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Io, trattandosi del poeta teologo, trovo bello il pensiero del dr. Prompt che vede nel viaggio infernale una allegoria della contemplazione dei vizi e dei peccati degli uomini rispondente a meraviglia all'esame di coscienza che si fa prima della confessione. Pel poeta teologo non poteva esser dubbio che quell' esame religioso e contemplativo si può fare in parte col semplice aiuto della ragione umana e degli ammaestramenti della filosofia morale mentre poi ci sono delle trasgressioni che sfuggono alle meditazioni di chi non è, o non fu mai fra i fedeli, quali sarebbero quelle che toccano precisamente la fede cristiana: quindi la necessità di uno speciale soccorso divino per l'esame di queste ultime trasgressioni, necessità raffigurata col movimento del medesimo, mentre l'esame fatto col semplice aiuto della ragione umana e degli ammaestramenti della filosofia morale può convenientemente venire simboleggiato col movimento dell' altro. Resa questa giustizia al mio illustre contradditore, devo fargli osservare che le suesposte dottrine non furono a proposito da lui applicate nella interpretazione del viaggio infernale.

Secondo il Prompt, nell' inferno superiore i poeti sempre seguirono il movimento dell' altro; nella Malebolge invece i poeti vengono sottoposti costantemente alla legge del medesimo. Adunque, secondo il dr. Prompt, nell'inferno superiore si puniscono colpe il cui esame sempre e unicamente può essere fatto col semplice aiuto della ragione umana e degli ammaestramenti della filosofia morale: nella Malebolge, secondo il dr. Prompt, si puniscono unicamente delle trasgressioni che sfuggono alle meditazioni di chi non è o non fu mnai tra i fedeli, quali saranno, per esempio, quelle che toccano precisamente la fede cristiana.

Ora qui mi trovo nella incresciosa necessità di far osservare al signor Prompt che questa divisione assoluta nella qualità delle colpe in rapporto delle due parti superiore ed inferiore dell'inferno è in contrasto coi dati certissimi e di fatto del poema, perchè anche nella parte superiore dell'inferno si puniscono colpe ad esaminare le quali non basta la sola ragione, nè la filosofia morale, come sono i peccati di ERESIA; nella parte poi inferiore dell'inferno si puniscono anche colpe il di cui esame può essere fatto dietro il solo lume della ragione e della morale filosofia, come sono, per esempio, i seduttori, gli adulatori, i barattieri, i ladri, e simile lordura. Pertanto, se Dante ha voluto fare nel suo poema un' applicazione di questo dottrinale, io mi aspetto di vedere effettuati tutti e due i movimenti del medesimo e dell' altro tanto nell' inferno superiore quanto in Malebolge: e questa mia aspettazione, con buona pace del dr. Prompt, la trovo pienamente appagata. Il dr. Prompt vuole che i poeti nell' inferno superiore non abbiano mai seguito il movimento del medesimo: ma questo movimento. non è forse necessario per l'esame dei peccati di eresia che non possono appartenere se non a chi è o fu una volta fra i fedeli? Ebbene: il nostro poeta, filosofo non solo, ma anche teologo, giunto al limitare esterno del sesto cerchio, quello degli eresiarchi, contro il consueto, volta a destra, effettuando con questa voltata il movimento del medesimo, quantunque il conseguente girare fosse a sinistra. E questo ci insegna un' altra cosa, cioè che i movimenti del medesimo e dell' altro vengono dal poeta simboleggiati nell' Inferno dal voltare, e non dal girare, tanto che si ha il movimento del medesimo quando si volta a destra, quantunque percorrendo un arco si giri a sinistra, e si ha il movimento dell' altro quando si volta a sinistra, sia pure che il consecutivo girare su una curva abbia la direzione

di destra. Questa osservazione trova conferma anche là dove Dante deve farsi incontro alla sozza immagine di froda. Gerione simboleggia la frode non solo in quanto è peccato contro la naturale onestà; ma con un concetto complessivo raffigura insieme la frode contro Dio e la fede. Ed ecco perchè i poeti fanno una breve voltata a destra per poi riprendere la consueta direzione appena posto il piede in Malebolge.

