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fra una turba di frati vestiti di piombo e demoni alati e centauri veloci, e bestemmie e urli e percosse e piaghe e scrosci di risa, si aggira Dante in una vera tempesta di sentimenti e di affetti, passando fra la gente malnata. Questo lo spettacolo della bassezza e dell' astuzia umana! Qui l' immagine del peccato è nel contrappasso, perchè le anime soffrono esse stesse quello che hanno voluto e fatto in altri, quasi la volontà si attui in sè stessa, e causa ed effetto si tocchino insieme, agente e paziente diventino un essere solo. Sentono i colpi delle fruste i mezzani ed i seduttori, come essi cacciano al peccato le loro vittime, e vogliono celarsi come in vita sentono sempre vergogna e si nascondono: non v'è nulla che sembri ripugnare alla natura umana più dell'ufficio del ruffiano, nulla di più indegno che il sedurre perfidamente una povera donna. Indica la bassezza e sozzura loro lo sterco in cui sono gli adulatori, che sono rimeritati così delle fetide lusinghe che dettero agli altri. I simoniaci sono in una specie di borsa, come dice Niccolò III « che sù l'avere e qui me misi in borsa », ed uno occupa il posto dell' altro, come fecero nella gerarchia ecclesiastica, e le buche in cui sono pare che sieno state fatte a bella posta come quelle che servono per i battezzatori. La pena degl' indovini è anche di contraccambio:

Mira che ha fatto petto delle spalle;
perchè volle veder troppo davante
di retro guarda e fa ritroso calle.

Gl' indovini mentre pretendono o danno a credere di vedere il futuro, hanno invece l'occipite verso il futuro, non lo vedono insomma, e qui è per forza il loro viso stravolto, e non possono neanche vedere ciò che tutti vedono innanzi a loro col senso. I barattieri sono impegolati come presero nella pania le loro vittime; ma essi sanno anche far le truffe ai diavoli e impaniarli. Assai evidente è negli ipocriti l'analogia delle cappe dorate coi loro travestimenti nel mondo, e queste cappe appunto sono il loro martirio. Ma Caifas con i sacerdoti giudei subiscono essi stessi il supplizio che fecero soffrire al Redentore, con esser crocifissi a terra con tre pali.

Nella settima bolgia si muta e tramuta la zavorra dei ladri, i quali appropriandosi l'altrui, quasi presero le altrui spoglie e sembianze, onde ora a vicenda si mordono e si trasformano nell'animale insidiatore e omicida, il serpente. Vanni Fucci « ladro alla sagrestia dei belli arredi, è ridotto in cenere dal morso del serpente, forse perchè gli oggetti involati dovevano essere ridotti in altre sembianze o fusi per essere adoperati o venduti, e anche perchè egli bisogna che senta lo stesso fuoco di Capaneo; due si avviticchiano fra loro e mordendosi fondono insieme la figura umana quella di serpente, quindi vanno carponi, e sono Cianfa (dei Donati?) e

Agnolo Brunelleschi, entrambi ladri del comune, così puniti forse perchè parte della sostanza involata appartiene un po' anche al ladro, cittadino. del comune, o per altre sottili ragioni, difficilissime a scoprire; di altri infine si vede che l'uno in forma di serpente guarda l'altro e lo trasforma in serpente mentre egli ritorna uomo, Buoso e Francesco Cavalcanti, il primo dei quali mise il secondo in luogo suo perchè continuasse le sue ruberie. Ma io non credo che qui dobbiamo vedere delle categorie di ladri, come hanno ingegnosamente cercato i commentatori. Il poeta dice

E vidivi entro terribile stipa

di serpenti e di sì diversa mena

che la memoria il sangue ancor mi scipa.

Ed egli ha descritto tre di queste mene, adombrando in ciascuna proprio quel furto o quella maniera speciale di furto che quei ladri adoperarono.

L'ottava bolgia risplende tutta di fiamme che si muovono celando in sè l'anima di un cattivo consigliere, di un sottile fabbro di inganni e di un abile orditore di agguati. L'inganno e l'agguato, cause di distruzione e di lutto sono simboleggiati nella fiamma, che ricambia il peccatore del danno fatto patire ad altri. Ulisse piange l'agguato del cavallo per cui Troia fu combusta, Guido da Montefeltro la distruzione di Palestrina, fatta con ferro e fuoco: costoro son per Dante quasi i tipi dei consiglieri frodolenti. I seminatori di scismi, gli scommettitori hanno impresso in sè stessi il loro peccato:

E tutti gli altri che tu vedi qui

seminator di scandali e di scisma
fur vivi, e però son fessi così.

