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Salvatore Romeo, sacerdote. La Madonna di Dante: studio critico. Catania, Nicolò Giannotta editore, 1893, in 16o, di pagg. 30.

Sono poche pagine, che non hanno la pretesa di dir cose nuove, e nelle quali non manca forse qualche lieve inesattezza; ma sono scritte con tal sentimento giovanile che le fa leggere tutte d'un fiato. Bella specialmente la intuizione estetica delio effetto che fanno, il primo accennare alla Vergine in quei versi del II canto d'Inferno: Donna è gentil nel ciel, che si compiange, ecc., e il suo ultimo rivelarsi, nell' Empireo, con quello sguardo che dalle altezze divine si abbassa un istante su l'implorante san Bernardo. Ne raccomandiamo in singolar modo la lettura a coloro che ancor covassero il dubbio, essere la Donna gentile della divina Commedia, o una semplice astrazione, o tutt'altra persona che Maria.

R.

Ambrogio Roviglio. La rinuncia di Celestino V: saggio storico critico. Verona-Padova, fratelli Drucker, librai editori, [Padova, tipografia dei f.lli Gallina], 1893, in 16o, di pagg. 54. In questo suo saggio l'autore intende a ribattere le conclusioni del padre Tosti in difesa di Bonifacio VIII, e mettere invece in sodo :

1o che Celestino V rinunziò al pontificato dietro gl' incentivi anche del cardinal Caetani; 2o ch'egli fu eletto pontefice per la interessata inframmettenza di re Carlo I di Napoli ; 3o che non per timore di scisma, ma di rivelazioni a suo danno, Bonifazio tenne pri gione fino alla morte il suo predecessore nella tiara.

Come ognuno vede, queste conclusioni importano anche ai dantisti come quelle che con. corrono esse pure a giustificare l'animosità di Dante verso Bonifazio. Aggiungiamo ch'esse ci sembrano anche sufficentemente comprovate, e presentate con garbo così da renderne gradita la lettura.

Solo per iscrupolo di coscienza vogliamo affacciare un dubbio. Non poteva il Caetani, giacchè con papa Celestino era già riescito a divenire dominus curiae et amicus regis [v. pag. 26], continuare a farla da padrone senza bisogno d'indurre l'animo dell' eremita di Morrone alla abdicazione? Prevediamo la risposta: ma una parola su ciò nell' opuscolo non avrebbe certo guastato.

Ci fa anche maraviglia leggere a pag. 8 che il conclave che seguì la morte di Nicolò IV fu tenuto dapprima a Roma nel palazzo sorto sull' Aventino... presso la chiesa di santa Maria maggiore, la quale è invece sull' Esquilino. Ma potrebbe anche trattarsi di semplice errore di stampa; e di questi errori, in verità, ne son corsi assai più che il nitore della edizione non lasci, al primo aspetto, supporre.

R.

Silvio Soaetta. Il Veltro. Camerino, tip. succ. Borgarelli, 1893, in 16o, di pagg. 23.

-

Con questo libriccino, dimesso nella veste tipografica e, per negligenza dello stampatore, infarcito di spropositi: dimesso nella forma per volontà dell'autore che dev' essere un bravo uomo dotto e modesto [miracolo raro oggi tra la invadente folla de' pappagalli inverecondi] il signor Silvio Scaetta spezza una lancia in favore del poeta-veltro dolente che un critico anonimo nell'Antologia abbia detto più male che bene dell'opera con cui il Della Torre volle rimettere a nuovo, discutere e avvalorare della sua poderosa dottrina la vecchia congettura del Missirini.

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Non desiderio di plauso, dichiara l'autore, non la pretesa superba di convincere di un tratto il lettore, gli han consigliato questo scritto: al quale promette di farne seguir presto un secondo con la illustrazione dei passi che nella Commedia e in tutte le opere minori di Dante posson concorrere a dimostrare la vera essenza del veltro. Qui son presi in esame, come a saggio di tutto il lavoro, i soli primi due canti del poema; e se le considerazioni che l'autore vi fa intorno non son tutte di molto peso, alcuna ve n' ha, certamente, acuta ed originale. Buono è, ad ogni modo, il suo metodo di ricercar nel poema negli altri scritti di Dante testimonianze atte a confortar la sua tesi: e ragionevolmente lo Scaetta riprende il critico della Nuova Antologia, il quale concludeva deplorando l'inutilità dello studio del conte Della Torre, perchè tutta la dotta fatica di lui non vedeva sostenuta con prove

documenti storici. A giudicar così, quante mai ragionevoli ipotesi non si dovrebber senz'altro condannare, e sopra quanti punti oscuri della vita di Dante e difficili passi del poema non dovremmo noi sorvolare senza esame e senza studio? Aspettando di fare un compiuto giudizio di questa prima parte dello scritto dello Scaetta a quando egli ci avrà dato intero il lavoro, ne affrettiamo intanto col desiderio il compimento, augurandoci di veder per esso sempre meglio illustrata la bella e, per noi, persuasiva ipotesi del poeta-veltro.