E qui mi compiaccio di avvertire che il riflesso del signor Prompt sulla convenienza di simboleggiare, col voltarsi a destra, la necessità di un soccorso speciale divino allorquando trattasi di far l'esame sopra colpe riflettenti la fede e la professione cristiana, dà una ragione delle due voltate a destra fatte dai Poeti nell' Inferno, che altrimenti non si potrebbe spiegare colla sola e generale teoria per la quale nell' Inferno, sempre procedendosi verso colpe maggiori, pare non vi dovrebbe mai esser luogo a

voltate verso destra.

Non mi fermo poi sopra alcune critiche opposte dal dr. Prompt alla mia recensione perchè nulla decidono intorno alla divergenza tra me e lui nell' interpretare l'itinerario dei Poeti nell' Inferno superiore: onde, concludendo, se debbo riconoscere d'essermi male espresso col dire che il movimento dell' altro raffigura le cose mortali, mutabili, e QUINDI brutte, mendaci, ingiuste, mentre era mio pensiero di significare che questo movimento dell'altro simboleggia ANCHE le cose brutte, mendaci e ingiuste; protesto non essere stata menomamente mia intenzione di accusare di GRANDISSIMA SUPERBIA IL DR. PROMPT, di FAR STRAPAZZO del di lui scritto. La tavola rotonda a me non dispiace nè assai nè poco, ed ognuno che legga la mia recensione dovrà meravigliare come mai il dr. Prompt abbia potuto credere che io, invitandolo a girare altra volta intorno alla stessa, lo abbia rimandato ad esercizio da me creduto o designato come bestialissimo e dei più ridicoli.

Lodi, Marzo, 1893.

GIOVANNI AGNELLI

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Dalle osservazioni cortesi, pubblicate nel terzo quaderno del Giornale dantesco, prendo volentieri argomento ad avvalorare la lezione da me proposta : « piange d'amore » 1.

In questo piange, col pianger che vien dopo, Ferdinando Ronchetti sente un non so che di affettato e di sdolcinato. Ma io, pur messo in sospetto, d'affettazione e di sdolcinatura non ci sento nemmen l'odore! Se affettazione vale, come il vocabolo suona, ricercatezza, artifizio, ostentazione d'affetto o d'arte, se sdolcinatura vale dolcezza viziata o soverchia, non è da parlare dell'una o dell'altra cosa quando nel linguaggio si specchi rispondenza di pensiero agevole e chiara, che derivi spontanea dall'intimo delle cose e dalla legge dell' ordine. Mentre la squilla, nella sua languida eco, pare pianger la luce che fugge, l'uomo piange i suoi cari lontani, luce dell'anima: nulla di più vero, di più semplice e schietto. Dov'è qui l'artifizio o l'ostentazione? « Res ipsa medullam verbi, quam mens videt, intus habet ». Nè Dante, com' altri afferma, ama ripetizioni per vezzo; ma, nella sua fiera semplicità d'uomo antico, ripete una voce, ribadisce un'idea, rafferma un'immagine tutte le volte che la ragione del sentimento lo chieda.

Il Ronchetti non sa perchè io faccia «lo dì» soggetto d' intenerisce e non di volge; eppure questo perchè ben si rileva dalle mie parole. Non ho io detto che il desio, invece d'esser vòlto, volgesi o torna; ch'è occulta virtù d'amore, perfusa nell'onda che rabbuia, nell'aria che imbruna? Facendo «lo dì» soggetto di volge, il desio sarebbe generato, insieme con la tenerezza, dal pensiero del dì dell'addio; e per me la cosa non va così. Prima nel cuore de' naviganti, quando muore il giorno, nasce improvviso il mesto desiderio della terra lontana, del paese c'han lasciato, degli amici; poi l'immagine dell'addio vi genera una tenerezza nuova. Aggiungo che « volge il desìo » è un po' troppo lontano perchè Dante, amico sempre della giacitura del periodo più facile e piana, potesse credere che la mente del suo lettore subito corresse, come legge d'evidenza vuole, a « lo dì ».

