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Dante, Omero e Virgilio. (Recensione firmata G. S., nella Rassegna Bibliografica della letteratura italiana. Anno I, no. 6).

Non si può a menɔ di ammirare la pazienza grande che deve essere costato al letterato siciliano questo suo lavoro (edito a Foggia da Bucci e Fariello, 1892) chè non è agevole distribuire bene la copiosa materia e imbroglia non poco quella cura di distinguere e ravvici nare secondo le intime affinità o disuguaglianze. I calcoli proporzionali che l'autore fa delle comparazioni rispetto alla mole dei quattro poemi, sono preziosi: e senza dubbio saranno cari agli studiosi i diligenti prospetti che tutte le ragguagliano, ond' egli ha arricchito l'uno e l'altro volume della sua opera. Ma non poco sarebbe a ridire sulla classificazione: nè parrà sempre giusto il giudizio colà dove il commentatore critica e censura, nè sempre corretta la forma in cui egli significa le sue osservazioni. L'opera ponderosa del De Grazia difetta di metodo e di critica: e il tenue contributo utile che essa può recare agli studi non è adeguato all'immensa fatica che è costata all'autore e alla cautela che dovrebbe adoperare lo studioso che volesse servirsi di quei risultamenti.

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Frizzi Ida.

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Gli ipocriti nella divina Commedia. (In Scritti vari di Ida Frizzi. Cremona, 1893, in 8.o)

Esposto il canto XXIII dell'Inferno dantesco afferma che se possiamo fra colpevoli trovar degli eroi: e sé Dante perdona, in mezzo a' lussuriosi, alla Francesca riminese, e scolpisce fra li eretici fiera orgogliosa ardente d'amor di patria la figura di Farinata, tra gli ignavi e gli ipocriti, colà ove l'ozio infiacchì l'animo e lo rendè inerte, e dove uno studio accurato, continuo di celare il proprio pensiere spense ogni grandezza ed ogni nobiltà, ogni gentilezza si tace ed è spento ogni ardore. Ecco perchè Dante ha un fiero disprezzo per gli sciagurati che mai non fur vivi e per gli ipocriti, ch'ei personifica nella figura del frate col quale si apre e si chiude il bellissimo canto. (215.

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Ghivizzani Gaetano. — Francesca da Rimini: prelezione alla interpretazione del canto V dell' « Inferno» di Dante Alighieri. Melfi, stab. tip. Grieco, Ercolani, Liccione, 1893, in 8°, di pagg. 49.

Il canto V non è che il canto di Francesca e di Paolo: essi soli lo occupano tutto, e tutte le altre cose, e la descrizione del luogo dove molto pianto percuote, e la bufera infernale che mai non resta e gli spirti menati nella sua rapina, sono come il fondo di un quadro in cui appunto si debba rappresentare l'azione o la passione di una o più grandi figure. Esaminar le bellezze di questo quadro e porle in evidenza è lo scopo dell'autore del presente scritto. (216.

Gioia Carmine. Cfr. no. 228.

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Dante-Literatur. (In Literaturblatt für Germanische und Ro

manische Philologie. 1893, ni. 5 e 7).