Il loro tormento non sta solo nella ferita, ma nel sempre rinnovato dolore della ferita rifatta, di che pare che Dante pigliasse l'idea dal supplizio di Prometeo. Le ferite sono diverse secondo il peccato; Maometto è quasi tutto squartato, Pietro da Medicina ha tagliati gli organi vocali dalla góla al naso, Curione la lingua, Mosca dei Lamberti le mani, Bertran del Born il capo che egli tiene « pesol con mano a guisa di lanterna » : perciò anche qui come fra i ladri la stessa pena si modifica secondo il peccato; nè questo è nuovo perchè i lussuriosi stessi sono quali più quali meno leggieri al vento, i tiranni ed omicidi sono alcuni più altri meno tuffati nel sangue, Caifas e i sacerdoti hanno un particolare supplizio; e anche particolare è il tormento di Ugolino e dell' arcivescovo Ruggieri; nel limbo c'è una distinzione pei personaggi illustri. Questa grande varietà compresa nel rigido sistema dantesco è forse la fonte principale delle bellezze nella Divina Commedia,

La decima bolgia è piena di alchimisti, contraffattori, falsificatori di monete e bugiardi; tutti falsarii adunque e tutti afflitti da sconce infermità. L'alchimista Griffolino è coperto di piaghe, Gianni Schicchi ha la pazzia furiosa, Maestro Adamo è idropico, Simone ha una febbre che lo brucia sino a fargli uscire vapore da tutto il corpo. Le invenzioni di Dante qui son davvero sottilissime, perchè egli pensando a quelle sconce manipolazioni di metalli dà la lebbra all'alchimista, e rende pazzo chi contraffà una persona perchè appunto la pazzia deriva da una fissazione di una idea e di un fatto irreali, la quale mena sino a far credere al povero demente che sia un re, o un papa, o una fiera, o un gran ricco; nell' idropisia del falso monetiere è simboleggiata l'opera sua di introdurre metalli vili nei preziosi, sicchè a quelli si assomiglia l'umore tristo che infarcisce l'idropico; e finalmente quella specie di tifo che affligge il bugiardo simboleggia l'intensità della meditazione e l'arrovellamento interno di chi cerca bugie. Qui ha luogo la contesa fra due dannati, Maestro Adamo e Simone, che non può non avere qualche significato; perchè può essere un modo nuovo ed efficace di palesare i loro falli, e si vede infatti come per le otto persone qui nominate questa esposizione sia sempre varia; può anche nascondere il proposito di far rilevare una cosa detta altre volte, che cioè il ricordo del peccato è continuo e fiero dolore pel peccatore, senza che il rimorso riesca, come nel purgatorio, all' espiazione. E dalla scena descritta il Poeta coglie il destro per un altro ammaestramento morale dove dice: «Che voler ciò udire è bassa voglia ».

Visitate le dieci bolge i due peregrini si fanno al pozzo centrale dove torreggiano i giganti, stretti dalle ritorte: si può dire di tutti ciò che Virgilio dice di Fialte :

Questo superbo voll' essere esperto

di sua potenza contro il sommo Giove;

. . . . ond' egli ha cotal merto;

le braccia ch' ei menò giammai non move.

Ma la loro grandezza, misurata a palmo a palmo dal poeta è simbolo della

1 Quel folletto è Gianni Schicchi. Quale che sia l'origine di folle, qui bisogna intendere folletto per un diminutivo per pazzarello, matterello, per pazzo insomma, come ben fa il Buti chiosando quel rabbioso, e non per spirito folletto, come fanno quasi tutti. Dante non ha chiamato mai diavolo un dannato, e qui vuol indicarci quale specie di malattia sia la punizione dello Schicchi. Aggiungerò che gli antichi per dire spirito folletto, non dissero mai folletto semplicemente, sibbene lo dicono i moderni con espressione brachilogica: così in francese antico follet è semplice diminutivo, mentre si dice sempre feux follets.

loro stupidità bestiale, a provar la quale Virgilio fa ad Anteo lo stupendo scongiuro, dove mentre a lui così incatenato dice, fingendo di lodarlo :

se fossi stato all'alta guerra

dei tuoi fratelli ancor par che si creda che avrebber vinto i figli della Terra;

soggiunge subito dopo:

Però ti china e non torcer lo grifo.

