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Mi permette, egregio signor direttore, di trattenermi un poco sull' argomento preso a trattare, nel quaderno III di questo giornale, dallo Scartazzini? O parrà forse irriverenza da parte mia, essendo solo pochi anni che io mi occupo di studi letterari e non avendo preso l'Alighieri a scopo primo ed unico delle mie ricerche, scendere in campo contro un uomo da lungo tempo notissimo fra gli eruditi, conoscitore profondo delle opere dantesche, assiduo ricercatore di tutto ciò che ad esse opere ed al loro autore si riferisce? Spero di no; giacchè non è mai irriverente una opposizione fatta allo scopo di meglio conoscere la verità, essendo appunto il desiderio della verità, anche rispetto alle più piccole cose, quello che dà vita ed impulso alle investigazioni storiche e

letterarie.

Ciò premesso, devo indicar chiaramente il fine che mi propongo nello scrivere questi appunti. Ho parlato di scendere in campo e di fare opposizione: ora tali parole potrebbero indurre altri nell'idea che, mentre lo Scartazzini sostiene la non identità della Beatrice dantesca colla Beatrice Portinari, io cercassi di sostenere appunto l'identità delle due donne. Invece, nulla di tutto ciò. Che Beatrice Portinari sia veramente esistita è cosa indubitabile, poichè ce l'attesta un documento; ma non altrettanto indubitabile è che debba riconoscersi in essa la Beatrice di Dante, e, dal canto mio, non oserei avere quella medesima sicurezza che, intorno a tale

Giornale Dantesco

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questione, ha l'illustre prof. Del Lungo '. È però anche vero che, a voler distruggere compiutamente la tradizione boccaccesca (la quale, anzi, bisogna pur riconoscere che induzioni di non poco valore confortano) e concludere, come fa lo Scartazzini, che la causa di Beatrice Portinari nei Bardi è perduta, occorrerebbero ben altri argomenti di quelli che lo Scartazzini stesso adduce. Rimanendo pertanto neutrale rispetto a ciò che forma il nocciolo della investigazione dell' egregio dantista, credo poter dissentire da lui circa i ragionamenti speciali che intorno a quel nocciolo egli raggruppa. Qualche cosa guadagneremo sempre; poichè lo Scartazzini o potrà ribattermi vittoriosamente, ed io sarò ben lieto di dichiararmi sconfitto, o cercherà, e forse troverà, nuovi argomenti più validi in sostegno della sua tesi.

>>

Non contento di negare l'identità della Beatrice dantesca colla Beatrice Portinari, egli nega perfino una Beatrice qualunque e sostiene che quello non poteva essere il nome della donna amata da Dante.

Prima di tutto osserva, riportando alcune parole dello Scherillo (Quattro saggi di critica letterar., Napoli, 1887, p. 66 e seg.), che i nomi delle donne celebrate dai poeti sono immaginari, ideali, e che quest'uso, non solamente invalse fra i poeti dello stil nuovo, bensì fra quelli «< d'ogni tempo, da Orazio (Lalage, Lidia, ecc.) al >> Petrarca (Lauro, Laurea, Laura), a Fazio degli Uberti (Angiola), a » Giusto de' Conti (Fenice o Colomba), al Boccaccio medesimo (Fiammetta), giù giù fino alle Amarilli e alle Nici dell' Arcadia, alla 2 Nerina ed all'Aspasia del Leopardi, alla Lidia del Carducci 2 ». —Adagio! Questo è, per verità, un affermare un poco troppo reciso! Sta bene che, in generale, i poeti cantino le loro donne sotto nomi inventati; ma non ci sarà proprio nessuno che abbia preferito servirsi del loro nome di battesimo? Io dubito forte che, cosi credendo, si cada in una esagerazione punto giustificata dalla realtà delle cose. Infatti, ecco subito farcisi incontro, nella serie medesima scherilliana, messer Francesco Petrarca, la cui donna (fosse poi la De Sade o chiunque altra si voglia) credo fermamente col Gaspary 3 che avesse in vita il nome stesso col quale viene celebrata nel Canzoniere. Ecco, immediatamente dietro al Petrarca,

1 Beatrice nella vita e nella poesia del sec. XIII. Milano, Hoepli, 1891.

2 Pag. 99.

Storia della letterat. ital., vol. I (Torino, 1887), Appendice, pag. 480.