Vi si parla delle edizioni della divina Commedia del Poletto (Tournai, Desclée, Lefebvre e c., 1892) di Scartazzini (Milano, Hoepli, 1893) (Bollett. ni. 168 e 193), del Campi (Torino. Un. tip. edit., 1890) del Witte (Berlino, 1892), (Bollett. no. 3), e della traduzione dell' Inferno di Dante fatta dal Bassermann, (Heidelberg, C. Winters, 1892). Quanto alla edizione del Poletto, osserva il Kraus che sarebbe stato bene avere corredato il libro d'un indice delle materie e dei nomi; ma trova degno di lode il lavoro. L'edizione dello Scartazzini è pure molto raccomandabile, specialmente pel metodo scelto dal commentatore, di porre, cioè, ai singoli canti, un breve sunto della lor contenenza, e per la brevità dei commentari ai punti più discussi [la selva, le tre fiere, ecc.] dacchè il libro è specialmente fatto per giovinetti. La stampa di questo volume è tale da fare onore alla tipografia del Landi di Firenze. Nell'edizione del Campi è notevole il non ritrovarvi alcuna menzione del commento di Scartazzini e di quello di Filalete. Per il primo si può spiegare facilmente, ove si pensi che il lavoro non venne a luce che nel 1872; ma quanto al secondo bisogna necessariamente supporre che la letteratura tedesca intorno a Dante, fosse sconosciuta affatto all' autore. Il Campi non mostra molto acume nella scelta di certe lezioni, come, ad esempio, quella del verso 59 al V d'Inferno, Che sugger dette a Nino e fu sua sposa e il suo commentario, piuttosto che lavoro originale, potrebbe reputarsi, più ragionevolmente, una diligente compilazione fatta su vecchi e recenti commentari italiani. Anche a questa edizione del Campi manca l'indice: ma l'opera riceve speciale importanza dalle tavole artistiche che le fanno corredo. Bella, tipograficamente, è l'edizione wittiana; ma è peccato le manchino gli argomenti e, al solito, l'indice. È dubbio se possa tenersi accanto all' altra dello Scartazzini, che fra i molti pregi ha pur quello di costare un marco e mezzo di meno. Il Bassermann, venuto dopo il Bartsch e il Bertrand, è il terzo traduttore di Dante che il principato di Baden ci dà. Ci voleva, a dir vero, un certo coraggio nel tentare un' altra traduzione metrica di Dante, dopo quella del Gildemeister, che, per primo, osò di trasportare i ternari del sommo poeta in ternari tedeschi: tanto più che il Bassermann confessa di avere usato maggiore libertà riguardo alle rime piane e alle tron. che, e di avere adoperato anche delle rime così dette impure. Contuttociò, la versione del Bas. sermann è buona e si legge volontieri anche dopo quella del Gildemeister; il quale peraltro rimane sempre insuperato come traduttore in terza rima. Traducendo liberamente, non si capisce perchè il Bassermann abbia preferito di voltare alla lettera frasi o parole sconce (per es. il verso Rotto dal mento infin dove si trulla) che si potevan rendere più onestamente: e se egli merita lode per le brevi note con le quali ha cercato di illustrare il testo, non par così com mendabile nell'accettare certe antiquate interpretazioni delle tre donne benedette, di Beatrice e del veltro.

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(217.

Luzzato Leone. Pro e contro Firenze: saggio storico sulla polemica della lingua. Verona-Padova, frat. Drucker librai-editori, (Padova, tip. frat. Gallina), 1893, in 16o di pagg. 113. Ragiona della questione della lingua, rifacendone, da Dante ai giorni nostri, la storia, che divide in quattro periodi. Nel primo, il quale può dirsi embrionale, la lingua toscana non aveva ancora fatto valere completamente i suoi diritti e dovea lottare contro il pregiudizio che non riconosceva altra lingua letteraria se non il latino e il non latino chiamava vulgare. È il periodo delle origini in cui i toscani, meglio che in teoria, fanno valere coi fatti la pre

minenza della lor lingua. E agli stessi toscani fa velo agli occhi il pregiudizio classico, e, se si eccettui Dante, che anche qui giganteggia, non troviamo altro che giudizi staccati e non si afferma in nessuna guisa la teorica della lingua. Nel secondo periodo il primato toscano si afferma sistematicamente col Bembo, s'incominciano a far grammatiche della nuova lingua letteraria, si impegnano le più aride discussioni sul nome da darsi al novello idioma basandosi sull'autorità del trecento e di Dante. Nel terzo, tiene il campo la Crusca, contro la quale avvien la reazione che ha per punto culminante e più notevole quello determinato dal moto filosofico e liberale del secolo scorso. Nel quarto, quello de' nostri giorni che si intende cominciato dopo cessata la lunga polemica originata dalla Proposta, abbandonate le pe danterie, il pregiudizio municipale e le infeconde rabbie letterarie, si cominciò a giudicare con maggior equità e larghezza di criteri e con intenti più scientifici. Dall'esame della controversia l'autore crede poter concludere che anche prima di Dante vi fosse in ogni città d'Italia qualche divario tra il parlar plebeo e il parlar delle persone colte, e che gli scrittori nobilitassero il vulgare: ma non che da fenomeni staccati di tal genere potesse uscire una lingua letteraria. Una lingua è qualche cosa di ben diverso da queste rattoppature di un dialetto: essa è un complesso organico: e quando si voglia riflettere alla struttura dell' idioma italiano, si dovrà sempre convenire che esso è uguale a quello di Firenze, e che da Firenze uscì. Ciò, quanto alla tesi storica: in quanto alla pratica è da ripetere col Bonghi: la dottrina del Manzoni ha questo supremo suggello dell'esser vera, che l'accetta o è forzato via via ad accettarla coi fatti anche chi la rinnega a parole e in teoria. Di questo libro è una breve recensione, presso che sfavorevole, nella Biblioteca delle scuole classiche italiane, (anno V, no. 3) ove, tra altro, si rimprovera all'autore di non aver curato un lavoro del Crivellotti, pubblicato nella Cronaca del liceo di Sassari fino dal 1880. (218

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Mariotti Candido. Il Laterano e l'ordine francescano: studio. Roma, tip. Artigianelli di s. Giuseppe, 1893, in 8.o di pagg. 258, con tav.

