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peccati di tristezza, senza riguardo alla maggiore o minor gravità dell' uno rispetto all' altro. Forse, come s' indusse a punire insieme e con l'identica pena l'avarizia e la prodigalità, senza tener conto che questa è minor peccato che quella 1, e solo considerando che son due vizii opposti alla medesima virtù, la liberalità 2; così per l'accidia, per l'ira e per l'invidia tenne conto soltanto che son tre vizii generati dalla stessa passione, la tristezza 3; e che tutti e tre s' oppongono alla stessa virtù, la carità 1.

Ma concludendo intorno al 2, 3, 4 e 5 cerchio dell' Inferno, diremo noi che vi sien puniti tutti i peccati d'incontinenza o ex passione, ovvero tutti i vizii capitali? No. Ho già detto, che ove altri teologi annoverano tra' vizii capitali la superbia; S. Tommaso, con s. Gregorio, la esclude, e pone invece l'inanis gloria, che è effetto della superbia 5. Or l' inanis gloria è soltanto peccato veniale. E poichè nessuno si danna per peccato veniale, è evidente che la vanagloria non poteva trovar luogo nell' inferno dantesco. Si opporrà certamente: la vanagloria è vizio capitale e non è peccato mortale? Al che risponde senza ambagi s. Tommaso: <«< non autem requiritur quod vitium capitale semper sit peccatum mortale, quia etiam ex veniali peccato potest mortale oriri, in quantum scilicet veniale disponit ad mortale » 8.

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E nemmeno possiamo dire che nel 2, 3, 4 e 5 cerchio sien. puniti i peccati d'incontinenza annoverati da Aristotile; poichè anche della classificazione aristotelica uno ne manca, lo sfrenato desiderio della vittoria e dell' onore. Il Castelli afferma ', che questo sfrenato desiderio della vittoria e dell' onore non è che la superbia

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1 S. Tomm., Summa, II, II, q. CXIX, art. 3.

2 Ivi, II, II, q. CXVIII, art. 3; e q. CXIX, art. 1.

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« Sicut accidia est tristitia de bono spirituali divino, ita invidia est tristitia de bono proximi ». S. Tomm., Summa, II, II, q. XXXVI, art. 4. « Illa tristitia, ex que oritur ira, ut plurimum, non est acediae vitium, sed passio tristitiae, quae consequitur ex injuria illata ». S. Tomm., Summa, II, II, q. CLVIII, art. 6.

4 S. Tomm., Summa, II, II, q. XXXV, in princ.; e q. CLVIII, art. 3.

5 Ivi, q. CLXII, art. 8.

6 Ivi, q. CXXXII, art. 3. E già s. Crisostomo (cit. da s. Tomm.) aveva scritto: « cum vitia caetera habeant locum in servis diaboli, inanis gloria etiam locum habet in servis Chriști al che s. Tomm. aggiunge: « in quibus non est peccatum mortale ».

7 « Nemo fit reprobus pro peccato veniali ». S. Tomm., Summa.

8 S. Tomm., Summa, II, II, q. CXXXII, art. 4.

Rassegaa emiliana, anno I, fasc. 7.

o le sue sottospecie. Con maggior precisione teologica si sarebbe detto, che il vizio di cui parla Aristotile, non è che la superbia o la vanagloria « quae immediate ab ipsa oritur ». Ma se Dante interpetrò questo sfrenato desiderio della vittoria e dell' onore per la superbia, non poteva registrarlo tra' peccati d'incontinenza puniti nell' inferno superiore; perchè la superbia è regina di tutti i vizii, è qualche cosa di più che i vizii capitali; è, quel che più importa, peccato ex malitia, in quanto s'oppone a Dio, «< non vult ejus regulae subijci »; se poi tale sfrenato desiderio della vittoria e dell'onore fu da Dante interpetrato per l' inanis gloria, non poteva punirlo nè tra i peccati d'incontinenza, nè tra quelli ex malitia, perchè l' inanis gloria è peccato veniale.

Diremo dunque che nel 2, 3, 4 e 5 cerchio si trovano puniti quelli tra i peccati ex passione, che son peccati mortali; cioè soltanto sei de' vizii capitali: in quanto al settimo, sia esso la vanagloria, sia la superbia, il settimo vizio capitale ne è escluso, perchè, teologicamente parlando, la superbia non è peccato d'incontinenza e la vanagloria non è peccato mortale.

VI.

CLASSE INTERMEDIA.

(Infedeltà propria o eresia).

