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tile. E dissi questo sonetto». E riporta il sonetto, di cui a mia volta riporterò le due terzine:

Io vidi monna Vanna e monna Bice,
venire invêr lo loco là ov' i' era,
l'una appresso dell'altra maraviglia :

e sì come la mente mi ridice,
Amor mi disse: Questa è Primavera,

e quella ha nome Amor, sì mi somiglia.

Qui davvero non potremmo desiderare una chiarezza maggiore. Dante volle informare l'amico suo Guido Cavalcanti di un fatto che, per quanto in realtà semplicissimo, nella sua immaginazione si era trasformato in un collegamento ideale fra le due donne. Ma dunque il Cavalcanti doveva conoscere il segreto dell' amore di Dante; ma dunque Dante, mentre si sforzava, è vero, di nascondere questo amore ad altri che non avrebber saputo comprenderlo, all' amicissimo Guido lo aveva rivelato. Questa è, a parer mio, una cosa innegabile, se pure non vogliamo negar fede alle parole dell' Alighieri 1.

Ma v'è di più ancora. Quelle due terzine sono per me prova provata (uso qui la frase prediletta dello Scartazzini) che Beatrice era precisamente il nome reale della donna amata da Dante. Chi non si accorge, leggendole, che vi si contrappongono due nomi ad altri due? e chi non sarà disposto ad ammettere che, essendo Primavera soprannome di Vanna e Amore soprannome di Beatrice, ed essendo Vanna il nome reale della donna del Cavalcanti, anche Beatrice dovrà essere di necessità il nome reale della donna dell' Alighieri? Se così non fosse, mancherebbe nelle due terzine una corrispondenza logica: infatti, per una donna si darebbe il nome vero e quello immaginario, per l'altra se ne darebbero due immaginari entrambi. Ma se Dante voleva proprio tener nascosto anche all'amico il nome vero della sua amata e se Beatrice fosse stato veramente il nome poetico di lei, non gli sarebbe mancato il modo di esprimersi diversamente. Avrebbe, per es., potuto dire: Io vidi monna Vanna e la mia donna venire l'una dietro l'altra; la prima ha per soprannome Primavera, la seconda Beatrice. Ma, poichè così non ha fatto, ed ha accoppiato monna Bice a monna Vanna, ed ha poi attribuito a questa il nome di Primavera a quella il

1 Anche l'altro sonetto nel quale Dante nomina Bice (in esso pure accanto a Vanna) è indirizzato al Cavalcanti, come si rileva dal primo verso: Guido, vorrei che tu e Lapo ed io.

nome di Amore, è evidente, ripeto, che la donna dell' Alighieri si chiamava proprio Beatrice.

Del che ci porge una conferma notevolissima il fatto che Dante usa, oltre a questo nome, anche il suo diminutivo Bice; anzi, è proprio il diminutivo, come abbiamo veduto, che egli adopera in tutt' e due i sonetti dove fa menzione della donna sua. Ora, Bice, di per sè, non indica niente affatto l'azione del beatificare quindi, se Dante avesse attribuito alla propria donna il nome di Beatrice appunto per indicare la beatitudine che essa produceva in lui e negli altri, sarebbe in verità molto strano che nelle sue rime usasse invece il diminutivo Bice che quest' effetto di beatitudine non esprime punto. La cosa è chiara: Beatrice era il nome della donna amata da Dante; su questo nome reale egli arzigogolò, come arzigogolò sul nove andando a pescare fin nel calendario, d'Arabia e di Siria per decomporre in tanti numeri nove la data. della morte di lei; ma quando di fare arzigogoli non aveva bisogno o non provava desiderio, non esitò a chiamarla col suo diminutivo (monna Bice), precisamente come col diminutivo (monna Vanna) gli piacque designare la donna del Cavalcanti.

Da questo punto lo Scartazzini entra in un altro ordine di argomenti. Provato, secondo lui, « che Beatrice non fu il nome >> di battesimo della donna di Dante, ma un nomignolo dal Poeta >> datole » 1, egli vuol dimostrare che non può essere assolutamente la Portinari. Non tenendo conto della poco opportuna distribuzione data dallo Scartazzini al suo ragionamento, poichè, se Beatrice non è nome reale, viene di per sè come conseguenza necessaria che non si tratti della Portinari, e quindi l'egregio uomo avrebbe dovuto, mi sembra, invertire le parti, escludere prima la Portinari, per giungere poi ad escludere il nome stesso di Beatrice, vediamo quanto peso abbiano le prove che egli mette innanzi.