BOLLETTINO

G. L. PASSERINI.

Baooi Peléo.

« Uno Dante » nel catalogo pistojese del 1415. Pistoja, tipografia Nic

colai, 1893, in 16.° di pagg. 23.

Per nozze Niccolai-Chiti publica il Bacci, in nitida ed elegante edizione, una denunzia di beni fatta dal lanaiolo pistoiese Giovanni di Jacopo Nutini, la quale si chiude così: « Item per non perdere mie ragioni do per scritto uno dante chio prestai a ser paulo di Bartholomeo e tencamelo in casa a mie piacere et cosi celo aviamo tenuto anni xl. o più dollo per non perdere mie ragioni chio nollo posso riavere dalluj. » Nel catasto del 1424 il volume dantesco era stato certamente restituito al buon artiere pistoiese, perchè dal Nutini non se ne fa più menzione veruna. (204.

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Contributi alla biografia di Dante. (In Bollettino della Società dan

Dal testamento di Maria figliuola che fu di Manetto Donati, suocera di Dante, fatto il 17 di febraio 1315; dall'atto di divisione del patrimonio avito fra gli eredi di Dante e Francesco loro zio, del 1332; da una additio posta all' inventario de' beni di un figliuolo di Alfano di Tencino d'Acerbo, [5 di gennaio 1322] per ordine della tutrice Dada vedova di detto Alfano e da un priorista anonimo del secolo XVII veduto dal Gargani ed oggi smarrito, trascrive il Barbi alcune testimonianze di debiti contratti dai fratelli Dante e Francesco Alighieri negli anni dal 1297 al 1301. Publica inoltre alcuni atti inediti del 1332 dal protocollo di ser Salvi Dini,

riferentisi al debito di 480 fiorini con Jacopo di Lotto de' Corbizzi e Pannocchia Riccomanni, e cioè: 1.o Atto del 3 di novembre 1332 col quale Jacopo e Pietro Alighieri vendono quattro pezzi di terra nel popolo di san Miniato a Pagnolle a Giovanna vedova di Lotto de' Corbizzi, per 55 fiorini d'oro; 2.° Atto dello stesso giorno, col quale Francesco Alighieri si fa mallevadore che i nepoti Jacopo e Piero manterranno i patti della vendita; 3.o Atto del 3 di novembre 1332, col quale Jacobo di Lotto de' Corbizzi vende a sua madre Giovanna parte del suo credito di 5 fiorini d'oro ch'egli avea con Francesco Alighieri e gli eredi di Dante, al patto ch'ella possa esigerlo solo nel caso che i figliuoli di Dante non mantengano le condizioni stabilite per la vendita de' sopradetti quattro pezzi di terreno; 4.° Atto dello stesso giorno, col quale Jacopo di Lotto de' Corbizzi fa quitanza a Francesco, Jacopo e Pietro Alighieri di 130 fiorini d'oro per la parte che gli spetta nel debito contratto da Dante e dal suo fratello col detto Jacopo di Lotto de' Corbizzi e con Pannocchia de' Riccomanni. L'autore fa quindi seguire alcune brevi osservazioni sulla dimora di Dante a Forlì, riferendo, corrette sui manoscritti, le relative testimonianze e rilevando la poca attendibilità dell' opinione del Troya secondo la quale Dante sarebbe, sull'autorità di Flavio Biondo e dello storico secentista Paolo Bonoli, stato a Forlì, segretario di Scarpetta Ordelaffo, nel 1308. (205.

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Bassi Giuseppe.

Commento al verso di Dante « Lo bel pianeta che ad amar conforta » [Purg, I, 19]. Modena, tip. Moneti Alfonso, 1893, in 8°, di pagg. 4.

Tutti i commentatori hanno fin qui ritenuto che il bel pianeta che conforta ad amare sia Venere il Bassi ritiene che sia il sole, anche perchè, stando alla comune interpretazione, bisognerebbe convenire che Dante ha commesso un errore dandoci una falsa indicazione astronomica. [Cfr. la nota apposta da Filalete a questo verso in Dante Alighieri's Göttliche Comödie metrisch uebertragen von Philalethes.] (206.

Bertana Emilio.

Per l'interpretazione letterale del verso: « Chi per lungo silenzio parea fioco». Modena, tipi A. Namias e c., 1893, in 16o, di pagg. 11.

Prende la parola silenzio nel senso traslato di tenebra, e spiega: Mentre ch' io ruinava in basso loco, dinanzi agli occhi mi si fu offerto chi per lungo silenzio del sole, per essere, cioè, rimasto a lungo dove il sol tace, pareva fioco, cioè pallido, smunto, di sembiante spettrale. Questa chiosa è estratta dalla Biblioteca classica delle scuole italiane. Anno VI, no. 3.