Nel sesto cerchio son puniti « gli eresiarchi co' lor seguaci d'ogni setta». Il Todeschini credette che Dante assegnasse il sesto cerchio agli eretici, per « vaghezza di serbare nell' opera sua certe corrispondenze superficiali e quasi direi materiali » 2: insomma, avrebbe collocati nel primo cerchio del basso inferno gli eretici «< che mancarono di retta fede per propria malizia », perchè stessero in corrispondenza con « le anime perdute pel mancamento non malizioso della fede », che si trovano nel primo cerchio dell'inferno superiore ». Non nego che questa corrispondenza non possa essere stata nell'intenzione di Dante; come pure, collocando gli eretici alla porta del basso inferno, può forse Dante aver pen-t sato anche a quel di s. Matteo, ove l'eresia è detta porta dell' in

1 S. Tomm., Summa, II, II, q. CXXXII, art. 4.

* Todeschini, Scritti su Dante, I, 92, cit. dal Bartoli, op. cit. pag. 82, n. 1.

ferno. Ma ben altro e di ben altra importanza è il motivo principale che indusse Dante a collocar gli eretici tra gl'incontinenti e i maliziosi. «Haeresis et secta idem sunt, et utrumque pertinet ad opera carnis, non quidem quantum ad ipsum actum infidelitatis, respectu proximi objecti, sed ratione causae, quae est vel appetitus finis indebiti, secundum quod oritur ex superbia, vel cupiditate, ut dictum est; (in arg. 2.) vel etiam aliqua phantastica illusio, quae est principium errandi, ut etiam Philosophus dicit in 4 Metaph. (tex. 24 to. 3) Phantasia autem quodammodo ad carnem pertinet, in quantum actus ejus est cum organo corporali » 2. Però « nomen haeresis electionem importat » 3; e l'electio è atto della volontà; ciò che indurrebbe ad annoverar l'eresia tra i peccati ex malitia, tra quelli cioè che hanno la loro causa ex defectu voluntatis. Se non che, la volontà può determinarsi per cose di fede in due modi: o alcuno « Christo non vult assentire: Et hic habet quasi malam voluntatem circa ipsum finem: Et hoc pertinet ad speciem infidelitatis Paganorum et Iudeorum »; oppure « intendit quidem Christo assentire, sed deficit in eligendo ea, quibus Christo assentiat; quia non eligit ea, quae sunt vere a Christo tradita; sed ea, quae sibi propria mens suggerit » . Insomma, l'eresia ha del peccato ex passione e del peccato ex malitia; ma non è peccato ex passione, perchè « vitia habent speciem ex fine proximo »; e « finis proximus haeresis est adhaerere falsae sententiae propriae » 5, che è atto della volontà; non è peccato ex malitia, perchè aderisce ad una falsa dottrina, credendola vera; mentre ne' peccati ex malitia la volontà << scienter malum eligit », ed « ex seipsa movetur ad malum » : dunque l'eresia è qualche cosa di mezzo tra i peccati ex passione e quelli ex malitia. Per il che, giustamente, dal punto di vista teologico, Dante ha collocati gli eretici tra gl'incontinenti e i maliziosi.

1. Portae inferi non praevalebunt ». S. Mat. XVI, 18. Cfr. le osservazioni nell' Alighieri (vol. I, 225-231) del prof. Agresti, sul collocamento degli eretici nell' Inferno di Dante; e in Pagine Letterarie cit. (pag. 64) l'opinione del prof. Del Lungo; quantunque nè l'uno nè l'altro riescano ad una sodisfacente spiegazione di tale collocamento.

2 S. Tomm., Summa, II, II, q. XI, art. 1 in fin.

3 lvi, circa med.

4 Ivi, loc. cit.

Ivi, loc. cit. circa fin.

S. Tomm., Summa, II, II, q. X, art. 2.

7 Ivi, I, II, q. LXXVIII, art. 3.

Sono sottigliezze scolastiche, dirà forse qualcuno. Ma Dante era appunto uno scolastico, mi pare; e chi voglia interpetrarlo prescindendo dalla scolastica, riuscirà a tutt'altro, fuorchè a rendere il pensiero dantesco.

(Continua).

Popoli, giugno del 1893.

DR. LORENZO FILOMUSI GUELFI.

IL CANTO V. DELL' "INFERNO,, DI DANTE.

SAGGIO DI UN COMMENTO INEDITO ALLA DIVINA COMMEDIA.

1. Così discesi dal cerchio primaio

giù nel secondo, che men luogo cinghia
e tanto più dolor, che pugne a guaio.
2. Stavvi Minos orribilmente, e ringhia;
esamina le colpe ne l'entrata :

giudica e manda, secondo che avvinghia.

