Slike stranica
PDF
ePub

non perchè si muove il suo ciglio, ma perchè senza di lui non vi è vita, non vi è esistenza. E, tornando all'argomento, dirò come abbia maggior novità la frase per l'universo penetra, ecc. che non l'altra penetra e risplende, ecc. Che la gloria di Dio penetri in una parte più e meno altrove è un'idea comune, appunto perchè il volgo non potrà mai capire come possa penetrare anche nell' inferno, per esempio. Ho avuto occasione, studiando le idee del volgo per il mio libro sulla Logica, d'interrogare parecchi artigiani e contadini sul modo com' essi immaginavano che Dio fosse con la sua presenza anche nell' inferno; e qualcuno mi rispose: «< così come sta in chiesa, crocefisso »; qualche altro: «senza farsi vedere » ; e non mancò chi mi dicesse: « sotto forma di diavolo »! E costui era forse il più logico, poichè, avendo anche inteso che la presenza di Dio nell'inferno accresceva il tormento ai dannati, non poteva ciò figurarsi nella sua limitata mente in altro modo che immaginandosi Dio lì come un diavolo più inferocito degli altri nell'inforcare ed arrostire i peccatori. Nella mente del volgo, non penetra dunque affatto neppur la più lontana idea che la gloria di Dio possa penetrare per tutto l'universo; sulle cose maledette, per esempio sul serpe, esso non potrà mai credere che giunga questa gloria. Per la qual cosa, il farla penetrare più in una parte e meno altrove, sarebbe un seguire l'opinione del volgo, e, per conseguenza, non solo concetto non elevato, ma privo affatto di novità, specialmente poi ove si tenga conto dei tempi in cui Dante scriveva. Quanto invece è più alto e nuovo il concetto che penetri dappertutto? Nuovo, ripeto, per il pubblico, cui era diretta la sua poesia, e non per i dotti, i quali non avrebbero studiato certo. in essa la teologia, la gran scienza d'allora. E questa novità cresce ed è, signor Ricci, tutt'altro che semplice, quando si passa alla seconda idea, al risplende. Come, se penetra dappertutto, può risplendere più in una parte e meno altrove? Il pensiero è audace e sublime, e nello stesso tempo filosofico ed eminentemente artistico. Il contrasto fra le due idee, che sembrano escludersi ed invece si completano, è di quelle mirabili novità che solo Dante ha saputo fare: la mente si arresta un istante dubbiosa di quello che legge e pensa; chiama a raccolta tutta la sua scienza, chiama in aiuto la fede, si sforza, si tende, e nel lento, graduale rilasciamento di sè stessa trova il sublime 1. Ed intanto le si apre dinanzi una magica scena: l'oscurità si avvicenda con la luce, e la gloria di Dio si profonda e nasconde nell'universo, per uscirne qua e là più splendida e raggiante. La poesia s'intreccia con la fede, la filosofia con l'arte, e dall' insieme deriva tal bel

Si veda il capitolo: Del sublime e del comico del mio Fondamento dell' estetica.

lissimo pensiero, tal giocondo sentimento, quale non poteasi ritrovare più bello su la soglia del paradiso! Deh! non lo tocchiamo: non appanniamo questa, sia pur la più piccola, fra le innumerevoli gemme che irraggiano dalla divina mente dell' Alighieri!

