primo è addirittura bestiale; e son questi propriamente che il poeta punisce negli ultimi tre cerchi dell' inferno, come corrispondentemente nei primi due del purgatorio.

Si può obbiettare facilmente che nel purgatorio anche dell' iracondo è detto che produce ingiuria, come colui che cerca il male altrui per offesa ricevuta. Ma è appunto questa onta da lui patita che lo rende meno colpevole degli altri; e ad ogni modo in lui non c'è nè l'istinto brutale del superbo nè la mala disposizione dell'invidioso; a lui, per dirla con linguaggio forense, possiamo accordare le attenuanti, riconoscere la provocazione grave, l'eccesso di difesa, la forza irresistibile, ma non diremo certo che è un briccone di tre cotte. Per la qual cosa, a me pare che l'invidia e la superbia sieno punite nel settimo, ottavo e nono cerchio dell' inferno; e Dante ha voluto per questi peccati analizzare tutte le varie forme in cui si estrinsecano; di più è ai superbi che egli ha voluto dare la qualificazione aristotelica di bestiali, e costoro ha puniti nel nono cerchio, dove si trova il superbo Lucifero, il gran vermo.

E lasciamo qui accidiosi ed iracondi per andare tra gli eretici, chiusi in tombe roventi. Non è agevole vedere con quale dei peccati canonici Dante abbia voluto accomunare l'eresia; ma più facilmente, per necessità ne ha fatto un peccato per sè, pur trovandoci delle affinità con i peccati contigui, e più con la violenza. Essi approfondirono la loro mente nell'eresia e si chiusero all'intelletto di Dio; di più quanto è l'ardore che i credenti sogliono porre nell'amore di Dio tanto è l'ardore e l'accanimento che gli eretici posero nel sostenere le loro proposizioni. E così vediamo che sono puniti sempre col fuoco quelli che fanno oltraggio alla divinità, i violenti contro Dio, il ladro dei sacri arredi (Vanni Fucci che è incenerito dal morso del serpente), i simoniaci 1. E la ragione morale agli occhi di Dante, e рій agli occhi nostri, ha una conferma nel supplizio cui la Chiesa condannava gli eretici! Si pensi inoltre che nella roggia stella di Marte son coloro che hanno combattuto per la fede, e che la carità è simboleggiata col rosso di porpora. Gli omicidi ed i tiranni stanno nel fiume di sangue, che si può dire il loro proprio elemento, e vi son tuffati più o meno secondo che vi diguaz

1 Cfr. Romania, XVIII, 162.

zarono più o meno nell'altra vita. I suicidi son privi di quelle fattezze umane che essi gettarono via volontariamente «Che non è giusto aver ciò ch'uom si toglie »; e le ferite che fanno loro le Arpie ricordano quelle che si fecero da sè. E comecchè la persona è una cosa stessa con la proprietà, son fatti a brani dalle cagne coloro che dissiparono la propria sostanza, immagine questa del loro peccato; e il Boccaccio pensa anzi che le cagne stieno a ricordare i rimorsi della povertà dopo la dissipazione. Qui, presso ad abbandonare la compagnia del Boccaccio, non m'è lecito procedere oltre senza osservare come il Boccaccio sia stato colui che con più acume e con più costanza di proposito abbia cercato appunto nelle pene dantesche l'analogia perfetta coi peccati.

I violenti contro Dio, la natura e l'arte, bestemmiatori, sodomiti e usurai son puniti col fuoco, i primi distesi supini ed immobili, i secondi correndo, gli ultimi accovacciati come cani e in una continua tresca delle mani per iscuotere da sè l'arsura fresca. È stato notato che nel fuoco e nel deserto qui abbiamo il simbolo della sterilità e della distruzione, c'è la fiamma che brucia e distrugge, come fa l'ardore di quei tre peccati, non il caldo fecondo. I bestemmiatori volti con la faccia verso Dio imprecano tuttavia nella loro impotenza, i sodomiti corrono come i lussuriosi, e gli usurai, con la borsa appesa al collo si agitano con le mani ed hanno gesti animaleschi. Nessuno può mai cessare dal tormento, e dei sodomiti è detto:

Qual di questa greggia

s'arresta punto, giace poi cent' anni

senza arrostarsi quando il fuoco il feggia.

Questa minaccia di una pena assai più grave non è solo pei sodomiti; dev'esser per tutti quanti; i peccatori volentieri stanno al tormento, pel timore d'una pena maggiore

Sicchè la tema si volge in desìo.

Al contrario nel purgatorio, le anime provano diletto nel tormento, e lo desiderano senza temerlo.

Entriamo nelle Malebolge. Le pene si fanno più orrende e più sozze come più c' inoltriamo; alla scudisciata del diavolo si mesce il ghigno e lo scherno, e persino Dante diventa feroce. In questo formicolaio di esseri umani e bestiali, tra il fiume nero vischioso dei barattieri e il rosso delle fiamme semoventi, tra corpi mutilati e visi torti all' indietro, fra beffe diaboliche e morsi di serpenti che inceneriscono o trasformano una natura,

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