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radici di quasi tutti i peccati, che si puniscono dal 6 cerchio in giù .... è dunque fatica gettata il chiedere, dove sieno gl'invidiosi ed i superbi » ; nè, infine, il Comello, che allo Scartazzini pienamente aderisce. Dicevo dunque, che sarei tentato di riassumere qui i citati miei scritti; e, forse, sarebbe questa la miglior confutazione delle opinioni altrui circa la struttura morale dell' inferno dantesco, in quanto di quelle opinioni scalzerebbe le basi : ma l'amor di brevità me ne distoglie; però basterà il dire, che per me la sede degli accidiosi e degl' invidiosi nell' Inferno, è, senza alcun dubbio, con gl'iracondi, nello Stige; e la sede dei superbi è, con men di dubbio ancora, nel 3 girone del settimo cerchio.

II.

UNA BASE FALSA.

Giunti al 6 cerchio dell' Inferno, Dante domanda a Virgilio (Inf., XI, 70-75):

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Essendomi proposto d'esser più breve che mi sarà possibile,

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1 Nota al canto VIII dell'inferno dantesco, in Biblioteca delle scuole italiane, del 1 giugno 1893. Tra quelli, che, molto probabilmente, non conoscono i miei studi danteschi, non annovero il prof. Del Lungo, che, quando furono pubblicati, me ne scrisse e me ne parlò pure a viva voce: nondimeno, nella recentissima ristampa (in Pagine letterarie e ricordi, Firenze, Sansoni, 1893) del suo diporto dantesco (già pubblicato nella Nuova Antologia, Aprile, 1873), il Del Lungo continua a ritenere che i superbi sieno nello Stige; e solo dichiara, che alle obiezioni fattegli risponderà in « un espresso studio sullo Stige dantesco» (pag. 47, in nota). Aspetteremo intanto io confesso, che tale dichiarazione, non che il ristampato diporto han destata in me una viva curiosità ed una non men viva sorpresa: curiosità, perchè davvero non indovino, come farà il prof. Del Lungo a sostenere con nuovi argomenti la sua opinione; sorpresa, perchè dall'indugio nel confutare le obiezioni fattegli io argomentava (e me ne dava diuitto il suo acume), che il prof. Del Lungo si fosse convertito alla verità, che a me sembra d'aver largamente dimostrata.

non riferirò la disputa, alla quale han dato luogo questi versi 1: dirò solo che a me, dopo aver dimostrato nell' uno de' citati mei scritti, che ne' versi 121-124 del canto VII dell' Inf. sono indicati certissimamente gli accidiosi e gl' invidiosi; a me i versi sopra citati sembrano della maggior chiarezza. Dante domanda a Virgilio : quelli della palude pingue, cioè gl' iracondi, gli accidiosi e gl'invidiosi; quelli che mena il vento, cioè i lussuriosi; quelli battuti dalla pioggia, cioè i golosi; e quelli che s'incontran con sì aspre lingue, cioè gli avari e i prodighi, perchè non son puniti dentro della città roggia, se Dio gli ha in ira? e se non gli ha in ira, perchè sono puniti? Al che Virgilio risponde (Inf., XI, 79-90):

Non ti rimembra di quelle parole,

con le quai la tua Etica pertratta
le tre disposizion che il ciel non vuole,
incontinenza, malizia e la matta

bestialitate? e come incontinenza

men Dio offende e men biasimo accatta?

Se tu riguardi ben questa sentenza,

e rechiti alla mente chi son quelli
che su di fuor sostengon penitenza,

tu vedrai ben perchè da questi felli

sien dipartiti, e perchè men crutciata
la divina giustizia gli martelli.

3

Da questi versi è parso ai dantisti di poter concludere, che Dante, nel suo Inferno, distinguesse, o, per lo meno cominciasse col distinguere i peccati secondo la distinzione aristotelica 2. Ma ciò dai versi citati non s' ha diritto a concluderlo, come ben fu notato dall' Agresti e dal Gennari de Lion 4. Virgilio dice, che i peccati puniti fuori della città di Dite son peccati d'incontinenza; e cita Aristotile, sol per ricordare a Dante che il peccato d'incontinenza è, tra tutti, quello che meno offende Dio. Questo, non altro, dice Virgilio. Quanto alla divisione de' peccati, Dante la fonda su basi strettamente teologiche, e precisamente sulla teologia

1 Cfr. Bartoli, op. cit., pag. 64-65.

2

Quanta sicurezza nel Comello! « Dante nella divisione delle colpe dell' Inferno segue l'Etica d'Aristotile (e chi non lo sa?) e non la distribuzione cristiana dei sette peccati capiOp. cit., pag. 263 della Bibl. delle sc. it., fasc. cit.

tali ».

