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per lei erano onorate e laudate molte », effetto mirabile che Dante. volle rappresentare in un sonetto (S. 27). Tanto operava la sua virtù sull' Alighieri che egli credè necessario, a ben esprimere ciò, scrivere una canzone, rimasta interrotta dopo la prima stanza in causa appunto della morte di Beatrice (S. 28).

È chiaro che lo Scartazzini ha preso qui un singolare abbaglio. Egli ha considerato come narrazione di avvenimenti quello che non è se non l'espressione, e certo espressione iperbolica come nota giustamente il Del Lungo, degli effetti che la vista di Beatrice operava su Dante e sugli altri. Certo neppure l'illustre dantista crederà che Beatrice cominciasse ad esser veduta e conosciuta e ammirata dalle genti, solo quando morì il padre suo. Ma se questo non è, se già prima essa doveva necessariamente essere apparsa ai contemporanei come modello di bellezza, di virtù e di modestia, capirà bene lo Scartazzini che i SS. 26, 27 e 28 non abbracciano un determinato periodo di tempo, nè breve nè lungo. Perchè poi Dante abbia aspettato a parlare in essi degli effetti che la sua donna produceva sugli altri, è cosa che solamente lui potrebbe dirci. Forse ciò fece, perchè veramente, morto il padre di Beatrice, la pietà che si provava per lei faceva crescere anche l'interesse e la simpatia e l'affetto verso questa giovane donna così bella ed umile nel suo dolore. Ma, probabilmente, come io credo, qui c'è di mezzo una ragione artistica: non riesce forse più dolorosa anche ai lettori la morte immediatamente successiva di Beatrice che pur avrebbe dovuto sempre vivere per la beatitudine degli uomini? non suonano forse più desolanti e più tristi, poste così dietro alla vivace pittura delle grazie e delle gentilezze della donna, le parole di Geremia colle quali comincia solennemente il paragrafo ventinovesimo?

È inutile che io mi trattenga su quanto lo Scartazzini dice intorno alla poca probabilità che Dante amasse una donna maritata. come fu Beatrice Portinari. Dirò solo che, anche senza ricorrere ai costumi del tempo e agli amori trovadorici, nulla di strano si troverebbe in ciò, pur giudicando secondo i costumi del tempo nostro, se di Dante non si fossero alcuni voluto fare un tipo direi convenzionale e antiumano, quasichè la sua grande figura diminuisse attribuendogli passioni che tutti gli uomini provano e azioni che molti uomini commettono. Nel caso poi di Beatrice, quand'anche fosse veramente la Portinari e quindi sposa d' un altro, nulla

Op. cit, pag. 68.

potrebbe rimproverare a Dante neppure il più rigido e pedantesco moralista, perchè egli sin da fanciulla la aveva amata e la amava castissimamente.

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A pag. 107 e segg. lo Scartazzini esamina l'attendibilità delle testimonianze che abbiamo a favore della Portinari, cioè il commento di Pietro, la Vita di Dante scritta dal Boccaccio e il commento del Boccaccio medesimo. Rispetto alla testimonianza di Pietro, dopo alcune giuste considerazioni, conclude che è << per » dir poco, alquanto problematica ; e su di ciò, pur non andando pienamente d'accordo con lui, non saprei nemmeno interamente discordarne. Ma il ragionamento che segue intorno al Boccaccio è così paradossale e puerile che non mi so fare un'idea del come sia proprio lo Scartazzini quegli che ha scritto. Riporterò le sue stesse parole facendo via via alcune considerazioni in contrario.

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<< Il Boccaccio (Commento, lezione VII. Ediz. Milanesi I, p. 224) » si fonda sulla " relazione di fededegna persona, la quale conobbe >>> Beatrice, e fu per consanguineità strettissima a lei Ma quei Fiorentini, ai quali messer Giovanni di viva voce esponeva il » Poema sacro, sapevano che la Beatrice di Dante fu la figlia di >> Folco Portinari, o non lo sapevano? Se lo sapevano, qual mai >> bisogno c'era di invocare la testimonianza della "fededegna » persona? Fu adunque questo Bismarck, secondo la rela»zione di fededegna persona, il primo cancelliere del nuovo im» pero Germanico ... chi non vede il ridicolo di questa frase? Eppure la frase è esattamente modellata su quella del Boccac» cio. Al quale certo non sarebbe sfuggito che egli incorreva nel >> ridicolo invocando la "relazione di fededegna persona,, in » prova di un fatto che a' suoi uditori era già noto ». Indubbia mente lo Scartazzini, preso da un accesso di buon umore, ha provato il bisogno di ridere e di far ridere. Paragonare Beatrice Portinari con Bismarck! il sec. XIV col sec. XIX! mettere a confronto due persone e due civiltà che non hanno niente che vedere l'una coll' altra! Non si capisce proprio come si possa ragionare così. E non si capisce neppure in che modo si possa esprimere, anche come semplice ipotesi da contrapporsi all' altra ipotesi che forma il secondo corno del dilemma scartazziniano e che or ora vedremo, un'idea tanto strampalata qual' è quella che i fiorentini