Fazio degli Uberti, il quale nè amò un' Angiola nè cantò altra donna sotto questo nome, ma si valse di esso come di semplice epiteto in quell' unico luogo delle sue liriche dove si legge 1; amò bensì Ghidola Malaspina, e, pur tacendone il nome di battesimo, non ne tacque il casato su cui (come il Petrarca su Laura) architettò bisticci e giuochi di parole. Ecco, se vogliamo risalire più addietro, proprio ai tempi di Dante, Guido Cavalcanti che, rammentando la Mandetta di Tolosa, la rammentò certo col suo vero nome, non essendo possibile credere che egli, anche nel porre in versi la dolce memoria tornatagli di una donna tolosana, abbia provato il singolare bisogno di nasconderla sotto un nome poetico 3. Non mancano dunque gli esempi di nomi reali di donna usati da diversi poeti: ora, basterebbe uno solo perchè l'argomento dello Scherillo e dello Scartazzini perdesse ogni sua forza.

Il secondo argomento, tratto dalle parole del S. 2 della Vita Nuova, « . . . . la gloriosa donna della mia mente, la quale fu chiamata da molti Beatrice, i quali non sapeano che si chiamare », non ha maggior valore del primo. Dice lo Scartazzini che la difficoltà d' interpretare quelle parole nasce dal ritener come assioma indiscutibile che Beatrice fosse il nome della fanciulla; mentre invece, continua, se togliamo via questa falsa premessa, il senso diviene chiarissimo: « alcuni, e non erano pochi (molti), i quali » non sapevano come la si chiamasse col suo nome di battesimo, >> derivandone il nome dall'impressione che la sua vista su loro faceva, la chiamavano Beatrice, cioè colei che beatifica chi la » vede ». Più sotto, riportata l'interpetrazione che di quell'oscuro passo della Vita Nuova dà il Giuliani (Per semplice e naturale effetto che in loro al vederla si destava, la chiamavano Beatrice, indovinandone così il vero nome, come questo le convenisse propriamente),

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1 Ecco il passo di Fazio: Amor, non so che mia vita far deggia | nè qual cammino a campar possa prendere | chè i miei lamenti intendere | non par l'Angiola bella tanto è frigida (v. RENIER, Liriche edite ed ined. di Fazio degli Uberti, Firenze, Sansoni, 1883, p. CLXXXI). È così evidente che Angiola non è qui nome proprio che io la scriverei coll'a

minuscola.

2 Ne dò qui alcuni esempi, togliendogli dal RENIER, Op. cit., pag. CLXXXIV-V: trovai la rosa | che sopra il suol de' Malespini è nata; Non più cercar di su la mala spina | coglier la rosa, siccome se' uso; e par sì come in su la spina rosa.

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3 E' mi ricorda che 'n Tolosa | Donna m' apparve accordellata istretta | Amor la quale chiama la Mandetta. (v. P. ERCOLE, Guido Cavalcanti e le sue rime, Livorno, Vigo, 1885, pag. 383-4).

4 Pag. 100.

aggiunge: << Si stenta a credere che molti, ignorando il vero di lei » nome, lo indovinassero dalla impressione che dalla sua vista ne >> ricevevano. Pare che, qualunque quella impressione si fosse, i » molti non sarebbero andati d'accordo nel nome che le davano. >> Chi l'avrebbe chiamata Angiola, chi Beatrice, chi Stella, chi Splendore di viva luce eterna, chi Loda di Dio vera e chi diversamen>> te1». Io non so comprendere come lo Scartazzini non si sia accorto che l'argomento può benissimo ritorcersi contro di lui. Infatti, ammesso pure che la donna di Dante non si chiamasse Beatrice, perchè mai quei molti, che le assegnavano di propria testa un nome a seconda dell'impressione ricevuta, si sarebbero trovati mirabilmente concordi nel chiamarla tutti così (come lo Scartazzini stesso più sopra ammette) e non piuttosto Beatrice alcuni, altri Angiola, altri ancora Stella, ecc.? Intendiamoci: sono, queste, sottigliezze a cui non tengo minimamente, e che anzi vorrei lasciare affatto in disparte, poichè certo la critica non se ne avvantaggia; ma, dal momento che lo Scartazzini se ne vale contro l'opinione degli altri, è giusto fargli riflettere che altri potrebbe valersene contro l'opinione di lui.