E nelle relazioni fra il penetra ed il risplende troviamo anche quel rapporto di causa ad effetto, che desidera il Ricci. A parte il rapporto che si rinviene sempre, qualunque sia la lettura, con la comune ne troviamo un altro, e più forte, che non con quella proposta dal valoroso critico romagnolo. Studiando bene la terzina, si trova che il rapporto di causa ad effetto va ricercato principalmente fra il move e risplende, anzichè fra il penetra e risplende. E la ragione è chiara : l'idea di risplendere non può concepirsi senza quella di onnipotenza, contenuta nel tutto move; o, meglio, la ragione del risplendere si ha nel tutto move, mentre non si ha nel penetra, perocchè la gloria può penetrare e non risplendere: e lo dice Dante stesso affermando che risplende dove più e dove meno. Il penetrare, adunque, non è, come dice il Ricci, la causa del risplendere: fra questi due verbi, comunque si legga la terzina, non potrà perciò mai intercedere il rapporto di causa ad effetto. E che questo rapporto sia lontano, e leghi e signoreggi tutta la terzina, è bene, perchè serve a tenere attenta la mente e le rende facile l'apprensione dei vari pensieri, che si trovano così tutti collegati da un'idea unica, la ragione efficiente di ciò che si dice. Tuttavia, fra penetra e risplende un certo rapporto c'è, ma è un semplice rapporto di tempo e non di causa ad effetto: prima penetra e poi risplende. Ed allora è molto meglio staccare i due verbi con il sistema di punteggiatura comune, che unirli con quello del Ricci, perchè, staccandoli, si dà tempo alla mente di seguire la successione naturale dei fatti, che, venendo espressi con due verbi, hanno due fasi diverse. E qui mi si può subito obbiettare: ma il penetrare e il risplendere sono due cose simultanee, sicchè vanno unite. Ma io rispondo che allora anche il muovere è loro simultaneo, ed aggiungo, anzi, che la gloria stessa non penetra, ma è; e quindi, se si vuole parlare con rigore filosofico-teologico, tutta la terzina andrebbe rifatta, e si farebbe allora la scienza e non la poesia. Il poeta ha bisogno di avvivare con la fantasia le verità scientifiche, dando veste sensibile agli astrusi pensieri; e la gloria di Dio attraverso la poesia dantesca assume forma e splendore, ed a chi legge questa terzina pare di vederla scendere dall' alto come raggio di sole e tutto penetrare il nostro mondo e qua e là risplendere a seconda che non superfici scabre ed oscure, ma levigate e chiare incontri, sprazzando di sua luce purissima l'universo mondo. La mente deve poter staccare questi due fatti a fine di aver tempo a rappresentarseli; e nella poesia sovente si abbonda di aggettivi appunto per trattenere più a lungo l'attenzione sopra un'immagine bella, che fa bella essa poesia. Ma v'è di più: penetra e

risplende costituiscono quasi un'antitesi, e se non fosse stato per questo, si sarebbe potuto sopprimere addirittura il penetra; occorre per ciò dar tempo alla mente ad afferrare quest' antitesi, sulla quale si fonda tanta bellezza, come abbiam visto. L'immagine è come di una cosa che si nasconda per poi ricomparire; ricomparire diversa da quello di prima, tutta splendente. Ebbene: seguire questo fatto naturale, imitarlo in tutte le sue fasi, è il grande studio di Dante, il suo segreto, quel segreto che ci fa trovare nei suoi versi non solo pensiero e forma, ma le più sorprendenti finezze dell'arte.

Eppure un rapporto di causa ad effetto vi è fra le due proposizioni; vi è, ma non fra i verbi, sibbene fra i complementi per l'universo ed In una parte più e meno altrove. Non può risplendere in una parte più e meno altrove, se non penetri da per tutto, e per conseguenza per l'universo va associato a penetra e non a move. Il Ricci potrebbe tuttavia chiedermi: se universo è complemento di penetra, perchè Dante dice per? non avrebb'egli dovuto dir in? poichè sembra che questa gloria passi attraverso l'universo e vada a terminare non si sa dove. Al che rispondo anche accettando l'osservazione, poichè allora l'idea dantesca s'ingrandisce, e la gloria di Dio diventa tanto grande che penetra e trapassa l'universo e si spande nell' immensità dello spazio, nell'infinito. Ma hò ben altre ragioni ancora: penetra nell' universo avrebbe potuto indurre l'idea che venga di fuori, mentre per l'universo dice che viene di dentro, poichè è di Colui stesso che tutto move. E dice penetra come quella che passa per tutto, in tutte le direzioni, senza sforzo alcuno, tant'è la sua potenza! Se invece per l'universo dovesse servire di complemento a more, allora sì che Dante avrebbe dovuto dire nell' universo, poichè altrimenti il per indicando moto per luogo, si sarebbe inteso che Dio movesse tutto per l'universo, fuorchè l'universo stesso, cioè le sole cose situate sull'universo e trasferibili in

l'universo sarebbe qualche cosa di distinto da questo tutto mobile, e si avrebbe contraddizione nei termini stessi della proposizione, e contraddizione con l'intera dottrina dantesca conforme in tutto a quella del cattolicismo, il quale nulla suppone d'increato avanti l'atto creativo di Dio, ma tutto da lui fatto, — omnia per eum facta sunt, — e quindi tutto da lui mosso e le cose che sono nell'universo e l'universo stesso, se fossero separabili, anzi dico distinguibili. Si cadrebbe nel panteismo.