1 Pag. 107.

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vissuti nel 1373, quasi un secolo dopo la morte della Beatrice dantesca, potessero sapere tutti che essa era la Portinari. Ma vediamo adesso l'ipotesi opposta, che cioè nessuno lo sapesse. Dunque, scrive lo Scartazzini, i Fiorentini ignoravano chi si fosse » stata la Beatrice di Dante, ed allora si comprende assai bene » che il Boccaccio invochi la fededegna persona. Ma se lo igno>> ravano gli altri, d'onde lo sapeva dopo tanti e tanti sconvolgi» menti la fededegna persona? Si potrebbe rispondere che lo sa» peva, perchè era per consanguineità strettissima a Beatrice. › Hanno saputo i genitori e gli eventuali fratelli e sorelle della >> donna di Dante che il Poeta vagheggiava la loro figlia e sorella? » Vista la gran premura che il Poeta si dava che nessuno indo>> vinasse chi si fosse il vero oggetto dell' amor suo, si direbbe » di no». Pare impossibile che lo Scartazzini ribatta così di frequente sul medesimo chiodo, e dia una soverchia, eccessivamente soverchia, importanza a questa benedetta premura di Dante! Ma non s'è dunque accorto, lo Scartazzini, che, malgrado tutta cotesta premura, il segreto dell' Alighieri era trapelato, e molti, vivente ancora Beatrice, lo conoscevano? Ce lo dice Dante stesso al §. 18 della Vita Nuova : « Conciossiacosachè per la vista mia molte persone avessero compreso lo segreto del mio cuore, certe donne, le quali adunate s'erano, dilettandosi l'una nella compagnia dell'altra, sapeano bene lo mio cuore, perchè ciascuna di loro era stata a molte mie sconfitte.. delle quali una volgendo gli occhi verso me, e chiamandomi per nome, disse queste parole: A che fine ami tu questa tua donna, poichè tu non puoi la sua presenza sostenere?». Mi pare, e parrà certo anche al mio dotto avversario, che l'affermazione di Dante non potrebbe essere più esplicita. Continua, frattanto, lo Scartazzini: «E poi, chi era » la fededegna persona? Un uomo o una donna? Dai termini » usati dal Boccaccio pare che fosse una donna. E qual era il » suo grado di parentela colla Beatrice Portinari nei Bardi?... » . Su questo medesimo tono e di questo medesimo genere segue una lunga serie d'interrogazioni, le quali mi sembrano, lo dico con tutta franchezza, fantastici vaneggiamenti.

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Vorrei adesso poter trovare una argomentazione dello Scartazzini, una sola, che fosse ragionevole ed accettabile; ma, pur troppo, non mi vien fatto. Dopo l' infelicissima pagina sulla quale ci siamo or ora trattenuti, egli dice che, intorno alla identificazione di Beatrice colla Portinari si ebbero dei dubbi già fin dal trecento. «Francesco da Buti» così scrive « nega espressamente la » corporeità della Beatrice dantesca, ed il suo ma non è così sem