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Procedendo, lo Scartazzini adduce a conforto della sua tesi un fatto «< che per sè solo » egli scrive « a noi sembra decisivo » Dante, come si rileva da vari passi della Vita Nuova, faceva di tutto per tener nascosto il suo amore; tanto è vero che scelse, l'una dietro l'altra, come sua difesa, due donne, per la prima delle quali scrisse anche « certe cosette per rima » 3. Ora, è ammissibile, dice lo Scartazzini, che volesse usare il vero nome della sua amata, non solo dopo che fu morta, ma mentre tuttora viveva come apparisce dal sonetto del §. 24 della Vita Nuova e dall' altro sonetto Guido, vorrei che tu e Lapo ed io? non avrebbe egli, così facendo, svelato quel segreto che con tanta cura si studiava di nascondere? Anche qui credo si pecchi d'esagerazione. Il rammentar monna Bice non mi sembra potesse far subito conoscere l'oggetto dell'amore di Dante: forse che a quel tempo viveva a Firenze una Beatrice sola? E poi, anche il desiderio che Dante aveva di celarsi, bisogna intenderlo con una certa discrezione. Quel desiderio era senza dubbio vivissimo, poichè il poeta stesso ce lo dice; ma si sarà manifestato nelle forme pratiche della vita reale, negl' imme

1 Ivi.

2 Ivi.

3 V. N., S. 5.

diati contatti e relazioni che Dante aveva colle persone del suo tempo. Quando, ad es., si trovava in compagnia di suoi conoscenti e la donna gentilissima gli era vicina, egli avrà guardato altrove piuttosto che là dov' ella stava, avrà fissato di preferenza altre donne, quelle dello schermo, avrà magari ecceduto (senza riuscire però in tutto a nascondersi, come vedremo fra breve) nell'affettar noncuranza verso colei che pure stava in cima de' suoi pensieri. È questo un fenomeno psicologico che accade tutti i giorni: e son sicuro che se potessi rivolgermi ai giovani e domandar loro se mai, o per sfuggire ai motteggi degli amici o per un qualche delicato riserbo che mal si può definire e che solo può comprendere colui che lo prova, si sian trovati nel caso di simulare o dissimulare, son sicuro che la maggior parte mi risponderebbe di sì. Nulla dunque di straordinario che Dante, il cui amore (si noti) era timido e reverente, e, diciamo pure, mistico al massimo grado, facesse di tutto perchè occhi indiscreti non lo sorprendessero nella sua adorazione e voci indiscrete non profanassero la delicatezza del suo sentimento. Ma da ciò a concludere che non avrebbe mai scritto neppure il nome della gentilissima, quando, solo, nella propria casa, scriveva un sonetto in sua lode, mi sembra ci sia di mezzo un abisso.

Del resto, la verità di quanto ho detto più sopra, doversi cioè intendere il desiderio di Dante di tenere occulto il proprio amore cum grano salis, emerge, se non m'inganno, da ciò che Dante medesimo racconta nel S. 24, proprio in quel paragrafo da cui lo Scartazzini crede poter trarre il suo argomento decisivo. «Io vidi »> narra l'Alighieri venire verso me una gentil donna, la quale era di famosa beltade, e fu già molto donna di questo mio primo amico. E lo nome di questa donna era Giovanna, salvo che per la sua beltade, secondo ch'altri crede, imposto l'era nome Primavera e così era chiamata. E appresso lei guardando, vidi venire la mirabile Beatrice. Queste donne andaro presso di me così l'una appresso l'altra, e parvemi che Amore mi parlasse nel cuore, e dicesse: Quella prima è nominata Primavera, cioè prima verrà lo di che Beatrice si mostrerà dopo l'imaginazione del suo fedele. E se anco vuoli considerare lo primo nome suo, ecc. . . . Ed anche mi parve che mi dicesse, dopo queste, altre parole, cioè: Chi volesse sottilmente considerare, quella Beatrice chiamerebbe Amore, per molta simiglianza che ha meco. Ond' io poi, ripensando, proposi di scriverne per rima al primo mio amico (tacendo certe parole, le quali pareano da tacere), credendo io che ancora il suo cuore mirasse la beltà di questa Primavera gen

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