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1. Men luogo cinghia, E tanto più dolor, che pugne a guaio. Scema lo spazio, ma cresce il dolore; perchè questo cerchio più si stringe verso il punto, Al qual si traggon d'ogni parte i pesi, e men s'allontana da Lucifero, onde procede ogni lutto. La pena è così grande, che i peccatori metton guaiti, urli di dolore, somiglianti a latrato canino. Cf. Inf., XX X, 20: Forsennata latrò sì come cane; Tanto il dolor le fè la mente torta ».

2. Stavvi Minos orribilmente, e ringhia. Forse il poeta scrisse dapprima, come si legge nel codice Poggiali: «Minos orribile, che ringhia »; poi, perchè il fantasma del fiero Giudice si levasse dinanzi a noi in tutta la sua fierezza infernale, pose «orribilmente », che tanto prende del verso dantesco e dell'animo di chi l'ode. L'aggettivo dipingeva soltanto la faccia del dèmone; l'avverbio dipinge la faccia e l'atto. Ringhia. Da questa voce esce immagine viva di belva, come dal modo virgiliano Urnam movet» (Aen., VI, 431) quella dignitosa di giudice. Giudica e manda secondo ch'avvinghia. Il Blanc, rammentando forse l'oraziano.

Giornale Dantesco

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3. Dico, che quando l'anima mal nata
gli vien dinanzi, tutta si confessa;
e quel conoscitor de le peccata
4. vede qual luogo d'inferno è da essa:

cignesi con la coda tante volte,
quantunque gradi vuol che giù sia messa.
5. Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:
vanno a vicenda ciascuna al giudizio:
dicono, odono, e poi son giù volte.
6. O tu, che vieni al doloroso ospizio,
gridò Minos a me, quando mi vide,
lasciando l'atto di cotanto uffizio,

7. guarda com' entri, e di cui tu ti fide:
non t'inganni l'ampiezza de l'entrare.
E il duca mio a lui: Perchè pur gride?

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« Ut pictura poesis », raccorcia la coda di Minos, che volentieri immagina come leone omerico, in atto di sferzarsi i fianchi per animo generoso; ma le ragioni della pittura non son quelle appunto della poesia; e cosa, che non gradisce all'occhio, può gradire all'immaginativa. Altro è figurarsi, immaginando, un rapido avvinghiare e disvinghiare di coda serpentina; altro aver davanti agli occhi, immutabile, un simulacro somigliante a certe immagini di Mitra. (Cf. Montfaucon, Antiq. expliquée, I, 370; Graevius, VII, 371; Museo Pio-Clementino, II, 19). I nodi serpentini, del resto, meglio che il corso del Sole, sono atti a rappresentarci i groppi dell'anima rea, la virtù punitrice della coscienza.

3-5. Terzine di semplicità epica; ove l'immagine del Giudice infernale si fa più distinta e più viva, perchè le si pone di contro quella dell'anima giudicata. Tutta si confessa: apre tutta sè, i più segreti nascondigli del cuore, le più celate pieghe dell'intenzione e del pensiero. Nel Muspilli, canto popolare tedesco del IX secolo, è questa parola: « Ivi nessun uomo è sì malizioso, ch' ei possa celare alcuna delle azioni per modo, che dinanzi al re non venga manifesta ». Conoscitor de le peccata. Virgilio: « Crimina discit », sa le peccata; ma conoscitore dice di più, abbracciando la notizia e l'esperienza, il senno de' libri e quello della vita. Cignesi con la coda tante volte, Quantunque gradi, ecc. Cf. Inf., XXVII, 124. Il cignesi e l'attorse repugnano del tutto alla immaginazione del Blanc. Dicono, odono, e poi son giù vòlte. I due e della Volgata, rallentando il verso, scemano fierezza all' espressione: però scelgo, come ottima, la lezione di uno de' codici dell' Angelica (S. 2. 9). Son giù volte. Non vanno; ma una forza misteriosa, come di turbine, le assale e le solleva nel vano; sì che, abbandonate alla propria gravità, cadano, come il fulminato Arcangelo lor maestro e padre, giù verso il fondo, più o men presso il centro della ghiaccia, secondo che più o meno colpevoli. Cf. Inf., VI, 86; XIII, 97-98.

6. Lasciando l'atto di cotanto uffizio: interrompendo l'atto di uffizio tanto arduo e tanto terribile negli effetti suoi.

7. Non t'inganui l'ampiezza de l'entrare. Di questa ampiezza parlano i poeti antichi e l'Evangelo: Ovidio, Met., IV, 439; Virgilio, Aen., VI, 126-127; Matth., VII, 13. Perchè pur gride? Prima di Minos avea gridato Caronte.

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