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» bra diretto a confutare quanto racconta messer Giovanni. Non >> ci era egli mai venuto, il Buti, da Pisa a Firenze? Egli, pub>>blico lettore della divina Commedia, non si era informato a >> Firenze delle cose di Dante? Ma non è così? Come, se nella patria di Dante si sa che la Beatrice di Dante fu la figlia di » Folco Portinari? Quel ma non è così è prova provata che al rac>> conto del Boccaccio non si credeva già nel Trecento; non si » credeva a Pisa, e non si credeva nemmeno a Firenze » 1. Una prima osservazione mi si presenta spontanea, ed è che lo Scartazzini avrebbe dovuto riportare le parole stesse del Buti o, almeno, darne un' idea generale. Invece ne riporta quattro sole, senza dire come si colleghino a tutto il resto dell'argomentazione di messer Francesco, senza accennare neppure lontanamente a quale opinione antecedentemente espressa si contrappongano. Inutile dire che il lettore, trovando quella frase ma non è così campata in aria, per quanto si stilli il cervello, non capisce nulla. Va finalmente a riscontrare il testo, ed allora incomincia a capir qualche cosa non aver, cioè, il Buti rammentato affatto il Boccaccio; essere, per conseguenza, del tutto vana l'ipotesi dello Scartazzini che egli mirasse a confutarlo; doversi, al contrario, accettar pienamente l'altra opinione, espressa già dal D' Ancona 2, che il Buti non conoscesse nè punto nè poco la testimonianza boccaccesca.

Tuttavia poniamo di poter concedere per un momento che messer Francesco abbia fatto le sue brave indagini intorno alla Portinari, e in generale a Beatrice, e sia bene informato. Che cosa dovremmo concludere? Dovremmo concludere che, poichè egli nega la realtà di Beatrice, vuol dire che a Firenze, dove aveva fatto ricerche così scrupolose, tutti lo avevano assicurato non essere mai esistita una donna di carne e d'ossa che Dante avesse amato di vero amore. Ma alla realtà di Beatrice lo Scartazzini ci crede, allontanandosi per conseguenza dall' opinione del Buti. E allora, io gli domando, come mai gli attribuisce tanto valore in un caso, mentre non tiene conto della sua testimonianza in un altro? È questo, come ognun vede, un sistema di critica che lascia alquanto da desiderare:

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2 La Vita Nuova illustr. con note e preceduta da uno studio su Beatrice (2a ediz.), Pisa, libreria Galileo già Nistri, 1884, pag. XXVII.

E qui mi pare opportuno por fine a queste modeste osservazioni che son venuto facendo nel leggere l'articolo dello Scartazzini. Conclusioni assolute mi guarderò bene dal tirarne, poichè sarebbero affrettate e non certe; quello però che posso dire con piena sicurezza si è che il suddetto articolo non ha fatto avanzare d'un passo la questione di Beatrice. Potrà ben essere che abbia ragione lo Scartazzini nel propugnare l'idea che la Beatrice di Dante non è Beatrice Portinari; ma questa sua idea aspetta ancora una dimostrazione.

Dopo ciò, egregio signor conte, a me non resta che ringraziarla vivamente dell'ospitalità accordatami e dichiararmi con stima

Pistoia, luglio, 1893.

Suo dev.
IRENEO SANESI.

DANTE E LA ROMAGNA

(Cfr. quaderno 1. pag. 19 e III. pag. 112)

III. (*)

La rassegna che Guido del Duca fa degli antichi e nobili spiriti di Romagna si estende a tutta la regione, da Ravenna a Bologna, dalla marina adriatica alle cime d'Apennino, ed è pittura viva, sebbene per ac

(*) Allorchè scrissi e pubblicai nel I quaderno del Giornale dantesco il primo di questi miei articoli, non conoscevo ciò che di Rinieri da Calboli avea detto il TORRACA nella Nuova Antologia, i novembre 1891; dove, discorrendo della Storia della lett. ital. di A. Bartoli, diè in nota una rapida, ma compiuta notizia dei fatti dell'antico gentiluomo romagnolo. La notizia del TORRACA, come porta l' indole del suo scritto, non ha indicazione alcuna di fonti, ma è derivata da quelle medesime ch'io additai nel primo articolo; e i fatti sono i mede. simi, salvo la presenza, da me non ricordata, di Rinieri da Calboli alla pace conchiusa tra gli Accarisi e i Manfredi in Imola nel 1279. Lo stesso TORRACA, in un altro suo scritto, Le rimembranze di Guido del Duca, pubblicato nella Nuova Antologia dell'1 settembre 1893, nulla aggiunge di nuovo a ciò ch'io dissi di Guido del Duca nel primo articolo e della famiglia Traversari e Anastagi nel secondo: anzi ricorda solamente alcuni dei molti fatti di Pietro Traversari, nè senza evitare la confusione solita tra il seniore di questo nome che morì tra il 1186 e il 1191 e il iuniore lodato da Dante e morto nel 1225; da che appar manifesto che il TORRACA non vide il secondo dei miei articoli, come io non avevo veduto il primo dei suoi.

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