Sommario: 1. Roma e il Laterano. 2. Stato della società cristiana in sul principio del secolo decimoterzo. 3. Innocenzo III in un sogno misterioso vede s. Francesco sostenere il Laterano cadente. 4. Il quarto concilio ecumenico lateranense e l'approvazione dell'ordine francescano fatta a voce. S. Onorio III conferma con bolla la regola dei due patriarchi in Laterano, e loro presenza in Roma insieme a s. Angelo carmelitano. 6. San Francesco una a' suoi figli sostenne di fatto il Laterano, ossia la chiesa di Dio. 7. Nicolò IV francescano, ed i musicisti francescani in Laterano. 8. Sisto IV francescano, ed i suoi ristauri ed abbellimenti in Laterano. 9. Sisto V francescano, ed i suoi grandiosi lavori in Laterano. to. San Pio V domenicano, pone i francescani penitenzieri in Laterano. 11. La nuova absida, il mo numento ad Innocenzo III in Laterano fatti erigere da Leone XIII e l'ordine francescano. 12. Il Laterano ed il vicino collegio di sant'Antonio francescano. (219

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Mazzoleni Achille. La Sicilia nella divina Commedia. Acireale, tipografia Donzuso, 1893, in 8o, di pagg. 27.

Notata l'importanza della Sicilia nel divino poema, l'autore tocca degli appellativi con cui essa vi è caratterizzata, e divide i ricordi che di essa vi si incontrano in mitici, storici, letterari e geografici scientifici, che poi passa ordinamente in rassegna, illustrandoli con gli ultimi risultati della critica dantesca. Qua e là lungo lo studio coglie l'occasione di rilevare qualche svista del Vigo (Dante e la Sicilia) e del Castorina (Catania e Dante Alighieri), e ne combatte l'opinione che Dante abbia navigato per la Sicilia e vi sia sbarcato. Da ultimo riconferma che il golfo che riceve da Euro maggior briga (Par., VIII, 69), sia il sinus Ca tanensis o golfo di Catania, contro l'opinione del Del Noce (Due studi danteschi, Firenze,

1892), il quale vuol qui vedere l'Jonius sinus di Vergilio (Georg, II, 105-108), cioè il mare che da Creta si estende sino all' Italia,

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Moore Edward, Dante's Obligations to the De Officiis in Regard to the Division and Order of Sins in the Inferno (In Twelfth annual Report of the Dante Society, Cambridge, Mass. Maggio 1893).

Dall'esame del libro di Arthur John Butler 'su l'Inferno dantesco (The Hell of Dante Alighieri with Translation and notes. London, 1892), il Moore prende occasione per dire delle relazioni che sono, circa la divisione e l'ordinamento dei peccati, fra il libro degli Offici di Cicerone e la prima cantica del poema sacro. Non dobbiamo cercar nell'Inferno l' influenza delle dottrine aristoteliche così persuadente come nelle altre parti del poema: ed è notevole, come osserva anche il Butler, che nell' Inferno si riscontrano più tracce dell'Etica laddove nel Purgatorio e nel Paradiso abbondano quelle del De anima e della Metafisica. Il punto più importante è ciò che riguarda i due terzetti 79-84 del canto XI dell'Inferno: Non ti rimembra di quelle parole Colle quai la tua Etica pertratta Le tre disposizion che il Ciel non vuole: Incontinenza, malizia e la matta Bestialitade? e come incontinenza Men Dio offende e men biasimo accatta?, i quali han sempre fatta sorgere gran differenza di opinioni e han dato origine a qualcuna delle più fantastiche ed irragionevoli interpretazioni circa il piano generale dell' Inferno di Dante. Il Moore differisce completamente dal Butler intorno alla intelligenza di questo punto fondamentale, accordandosi invece col Witte. Spiegate quindi le parole di Vergilio (XI, 22-30) e la disposizione dei peccati nell' Inferno, asserisce che la divisione capitale delle colpe di violenza e di frode deriva direttamente e quasi verbatim da quel passo degli Offici (I, 13) ove si legge: Cum autem duobus modis, id est, aut vi, aut fraude, fiat injuria; (fraus quasi vulpeculae, vis leonis videtur) utrumque homine alienissimum, sed fraus odio digna majore. È da osservare che Vergilio, alla domanda di Dante perchè quei della palude pingue. . . . . non dentro da la città roggia Son ei puniti, se Dio gli ha in ira, (XI, 70, 73-74), risponde (ivi, 79-80) ricordando all' Alighieri l'Etica per la quale si sa che l'incontinenza è degna di minor pena della malizia e della matta bestialità. Questa citazione di Aristotele, alla quale Dante dà luogo con la sua domanda, dee tenersi fatta solo per dar valore e giustificazione della minor pena inflitta agli incontinenti. L'opinione del Butler, che tiene i tiranni del settimo cerchio e gli eretici del sesto rappresentanti della matta bestialità, non è accettabile: dacchè, pensando in tal modo, si verrebbe ad invertire la classificazione aristotelica e si darebbe nell' assurdo, ponendo la matta bestialità fra l'incontinenza e la malizia. (221

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Moschetti A. Chiosa dantesca. (In Biblioteca delle scuole classiche italiane. Anno V, no. 3).