Anche mi si fa rimprovero d'aver ristretto il pianto del peregrino ai primi giorni di viaggio. Or io domando: potevo fare altrimenti, se Dante pone novo? La differenza tra i naviganti e il peregrino, quanto più ci penso e più mi par bella e piena di verità. Chi va per terra a poco a poco, più o meno, si racconsola: ode e vede cose che lo dilettano, lo attrag

1 In margine al superbo esemplare dell' edizione di Foligno, posseduto dalla Corsiniana, è d'antica mano piange, sostituito a " punge; e« piange» legge il codice Urbinate della Vaticana, scritto da Matteo de' Contregi, volterrano.

gono a sè o lo distraggono da' suoi pensieri; fa conoscenze nuove, o ravviva le antiche. Ma chi va per mare, senza compagnia di persone amiche, sempre più avverte la solitudine del cuore, perchè nulla ode o vede, che possa confortare o disviare piacevolmente l'animo suo. Non è palese in questo, come in ogni tócco dantesco, che il poeta nostro fu gran conoscitore del cuore dell'uomo, miracolo di psicologo e di osservatore? Però, sapendo la tempra dello scrittore, penso che il pianto immaginato da lui sia pianto senza lagrime; chè l'uomo di rado piange con gli occhi, nè mai, o quasi mai, per dolce mestizia di ricordanze: spesso, quando il cuore più gli si stringe e rabbuia, sente inumidirsi gli occhi, salire un nodo alla gola, venir fuori qualche lucciolone; ma non dà nelle lagrime, come femminella o bambino percosso. Pianto, nel poema di Dante e nell'uso toscano, molte volte non è lagrima; e qui, rispondendo al pianto de la squilla, non so pensarlo che come pianto dell'anima.

Nella mia breve chiosa io diceva che il vecchio « punge » di necessità devesi riferire ad ora, quando non si voglia riferire a dì, ingarbugliando maledettamente il periodo. Pare che il Ronchetti non abbia badato a queste parole o non le reputi degne di essere raccolte; dacchè suppone appunto come ottimo scioglimento del nodo ciò ch'io chiamo garbuglio. Nè oggi, ripensandoci su, mi pento dell' appellativo poco benigno; ma piuttosto meraviglio che uno studioso di Dante possa attribuire al poeta, maestro sovrano di evidenza, periodo così avviluppato e buio! Lo dì, accettando la proposta del Ronchetti, diventerebbe un Giano bifronte: da una parte guarderebbe indietro, ammiccando, a intenerisce e a volge; dall'altra guarderebbe davanti sè e raccoglierebbe al seno anche il « punge d'amore ». Fuor di scherzo, io credo e crederò sempre che sì studiata collocazione di soggetto non sia punto conforme all'abito dell'arte dantesca. Di quest'abito non si dà pensiero chi scrive che, per una libertà pienamente ammessa dall' uso, peregrino può essere oggetto di punge e soggetto di ode ad un tempo. Può, non lo nego, per l'uso comune e volgare, ma sempre a scapito di quella evidenza, che Dante pone al disopra d'ogni grazia e d'ogni leggiadria di parola. La sintassi dantesca è uno stupore di semplicità e di forza; nè solo vince, per lampante unità, la sintassi degli altri poeti, ma vince spesso quella de' prosatori più schietti e più virili.