Dopo aver detto che i Portinari erano discesi da Fiesole e aver rammentato la fiera ed orgogliosa invettiva che Dante fa nél canto XV dell' Inferno contro le bestie fiesolane, conclude che dunque Beatrice non era certo una Portinari, poichè altrimenti « la cosa sarebbe terribilmente enorme » 2. È impossibile che Dante, <«< il Poeta della rettitudine, agisse in tal modo. . . . L'amore per la sua Beatrice, il rispetto, avrebbero assolutamente impedito al

1 Pag. 102.

2 Ivi.

» Poeta di schernire si sanguinosamente coloro, dai quali ella di>> scendeva, ad onta di tutti i possibili odi e di tutte le possibili >> rabbie di parte » Quanto a me, confesso che la cosa mi sembra tutt'altro che terribilmente enorme. Quando Dante scriveva, eran passati già molti anni dalla morte di Beatrice, e la personalità umana di lei era ormai quasi svanita nel ricordo del poeta: la donna, sempre amata, del resto, idealmente, aveva ormai dato luogo al simbolo. Ma ben vivevano ancora nell'animo del poeta stesso le memorie procellose della sua vita pubblica; ben era Dante l'uomo dalle profonde passioni, che, anche nell'assegnare pene eterne od eterni premi, si lasciava guidare, non già da un sentimento di giustizia e di rettitudine, come troppi e troppo leggermente hanno ripetuto, ma da' suoi criteri soggettivi. Come pretendere dunque che, mentre scriveva quei versi infiammato di sdegno, pensasse, anche minimamente, a Beatrice? E, del resto, l'invettiva che dà tanto nel naso allo Scartazzini non ha nulla di sostanzialmente diverso dalle altre invettive che contro Firenze si leggono nel poema sacro. Il popolo maligno che discese di Fiesole ab antico, le bestie fiesolane, non sono altro che i fiorentini stessi; è contro il proprio Comune, contro i propri concittadini in generale, che Dante si scaglia. Cosa c'entra dunque il dire che, ciò facendo, avrebbe recato ingiuria gravissima alla figlia di Folco Portinari?

Più fondato, in apparenza, è un altro argomento che lo Scartazzini fa seguire immediatamente a questo. Poichè Dante, sebbene avesse veduto Beatrice a nove anni e per altri nove l'avesse assiduamente cercata, « essendo già diciottenne ne udì la prima >> volta la voce » 2, è assolutamente impossibile credere che abitassero l'uno vicino all' altra; quindi, poichè le case degli Alighieri e dei Portinari erano vicinissime, la Beatrice dantesca non può essere la Portinari. — Tutti sanno che la difficoltà messa innanzi dallo Scartazzini non è nuova. Già il Bartoli se ne valse per rigettare il racconto del Boccaccio sull'incontro di Dante novenne con Beatrice in casa dei Portinari e per concludere (unendo questo ad altri molti argomenti) che Beatrice non è donna reale 3. Lo Scartazzini, pur giudicando falso il racconto boccaccesco, non giunge alla conclusione demolitrice del Bartoli, e si limita invece

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3 Stor. della letterat. ital., vol. V, (Firenze, Sansoni, 1884), pag. 54.

ad affermare, come abbiamo veduto, che Beatrice doveva abitare lontana dall' Alighieri, poichè, se fossero stati vicini di casa, già prima dei diciotto anni avrebbe dovuto Dante udir la voce di lei. A me sembra però che questa voce, una volta negato l'incontro fra i due bambini e quindi ogni posteriore relazione fra loro, Dante non poteva udirla che casualmente, per via, passando vicino a Beatrice e sentendola discorrere con qualche sua compagna. Ma, se questo è, mi pare che la maggiore o minor distanza della casa di Beatrice da quella di Dante non significhi nulla. Infatti, avessero pure abitato ai due punti estremi della città, certo è che prima dei diciotto anni s'incontrarono e si videro più volte, come Dante stesso ci assicura : « molte fiate l'andai cercando; e vedeala di sì nobili e laudabili portamenti, ecc. » (S. 2). Riuscirebbe, pertanto, ugualmente strano, anche ammessa la lontananza delle case, che Dante, in nove anni, non abbia udito una sola volta, neppure alla sfuggita, il suono della voce di Beatrice. Ma, se il supporre che Beatrice abitasse lontana da Dante non vale a rimuovere la difficoltà che è causa appunto di questa supposizione, viene a mancare, come ognun vede, la ragione dell' argomento scartazziniano.