E se lasciamo ogn' altra considerazione, e ci atteniamo soltanto alle regole più elementari dello scrivere, troveremo che dopo l'inciso grandioso che tutto more, il quale fa da predicato al complemento di specificazione Colui, lo scrittore aveva bisogno di non restringere l'idea seguente, dicendo penetra e risplende in un luogo, ecc., ma di allargarla dicendo penetra per l'universo, sicchè al grandioso soggetto gloria, reso più sublime

da quel complemento di specificazione, si trovi un complemento adeguato per l'universo, di modo che l'intera proposizione tutto abbia corrispondente ed armonico, ed il soggetto con le sue dipendenze non sopraffaccia e schiacci l'intera proposizione. Ma si dirà che la seconda proposizione, coordinata ad essa, e risplende, ecc... viene a limitare quell'immagine grandiosa. Non è vero: rispondo subito; poichè ciò che limita non è il concetto contenuto nella principale, ma è il concetto contenuto in essa coordinata; ed in questa sua condizione non fa che estendere ancora quella grande immagine, aggiungendo all'idea di moto e penetrazione quella ancora di splendore. E cosi quella gloria si forma il più grande piedestallo che si possa immaginare, l'onnipotenza, l'onnipotenza ed il fulgore, e si entra con questa intonazione nel paradiso, dove è tutto giuoco di luce, dove le eterne margherite riceveranno in sè Dante

com' acqua recepe

raggio di luce, permanendo unita.

E concluderò invocando la conferma di Dante in questo stesso luogo, dove nella terzina seguente dice:

Nel ciel, che più della sua luce prende,

fui io, ecc.

Orbene: come potrebbe un cielo prendere di più della luce di Dio, se questi non la comunicasse a tutti egualmente, penetrando con la sua gloria in tutti allo stesso modo? È questa la dottrina di Dante, dottrina della Chiesa, la quale, giusta la parabola, fa gettare il seme tanto sul terreno fertile, che fra le spine; ma qui non germoglia, mentre lì cresce rigoglioso, non altrimenti della forma, la quale

non s' accorda

molte fiate all' intenzion dell'arte,
perch' a risponder la materia è sorda;

così da questo corso si diparte

talor la creatura, ch'ha podere

di piegar, così pinta, in altra parte.

G. G. GIZZI.

PAROLE PRONUNZIATE DAL VICEPRESIDENTE

DELLA

SOCIETÀ DANTESCA ITALIANA

IN FIRENZE,

inaugurandosi in Palazzo Vecchio il IV congresso della Dante Alighieri ». (12 di novembre 1893).

SIGNORI,

Il doppio onore che mi è fatto, di appartenere al Comitato fiorentino della Dante Alighieri fondata in Roma, ed essere vicepresidente della Società dantesca italiana fondata in Firenze, dà occasione alla benevolenza di colleghi miei nell' una e nell' altra società, le quali hanno comune la paternità augusta di Dante, di commettermi che alla sorella romana io porga il saluto amorevole e reverente della sorella fiorentina. Pronunziare questi nomi, Roma e Firenze, fra le pareti di questo palagio, che sorse palagio di popolo, casa di artigiani, i quali vantavano la loro Firenze siccome nobile figliuola di Roma, e questa nobiltà sola e il lavoro facevano essere la nobiltà cittadina; è cosa piena di memorie e di affetto ad ogni cuore italiano. Ma che la unione de due grandi nomi, Roma e Firenze, si faccia in tale casa sotto gli auspicii di Dante, del poeta che quel popolo, quelli artigiani dettero alla nazione e all'umanità, è, o signori, una festa (ne sian pur modeste perchè severe le forme e dominate da un alto pensiero), una festa solenne della patria italiana, nel cui santo nome e la Dante Alighieri e la Società dantesca si affermano.

Nate ambedue pochi anni or sono a breve distanza di tempo fra l'88 e l'89, mosse ciascuna, per vie differenti, verso obietto e fine diverso, esse hanno bensì identico ed uno il sentimento che le muove. La Dante Alighieri chiede al nome assuntosi, « significativo di quanto ha di più gagliardo e più puro l'intellettualità nostra », che « quel nome rafforzi, di là dalle frontiere dell'Italia costituita, il sentimento italiano in tutti quelli che parlano il linguaggio di Dante; il linguaggio, principio e mezzo di ogni azione morale (ho ripetuto le belle parole dell'illustre presidente, on. Bonghi,

[ocr errors]
« PrethodnaNastavi »