Si riferisce ai versi 115 a 117 del XII di Paradiso, dei quali ha recentemente data una nuova interpretazione il Filomusi-Guelfi, che non garba all'autore. (Cfr. no. 104 di questo bollettino). Egli propone di intendere: la famiglia di san Francesco mosse prima dritti i suoi piedi, dietro a lui; ora invece li muove alla rovescia, cacciando il piede dinanzi verso quello di dietro, invece che, come suolsi, quello di dietro verso quello dinanzi. (222

Norton Charles E.

Parole dette nella riunione della Società dantesca americana di

Cambridge del maggio 1893. (In Twefth annual Report of the Dante Society, Cambridge, Mass., Maggio, 1893).

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Ricorda Longfellow, Lowell e il dr. Parsons, tre poeti che dedicarono la loro vita a Dante, e ne diffusero la conoscenza in America. Il Parsons negli ultimi anni della vita publicò la traduzione dell' Inferno: ma ci lasciò incompiuta quella del Purgatorio e appena avviata quella del Paradiso. Nonostante assai lontana dall' originale, questa sua versione merita lode e assicura al Parsons lunga ed onorata nominanza,

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Posoooo C. U. La psicologia nella divina Commedia; studio di L. Mestica. (Recen sione in La Biblioteca delle scuole italiane. Anno V, no. 20).

Dopo una breve introduzione intorno a ciò che fu fatto, da Jacopo di Dante ad Augusto Conti, intorno all' interpretazione dell' allegoria morale e della filosofia dell' Alighieri, il Mestica si fa ad esaminare le dottrine dantesche intorno all'anima umana nella sua prima origine, nella sua natura, nelle sue potenze e nell'ultima destinazione. Egli prende le mosse dal XXV di Purgatorio, dove, per mezzo di Stazio, l'altissimo poeta esprime la sua teoria della generazione e della infusione dell'anima nel feto dentro alle viscere materne: teoria fondamentalmente scientifica non del tutto rinnegata dalla fisiologia moderna. Tocca delle tre qualità dell' anima: la vegetale, l'animale, e la razionale: e seguita, quindi, a notare quali son le virtù assolute dell' anima, che rimangono in essa anche morto il corpo (memoria, intelligenza, volontà), mentre altre, proprio a cagione della morte, rimangono tuttavia mute e inoperose, conservate dall' anima solo potenzialmente. E questa parte è resa semplice e piana dal Mestica che ogni argomentazione sua vuol sussidiata dai versi del poeta. Quanto all' intelletto attivo e passivo di Aristotele a cui lo Scartazzini appose una lunga nota nel commento lipsiense il Mestica, più esattamente, osserva che Aristotele distingue l'intelletto in passivo, agente e possibile e quindi ce ne dà lucidamente la spiegazione relativa. Dopo ciò, esaminata la dottrina dell' operare, ponendo a riscontro delle sentenze di Dante sentenze di san Tommaso e ricostituendo la teorica dell' amore (Purg., XVII, ecc.), conclude la dotta monografia dichiarando come per Dante l'anima, dotata di intelletto e volontà, sia immortale o sia eterna al pari della materia prima, che è Dio, da cui venne immediatamente creata, quand'invece gli altri esseri corporei, perchè creati dalle cause seconde, sono corruttibili. Sarebbe stato desiderabile che il Mestica dichiarasse meglio le teorie dantesche sull'istinto, sull' influsso delle stelle, sulla prescienza di Dio, e che, a proposito dell' anima unita al corpo, recasse i versi danteschi nell' Inferno, VI, 106-108, nel Paradiso, XIV, 17-18, 43-48, ecc. (224

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Report (Twelfth annual) of the Dante Society. Cambridge, Mass., John Wilson and Son, University Press, 1893, in 8.o, di pagg. 39.

Contiene: I. Carpenter G. C. Annual Report. (Dà il sommario del presente fascicolo, ringrazia gli amici, specialmente italiani, della Società dantesca di Cambridge, e parla dei diritti de' membri di quell' istituto. Alla breve relazione fa precedere alcune parole del Norton in commemorazione dei soci defunti. [Bollett., no. 223]) II. Dr. Edward Moore. Dante's Obli

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