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Del resto, tale argomento non può neppure esser proposto, se non a patto d'intendere le parole del §. 3 della Vita Nuova mi salutò virtuosamente. . . . quella fu la prima volta che le sue parole si movessero per venire a' miei orecchi » come lo Scartazzini le intende e il Bartoli stesso le aveva intese. Ma a me sembra che una simile interpetrazione sia affatto arbitraria, e che le parole suddette non voglian già dire essere stata quella la prima volta che Dante udì la voce di Beatrice, ma bensì che allora per la prima volta le parole di Beatrice si mossero a salutarlo, che fu, insomma, quello, il primo saluto che il giovane Alighieri ricevette da lei. Ora, questo significa semplicemente che, sino all' età di diciotto anni, Dante non aveva avuto rapporti di conoscenza con Beatrice, che, giunto a tale età, ebbe un'occasione qualunque di conoscerla personalmente, e che, dopo, Beatrice, incontratolo per via, gli rivolse il suo primo saluto così virtuosamente che a Dante « parve allora vedere tutti i termini della beatitudine » (S. 3). Ma, stando così le cose, non fa ostacolo il credere che Beatrice fosse la Portinari ed abitasse quindi vicino al poeta: essendo cosa frequente anche ai nostri giorni che due famiglie, per quanto prossime di abitazione, anzi per quanto dimoranti nella stessa casa, non abbiano veruna relazione fra loro.

Assai più che a questo, sembra che lo Scartazzini tenga ad un

terzo argomento che, al solito, è per lui addirittura decisivo. Folco Portinari morì il 31 decembre 1289 e la morte del padre di Beatrice è narrata, nella Vita Nuova, al §. 22; la donna di Dante morì il 19 giugno 1290 e della sua morte si parla al S. 29. Se questa donna fosse Beatrice Portinari, bisognerebbe ammettere, dice lo Scartazzini, che i fatti narrati nei SS. 22-28 accadessero nel breve giro di cinque mesi e mezzo. Questo sembra assurdo allo Scartazzini, che trova invece evidente si accenni in quei paragrafi ad un periodo di qualche anno. Ed è così convinto della sua argomentazione che esclama: «O stiamo a vedere se alcuno ha il corag>> gio di sostenere, e fors' anche l'ingenuità di credere, che nei » SS. 22-28 della Vita Nuova non si parli che di fatti avvenuti dal » 31 decembre 1289 al 19 giugno 1290!» 1. — Che dirà lo Scartazzini, quando gli confesserò che io sono precisamente uno di questi ingenui? e che non trovo niente affatto assurdo quello che a lui sembra tale, e che trovo assurdo invece quello che a lui sembra evidente? Guardiamo un poco. Nel §. 22 si narra la morte di Folco; il S. 23 comincia col dire che « appresso ciò pochi dì » Dante fu sorpreso da una infermità in causa della quale sofferse << per molti di amarissima pena », e racconta la visione che egli ebbe nel nono giorno di essa infermità; il §. 24 c'informa che « appresso questa vana imaginazione, avvenne un dì» che Dante fu preso da un tremito al cuore come se Beatrice gli stesse dinanzi, ed ecco di lì a poco passar veramente Beatrice preceduta da Giovanna; il §. 25 non è che una parentesi, nella quale il poeta dà ragione dell' aver egli nel paragrafo precedente parlato d'amore «< come se fosse sostanza corporale ». Non mi sembra davvero che per questi ben semplici avvenimenti occorra un tempo molto lungo. Ma restano ancora i SS. 26, 27 e 28 che, a quanto pare, lo Scartazzini ritiene importantissimi per la sua tesi. Ebbene, in questi paragrafi non si parla che degli effetti mirabili prodotti dall' umiltà, dalla grazia, dalla gentilezza di Beatrice. « Quando passava per via, le persone correano per vederla . . . . . quando ella fosse presso ad alcuno, tanta onestà venia nel cuore di quello ch' egli non ardia di levare gli occhi ..... Dicevano molti, poichè passata era: Questa non è femina, anzi è uno de' bellissimi Angeli del cielo..... Queste e più mirabili cose da lei procedeano mirabilmente e virtuosamente » (§. 26). Essa « venne in tanta grazia, che non solamente era ella onorata e laudata, ma

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L.R..

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