3 Dov'è punita nell' « Inf. » di D. la matta bestialitade? nell'Alighieri, anno II, pag. 1-7. Op. cit., pag. 7-9.

di s. Tommaso. Dante non « si può capire come filosofo, se non da chi ben conosce la filosofia dell' Aquinate » : così, giustamente, scrive il p. Cornoldi 1; nondimeno, egli sorvola sulla questione della struttura morale dell' inferno dantesco 2. Il che, del resto, non farà meraviglia, chi pensi che il Cornoldi (non meno d'un altro ecclesiastico, il Planet) è preoccupato da ben altro scopo, provar con Dante la legittimità del potere temporale del papa! 3.

III.

DIVISIONE DE' PECCATI SECONDO LE CAUSE CHE LI PRODUCONO.

<< Principia humanorum actuum,» scrive S. Tommaso, «< sunt intellectus et appetitus tam rationalis, qui dicitur voluntas, quam sensitivus. Peccatum igitur in humanis actibus contingit quandoque, sicut ex defectu intellectus, puta cum aliquis per ignorantiam peccat, et ex defectu appetitus sensitivi, sicut cum aliquis ex passione peccat: ita etiam ex defectu voluntatis, qui est inordinatio ipsius ». S. Tommaso, adunque, distingue tre cause di peccato, il defectus intellectus, il defectus appetitus sensitivi e il defectus voluntatis: donde tre categorie di peccati; peccati ex ignorantia, peccati ex passione o ex infirmitate, peccati ex malitia o ex industria. Ma, poichè il peccato consiste, principalmente, nella volontà, << quanto motus peccati est magis proprius voluntati, tanto peccatum est gravius, caeteris paribus » 5: dunque i peccati d'ignoranza (quando l'ignoranza è indirettamente e accidentalmente volontaria ) e i peccati di passione (quando la passione precede l'atto del peccato 7) sono men gravi, caeteris paribus, che quelli ex malitia; poichè negli uni

1 La filosofia scolastica di san Tommaso e di D., di G. M. Cornoldi (d. c. d. G.). Roma, Befani, 1889, pag. 397.

2 La d. C. di D. A. col comento di G. M. Cornoldi (d. c. d. G.). Roma, Befani, 1888, pag. 114-117.

3 Cfr. nel cit. comm. del Cornoldi, le note ai passi danteschi, relativi al potere de' papi, specialmente quella al v. 132 del c. XVI del Purg.; e nel Planet (Dante, étude religieuse et litteraire sur la d. C. par l'abbé Henri Planet, Paris, Lyon, Delhomme et Brignet) le pagine 231-233

4 Summa totius theologiae, I, II, q. LXXVIII, art. 1.

5 Summa, I, II, q. LXXVIII, art. 4.

6 Ivi, q. LXXVI, art. 3.

7 Ivi, q. LXXVII, art. 5.

1

la volontà è diminuita, rispettivamente, dall' ignoranza e dalla passione; mentre negli altri la volontà è intera (« dicitur ex certa malitia vel industria peccare, quasi scienter malum eligens » : « tunc solum ex certa malitia aliquis peccat, quando ipsa voluntas ex seipsa movetur ad malum » 2. In conseguenza di che, «< qui ex ignorantia vel infirmitate peccat minorem poenam meretur: qui autem ex certa malitia peccat, non habet aliquam excusationem, unde ejus poena minuatur » 3.

Ed è questa la divisione e la gradazione principale de' peccati, che Dante ha seguita nel suo Inferno, preferendola a tutte le altre divisioni e gradazioni, che de' peccati danno i teologi. Il che s'accorda mirabilmente con quanto il poeta scrive della libertà del volere ne' canti XVI e XVIII del Purg., e con l'alto conto in cui mostra di tenerla, non solo ne' luoghi ora citati, ma anche in altri motti del poema, che qui non è il caso d'annoverare.

IV.