Son lieto che il mio gentile contradditore voglia riconoscere meco nel sospiro dei naviganti e del peregrino le malinconie dell' esule poeta. « Maraviglioso (dicevo dieci anni or sono) di trasparenza e di serenità profonda, com' aria dell'alpe, il magistero poetico di questi versi; ma io, più che altro, amo sentirvi il cuore del grande esule, che dalle rive dell'Adige o dal lito di Chiassi, al mugolare del vento fra' pini, sogna e sospira la giovinezza fuggita, i dolci amici e la patria lontana » 2. Ma perchè, nell'atto di riconoscere questa sincerità di elemento subiettivo, egli afferma che Dante, descrivendo, si compiace talvolta di cenni anche affatto estranei ai concetti che vuol rapppresentare? Certo, Dante, benchè grandissimo, non fu (e chi fu mai dei nati d' Eva?) da ogni lato e in ogni cosa perfetto; ma nessuno, vivaddio, può giustamente accusarlo di non aver tenuto con mano salda il fren dell'arte o di non aver saputo trar fuori dalle sue rime il troppo e il vano. Pur negli esempi allegati dal Ronchetti nulla è, proprio nulla, che non si stringa in nodo vitale al concetto di Dante. Come la comparazione dell'arzenà giovi a ritrarre visibilmente il tramenìo dei demoni arroncigliatori, lo disse già da maestro Onorato Occioni nelle sue note alle Osservazioni di Luigi Blanc 3. Or io dico che l'accenno a' tristi lai della rondine non è men sincero, nè meno opportuno;

1 In due codici ambrosiani, citati dallo Scarabelli, a ode si aggiunge egli o elli; giunta di amanuense colto o di studioso per amore di evidenza. Giovanni da Serravalle, per la stessa ragione, traduce: pungit se. 2 I fenomeni dell' aria nell' « Iliade e nella divina Commedia » discorso detto al Circolo filologico di Firenze il dì 9 dicembre 1883.

3 Cfr. la mia Nuova raccolta di scritti danteschi, pag. 175-176.

perchè fa pensare che, sotto la nuova spoglia, Filomela mena vita di espiazione, e i tristi lai sono il grido della coscienza, che si rinnova. Dante, in quell'ora, non sta forse per cominciare l'espiazione delle sue colpe? E la visione dell'aquila non si riferisce appunto al rinno vamento interiore di lui? L'accenno non è dunque frasca morta o fronzolo, ma carne viva del pensiero. Eppoi, sempre buono ripensarlo, l'indole della seconda canzone vuole che ogni nota allegra sia temperata d'un po' di melanconia, proprio a somiglianza del riso di Andronaca in Omero.

Foggia, agosto 1893.

VARIETÀ

G. FRANCIOSI

IL PRETESO SCACCHIERE DI DANTE.

La notizia d'uno scacchiere che avrebbe appartenuto a Dante è entrata nella letteratura dantesca da Giuseppe Pelli che l'ha presa dal Museo cospiano. Fu conosciutissima nel secolo XVII la collezione d'antichità che il marchese Ferdinando Cospi a Bologna possedeva e che poco tempo avanti la sua morte (1886) passò all'istituto bolognese. Nel 1677 il cremonese Lorenzo Legati, professore di lettere greche in Bologna, ha pubblicato una descrizione di questa collezione col titolo di Museo cospiano annesso a quello del famoso Ulisse Altrovandi e donato alla sua patria dall'illustrissimo signor Ferdinando Cospi, patrizio di Bologna e senatore (Bologna 1777). C'erano due altri cataloghi del Museo Cospi l'uno dell'anno 1667, l'altro del 1680. Il primo, la Breve descrizione del Museo Ferdinando Cospi fa menzione del nostro oggetto a pag, 17, no. 66: «Tavoletta d'avorio antica intagliata con varie figure di molto artifizio »; l'inventario secondo dice, a pag. 23: « Scacco di Dante e sua impresa. Il Legati ne parla nella sua opera a pag. 302, no. 4: « Scacchiera di Dante Alighieri, famosissimo poeta, il quale soleva giocando in esso respirare da' suoi lunghi studi. Nel di fuori vi è dipinta l'arma gentilizia dello stesso poeta, la quale contiene due zampe, come di Griffo incrociate, con una porzione d'ala per ciascheduna, e un gilio sopra di questo. La sostengono due leoni giacenti uno per parte. Sopra il cimiero, che è ornato di piume, v'è figurato, come si vede nella tavola che se ne porta, decrepito e in atto di camminare con le crocciole, ma con insieme quattro grandi ale al tergo, il Tempo

Quel Vecchio, che col Sol nacque ad un parto,

E che del Cielo misurando i moti

Par che à pena si mova, e pur qual dardo
Rapido fugge; 1

1 Ces. Porta, Delf. A. 3, c. 1, V. 500.

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