E son degni introduttori in questa cerchia di colpevoli in cui ogni affetto umano è sparito e solo è rimasto l'istinto bestiale, i giganti, dei quali la ragione umana, incarnata in Virgilio, si fa beffe in maniera tanto grossolana. Giunti adunque nell' ultimo cerchio infernale cessa ogni sentimento umano, il gelo non lascia neppur piangere, e non si leva un lamento, un rumore in questo orrido campo bianco ricoperto di tenebre e ventilato dalle ali di Lucifero. Il peccato caratteristico della nona cerchia è il tradimento, lungamente meditato senza che l'uomo avesse ascoltato una sola volta la voce dell'amore che si leva sempre da ogni anima, al cospetto di chi si fida. Il ghiaccio è dunque pena somigliante a quel peccato, per cui fu spenta ogni generosa fiamma del nobile cuore umano. Nessun' ombra si vede più levata in piedi; ma tutte come bestie stanno giù nel ghiaccio, quelle della Caina a metà e con la faccia volta in giù, quelle dell' Antenora mostrano al poeta solamente le teste, anch'esse prone, quelle della Tolomea sono fasciate dal ghiaccio ma rovesciate, e nella Giudecca traspaiono come festuca in vetro senza che alcuna sia riconosciuta da Dante. Maggior gelo adunque stringe i peccatori più tristi, e la vita, per dir così, va sempre più mancando fra loro. A noi par di essere in quella tetra solitudine e di sentire i brividi dei dannati e il batter dei denti, quando ci percuote la voce di uno che Dante ha pestato col piede. A mano a mano, il silenzio diventa generale: pur c'è qualche cosa che si muove, i denti e le unghie di Lucifero che scortica e maciulla eternamente Giuda, Bruto e Cassio come il re dell'inferno di Fra Giacomino da Verona stritolava e schiacciava coi denti le sue vittime. Quale effetto grandioso ha questa nota grottesca nel sublime dell' insieme! Nel fiero pasto del gran vermo c'è insieme l'ira, il disprezzo, lo scherno e la pietà suscitatisi in Dante alla vista di tutti i varii peccatori dannati all'eterno dolore.

Nondimeno, nell' eterna freddura, quanta ira generosa del poeta, quanto fuoco di sdegno è condensato! È nell' Antenora che egli ci presenta l'un dopo l'altro i più fieri traditori della parte e della patria, e levandosi alto sopra guelfi e ghibellini, condanna egualmente gli uni e gli altri, ponendo

ciascuno accanto a un altro di parte avversa. Primo Bocca degli Abati, il traditore dei guelfi a Montaperti, contro il quale il poeta è forse troppo crudele, e accanto a lui Buoso di Duera, traditore dei ghibellini di Manfredi «< piange l'argento dei Franceschi »; quindi don Tesauro di Beccheria che tramò contro i guelfi, e dappresso Giovanni Soldanieri, traditore dei ghibellini nel 1266; poco discosti Gano di Maganza traditore di Orlando e però dei francesi (dunque dei guelfi, con strano anacronismo), e Tibaldello che favorendo i francesi tradì Faenza e il conte Guido da Montefeltro. E non son soli, che fatti alcuni passi trovansi insieme il conte Ugolino della Gherardesca, traditore dei ghibellini pisani a lui affidatisi, e l'arcivescovo Ruggieri, traditore dei guelfi pisani e carnefice di Ugolino e dei suoi figli e nipoti. Qui il poeta fa dunque rivivere tutta la storia degli odii e dei tradimenti di parte, qui esce in scoppj fierissimi d'indignazione contro Bocca e contro Pisa vituperio delle genti, la quale par che sia stata tanto colpita dall' Alighieri non solo per esser ghibellina e rivale di Firenze, ma perchè egli è amareggiato e agitato da tutta quella storia che ha fatto rivivere, e di cui vede quasi la più terribile catastrofe nella scena della Torre della Fame. Io non ho il menomo dubbio che Ugolino e Ruggieri non sieno nell' Antenora: essi compiono un pensiero del poeta, chiudono una serie da lui composta; e l'autore lo avverte esplicitamente là dove dice. seguitando :

Noi passamm' oltre là 've la gelata
ruvidamente un'altra gente fascia,
non volta in giù, ma tutta riversata.

La Tolomea ha un vantaggio, dice Dante, su tutti i cerchi dell' inferno, chè riceve cioè le anime dei traditori appena compiuto il delitto, prima che essi muoiano, perchè da quel punto un diavolo va ad abitare nel loro corpo. È evidente che qui il poeta si sia giovato della comune credenza degli indemoniati e degli spiritati pel caso di questi fierissimi peccatori, i quali son tanto precipitati nel male che per loro è impossibile ogni ravvedimento: e così ha potuto introdurre l' episodio di Branca d' Oria. Senonchè non è il caso di prender qui il poeta proprio sulla parola, perchè troveremmo una grave contraddizione con la sua teoria che mentre la speranza ha fior del verde, può sempre ritornare l'eterno amore.

Anche Lucifero ha nelle sue tre facce l'impronta del proprio peccato, chè in ciascuna vi è dipinta una malvagità opposta ad una delle bontà onde si compone Dio, potestà, amore e sapienza: come Dio possiede ogni bontá, Lucifero possiede ogni vizio, e tal significato hanno più probabilmente i colori rosso, nero e giallo delle sue facce; e così pure se Giuda pende dalla vermiglia, Bruto dalla nera e Cassio dalla gialla, il poeta avrà

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