PECCATI " EX IGNORANTIA """

Nell' Antinferno o vestibolo sono puniti gl' ignavi o pusillanimi dico puniti, perchè pena è veramente la loro, condannati, come sono, a correr dietro ad un'insegna, e punti a sangue da mosconi e da vespe. Dante però dice, che questi tali, «< misericordia e giustizia gli sdegna». «Se li punisce così severamente,» scrive il Bartoli 5, «< non pare che li sdegni troppo ». A mio credere, questa di collocare i pusillanimi nè al tutto fuori, nè al tutto dentro dell'inferno; di dar loro una pena, pur affermando che la divina giustizia gli sdegna; di non assolverli e dir nondimeno che gli sdegna la misericordia; questa è una concessione che Dante fa al suo venerato maestro, Aristotile. Aristotile aveva detto, che «< pu

1 Summa, II, II, qu. X, art. 2.

2 Ivi, I, II, qu. LXXVIII, art. 3.

3 lvi, II, II, q. XIV, art. 3.

II p. Berthier vede punito nel vestibolo il peccato d'omissione. Ecco una svista non perdonabile ad un professore di teologia. Chi trascura recentemente ciò che deve fare può essere senza infamia, come pur sono gli abitatori del vestibolo? (Inf., c. III, v. 36). Or il peccato d'omissione si ha appunto « quando scienter derelinquit homo id quod facere debet ». S. Tomm., Summa, II, II, q. LXXIX, art. 4.

5 Op. cit., pag. 48.

sillanimus non est malus » : s. Tommaso, invece, che la pusillanimità è peccato veniale o mortale, secondo i casi; e che s'oppone alla magnanimità 2. Da questa discordanza di parere tra i due grandi maestri trasse partito Dante, sdegnoso di tutto ciò che è fiacco, a trattare in un modo speciale questa speciale categoria di peccatori, vissuti « senza infamia e senza lodo ». Sia pure un giudizio non assai teologico, come scrisse il Tommasèo 3 (Dante in fin de' conti scriveva un poema, non una somma teologica); ma non è certo un errore, come scrive il Bartoli. Errore sarebbe stato, se," come vorrebbe il Bartoli stesso, avesse fatto «< del Limbo l'Antinferno, e del primo cerchio il soggiorno de' vili » 5: poichè avrebbe risparmiato l'inferno vero e proprio ai non battezzati, a quelli cioè che mancano del più necessario requisito per salvarsi e vi avrebbe chiusi, invece, quelli, che, avendo la fede, infine non s'erano macchiati d'altra colpa, che d'aver ricusato, sia pure « pertinaciter », « in id tendere quod est suae potentiae commensuratum »> ; aver osato <«< sua virtute uti » 7. Ad ogni modo, quello che più importa, per il nostro assunto, si è, che la pusillanimità ha origine dall'ignoranza : « pusillanimus ignorat seipsum,» scrive Aristotile: «<appeteret enim bona, quibus dignus est, si se cognosceret » ; e s. Tommaso, che la pusillanimità «< considerata ex parte suae causae, quae ex parte intellectus, est ignorantia propriae conditionis » 9. I pusillanimi del vestibolo, adunque, formano tutta una categoria con gl'infedeli (i non battezzati dopo Cristo) e gl'idolatri (i non battezzati avanti Cristo, che « non adoràr debitamente Dio):

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L'infedeltà «< in intellectu est » 10; quindi è peccato ex ignorantia. Essa però va distinta in infedeltà puramente negativa, e in

1 Cit. da S. Tomm. Summa, II, II, qu. CXXXIII, art. 1.

2 Loc. cit., art. 2. È degno di nota, che qui s. Tommaso s'accordi, in certo modo, col dritto germanico, che puniva gl' ignavi con una delle pene più gravi: «ignavos et imbelles..... coeno ac palude; iniecta insuper crata mergunt ». Tacito, Germania, 12.

3 Nuovi studi su Dante, pag. 17. Del resto, anche molti teologi non annoverano tra i peccati la pusillanimità.

4 Loc. cit., pag. 49.

5 Loc. cit., pag. 47.

6 S. Tomm., Summa, III, q. LXVIII, art. 1; e q. LXIX, art. 1, 2, 4 e 7.

7 S. Tomm., op. cil., II, II, q. CXXXIII, art. 1.

8 Ethic, 4, c. 3 ad fin. to. 5, cit. da S. Tomm., Summa, II, II, q. CXXXIII, art. 2.

9 Loc. cit.

10 S. Tomm., Summa, II, II, q. X, art. 2.

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