Biagi Guido.

Cfr. ni. 4 e 232.

(207.

Bigazzi Pasquale Augusto. - Firenze e contorni: manuale bibliografico e biobibliografico delle principali opere e scritture sulla storia, i monumenti, le arti, le istituzioni, le famiglie, gli uomini illustri, ecc., della città e contorni. Firenze, tip. Ciardelli, 1893, in 8° gr., di pagg. [8] 360.

Sommario: I. Fonti bibliografiche. Opere laudatorie. Critica storica. Storie, cronache, diarii, narrazioni sincrone. Opere e monografie in sussidio alla storia. Racconti, romanzi, novelle, poemi, composizioni teatrali. II. Illustrazioni generali, storiche e artistiche; guide e viaggi. Piante e carte. Illustrazioni parziali, descrizioni a soggetto. Società diverse, banche, ecc. Storie, statuti; regolamenti. III. Contorni. IV. Illustrazioni delle famiglie. Raccolte biografiche. Biografie ed altre scritture storico-biografiche. V. Periodici e giornali pubblicati a Firenze. Cronologia della stampa periodica. Almanacchi, calendari, strenne. In fine, occorre

un' indice de' soggetti, ed uno degli autori: il libro è dedicato al marchese Torrigiani, senatore del regno e primo magistrato cittadino di Firenze. (208.

Boghen-Conigliani Emma. La divina Commedia, scene e figure: appunti critici, storici ed estetici, con lettera proemio del prof. Giovanni Fanti. Torino-Palermo, Carlo Clausen [Modena, tip. lit. Angelo Namias e c.], 1893, in 8°, di pagg. XVI-165.

Sommario: I. La divina Commedia. Dante, il suo secolo e l'opera sua. Prima idea della divina Commedia. Titolo e forma del poema. Le discese mitologiche all'Averno. Omero e Virgilio. Le descrizioni dei regni eterni nel medio evo: morali, politiche, satiriche. Se e quanto Dante vi abbia attinto. Ispirazione del poema. Epoca in cui fu composto. Epica, lirica, dramatica e didascalica nalla divina Commedia. Suddivisione di essa. Metro. Architettura e proporzione. Concetto morale dell'opera. Senso letterale. Senso allegorico-morale. Senso allegoricopolitico. Il veltro. Forma dei tre regni. La mitologia nella divina Çommedia. Virgilio e Beatrice. L'umano nel divino poema. Lingua e stile. Studio dell'anima. Pittura, scultura, armo nia, satira e comico nella divina Commedia. Difetti. II. Dante e Virgilio. Il libro XI dell'Odissea e il VI dell' Eneide. Peccati e pene. Copia e imitazione. Caronte. Cerbero. Minosse. Pier della Vigna e Polidoro. Le predizioni ne' due poemi. III. L' « Inferno. » Posizione e forma. Suddivisione: Antinferno, inferno e città di Dite. Le acque infernali. Riassunto del viaggio traverso l'inferno. I nove cerchi. Relazione fra i peccati e le pene. Lucifero. Tempo impiegato nel viaggio. L'invidia e la superbia nell' inferno. Caratteri della prima cantica. IV. Episodi della prima cantica. Francesca da Rimini. Farinata degli Uberti e Cavalcante Cavalcanti. Pier della Vigna. Capanèo. Brunetto Latini. Bertran dal Bornio. Maestro Adamo. Ugolino della Gherardesca. V. Il « Purgatorio ». Posizione e forma. Suddivisione: Antipurgatorio, paradiso terrestre. Riassunto del viaggio traverso il purgatorio. Gli undici scaglioni del purgatorio. Relazione fra i peccati e le penitenze. La divina foresta. Matelda. Apparizione di Beatrice. Lete e Eunoè. Caratteri della seconda cantica. VI. Episodi della seconda cantica. Casella. Manfredi. Belacqua. Buonconte da Montefeltro. Pia de' Tolomei. Sordello. Sapia de' Salvani. Forese Donati. Matelda. Beatrice. VII. Il « Paradiso. » Posizione e forma. Suddivisione. I cori angelici. Dante e la teologia. I eicli, simbolo delle scienze. Posizione apparente e posizione reale delle anime beate. Riassunto del viaggio traverso il paradiso. I nove cieli. Trionfo di Cristo e di Maria. La gloria dell'empireo. Caratteri della terza cantica. VIII. Episodi della terza cantica. Piccarda Donati. Giustiniano. Romeo. San Francesco. Cacciaguida. Predizione dell'esilio. La Vergine. IX. La divina Commedia nella storia letteraria italiana. Popolarità della divina Commedia nel secolo XIII. I più antichi commentatori. Il poema dantesco nel 1400, nel 1500, nel 1600. Dante e gli arcadi. Saverio Bettinelli. Gaspare Gozzi. Risorgimento degli studi danteschi. Il Monti e il Foscolo. Commenti grammaticali e rettorici, commenti storici, commenti allegorici, commenti estetici. Precede una lettera del prof. Giovanni Fanti ove è lodata l'opera della signora Boghen e ricordato Tommaso Zauli Sajani, autore di un libriccino su Dante vaticinatore, e spositore, in altri tempi, vivace e intelligente delle terzine dantesche nella scuola di eloquenza a Forlì. (209.

Brusa Carlo. Due parole ancora sul verso di Dante « Ch'ei fanno ciò per li lessi dolenti. Brescia, stab. tip. lit. F. Apollonio, 1893, in 16°, di pagg. 15.

Nel 1884, in due tornate dell'Ateneo di Brescia, Carlo Negroni e Timoleone Cozzi si occuparono della lezione da seguirsi nel verso 135 del XXI d'Inferno. Secondo il Negroni la parola lessi dee spiegarsi col lessus delle tavole romane che volea dire una compagnia di gente solo in apparenza addolorata, talchè Vergilio, chiamando lessi dolenti i dannati, avrebbe inteso dire che costoro non pur mostravansi addolorati come i piagnoni dei greci e dei romani,

ma eran davvero dolenti pel bruciore della bollente pece. Il Cozzi sostiene la voce lassi ed oppone al Negroni che lasso non vale dolente, ma meschino, misero, infelice, ed è, quasi, un pietoso intercalare di Dante. Secondo il Brusa è buona lezione lessi, non nel senso adottato da Carlo Negroni, ma come è e fu comunemente intesa, cioè per allessati. Recens. favorevole, espositiva, nel Fanfulla della domenica, Anno XV, no. 41.

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C. D. C.

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Cfr. no. 221.

-

(210.

Note dantesche. (In Fanfulla della domenica. Anno XV, no. 34). Dà questa spiegazione dei versi 39 e 40 del XVI canto di Purgatorio: Io non conosco Gherardo per altro soprannome che quello di Gherardo il buono: ma, se io dovessi dargliene un altro, lo chiamerei gaio (cortese, gentile) da sua figlia Gaia; e soggiunge che Dante scherza qui di parole considerando il nome di Gaia una volta come nome proprio, un'altra come aggettivo, ciò che, del resto, non dee maravigliarci perchè l'Alighieri trovò ragione di lodar la sua donna dal nome che essa portava e fe' dire a Sapìa Savia non fui avvenga che Sapia Fossi chiamata. (211

Campi Giuseppe. Cfr. no. 217.

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Cenni Maria. I due Guidi: studio critico letterario. Aquila, tip. sociale di A. Elisèo, 1893, in 16.o, di pagg. 45.

Guido Guinizelli e Guido Cavalcanti poser le basi di quella dottrina dell'amore spirituale che con Dante doveva assorgere ad altezze sublimi, e informare e muovere tutto il mondo dantesco. Era un amore concepito fuori della natura e della vita reale; schietta espressione dei tempi nei quali lo spirito cercava ancora dominare la materia, elevarsi gigante sopra di essa, plasmarla a suo modo, rifletterla in sè, come la pietra margarita che riflette i raggi del sole. Anche paraltro a traverso alle astratte idealità abbiam qualche rivo di poesia attinto alla vita e alla propria coscienza nell'opera di questi due Guidi, le figure dei quali emergono nel duecento. L'uno, il bolognese. benchè pensoso a modo di scienziato e filosofo, gode nondimeno tramazzare e vivificare l'ideale della mente colla realtà del sentimento: l'altro, il to scano, più singolare del Guinizelli, dimostra quì accentuati e distinti gli elementi ideali e reali, e sia che astragga dal mondo sensibile e nell'intelligibile cerchi alimento alla sua tendenza moralizzatrice o che riposi l'anima stanca nell' idillio delle sue ballate, par sempre che egli ami l'arte come refugio di tutto sè stesso, come plaga serena e sicura in cui si quieti la lotta della sua vita contrastata e fervente. L'un Guido preludia all'altro, e l'altro toglie la gloria al primo: entrambi giungono a noi nella simpatica luce che li unisce nella fama e nel nome additati dall'alta voce di colui Che l'uno e l'altro caccerà di nido. (212

Clédat Leon La poésie lyrique et satirique en France au moyen âge. (Recens. in Revue des deux mondes. Anno LXIII, terza serie, vol. 121, 1 di nov. 1893).

Il libro del Clédat colma una lacuna nella storia letteraria di Francia, ed è lavoro degno del sapiente bibliografo di Rutebeuf. (213

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