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La terza causa di peccato è, secondo S. Tommaso, il defectus voluntatis; e i peccati, che hanno in ciò la loro causa, si dicono peccati ex malitia e ex industria. « Dicitur ex certa malitia vel industria peccare, quasi scienter malum eligens. >> « Tunc solum ex certa malitia aliquis peccat, quando ipsa voluntas ex seipsa movetur ad malum. » Questa malizia, « ex qua aliquis dicitur peccare potest intelligi malitia habitualis; secundum quod habitus malus a Philosopho (lib. 5, Eth. c. I, a princ. to. 5) nominatur malitia; sicut habitus bonus nominatur virtus. » Col che si risolvono due de' dubbi del Bartoli, che cosa Dante « abbia

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1 S. Tomm., Summa, I, II, qu. LXXVIII, art. 1 circa med.

2 Ivi, art. 3.

3 Ivi, art. 1 circa fin.

op. cit., pag. 83.

Giornale Dantesco

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• ; e « se essa

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veramente voluto significare con la parola malizia corrisponda o no alla parola usata da Aristotile ». Ma seguiamo S. Tommaso. Ogni peccato ex habitu è peccato ex certa malitia? e questo differisce dal peccato che si commette ex aliqua passione, come il perfetto dall' imperfetto ma « non est necessarium quod quicunque peccat ex certa malitia, peccet ex habitu». Sempre però «< peccatum ex certa malitia est gravius peccatum quod ex passione » 5.

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E si noti ancora questo: « peccatum ex certa malitia, secundum provenit ex inclinatione habitus, non est speciale peccatum, sed quaedam generalis conditio peccati » : il che spiega, perchè taluni peccati (ad es. la lussuria e la prodigalità) sian divisi in due pezzi, per usare una frase del Bartoli; come pure dimostra (e ciò sia detto al Sig. Comello), che, anche secondo la distribuzione cristiana de' peccati, gli ultimi quattro cerchi dell' Inferno dantesco sono tutt'altro che « superflui moralmente », ed artisticamente viziosi >> » 3. S'è fatta questione, se la bestialità sia peggiore della malizia' il Boccaccio solo, tra gli antichi, credette che fossero men gravi i peccati di bestialità, che quelli di malizia, citando l'autorità d'Aristotile, che pare abbia franteso: gli altri, e giustamente, ritennero che la bestialità fosse più grave.

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Non badarono però, che i peccati di bestialità non costituiscono una categoria a sè. « Bestialitas, scrive S. Tommnso 10, differt a malitia, quae humanae virtuti opponitur per quemdam excessum circa eandem materiam 11 et ideo ad idem genus reduci

1 Inf., c. XI, v. 22.

2 S. Tomm., Summa, I, II, q. LXXVIII, art. 3.

3 Ivi, art. 2.

4 Ivi, art. 3.

5 Ivi, art. 4.

potest. »

6 Bartoli, op. cit., pag. 83. — Cfr. pure Agresti, Dov'è punita nell' « Inf. » di Dante la matta bestialitade (nell' Alighieri, anno II, fasc. I, pag. 1-7) e Ronchetti (in Giornale dantesco, I, 1).

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9 Cfr. scr. cit. del Comello, in Biblioteca delle sc. it., fasc. cit. del 1 giugno 1893, pag. 263. 10 Summa, II, II, q. CLIV, art. 11.

11 Benissimo dunque il Landino: «alchuna volta e tanta la perversione e dell' appetito e della ragione, che non solamente saccordano a peccare: ma quasi dimenticando che cosa sia huomo trapassino ogni termine de humana spetie: e pigliono costumi e natura di fiera: e tal dispositione e detta bestialità. . . . excedendo lhumana malitia .......... Conchiudiamo adunque la incontinentia essere male, la malitia peggiore e la bestialità pessima ».

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Or si notino quest' ultime parole, « et ideo ad idem genus reduci potest» il che vuol dire, ch'è inutile il cercare se nell' inferno. di Dante i peccati di bestialità sien puniti prima o dopo i peccati di malizia e qui non posso nascondere che mi fa molta meraviglia il vedere che anche il P. Berthier, certamente dottissimo in teologia, e che pur cita questo passo 2, faccia de' peccati di bestialità e di quelli ex malitia due distinte categorie.

Ciò premesso, vediamo come abbia Dante classificati i ресса

tori de' tre ultimi cerchi.

In tutti e tre sono i rei di peccati ex malitia: ed è in questo senso, nel senso teologico, che bisogna intender la parola malizia al v. 22. del canto XI dell' Inferno:

• D'ogni malizia ch'odio in cielo acquista
ingiuria è il fine ».

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Ma « quicunque cogitant aliquod malum facere, necesse est quod excogitent aliquas vias ad hoc quod suum propositum impleant; et ut plurimum excogitant vias dolosas, quibus facilius propositum consequantur. Quanvis contingat quandoque quod absque astutia et dolo aliqui aperte et per violentiam malum operentur. Sed hoc, quod difficilius fit, in paucioribus accidit » 1. Dal che sorge una suddivisione dei peccati ex malitia: peccato ex malitia per vias dolosas, e peccato ex malitia per violentiam: la quale suddivisione corrisponde perfettainente a quella fatta da Dante (Inf., XI, 21-24):

D'ogni malizia, ch'odio in cielo acquista,
ingiuria è il fine, ed ogni fin cotale.

o con forza o con frode altrui contrista.

E assai propriamente Dante parla di frode, piuttosto che di astu

1 Bartoli, op. cit., pag. 82-83.

2 nell'ultima nota al c. VIII dell' Inf.

3 E Dante: « La frode ond' ogni coscienza è morsa » Inf., XI, 52.

4 S. Tomm., Summa, II, II, q. LV, art. 4. Cf. pure ivi, q. LXI, art. 3. Il Moore (Dante's obligations to the De officiis in regard to the division and order of sins in the Inferno, in Twelfth annual report of the Dante society [Cambridge, Mass.] May 16, 1893, pag. 21) scrive che la fondamentale distinzione de' peccati di violenza e peccati di frode deriva direttamente e quasi verbatim da Cicerone (De off., I, 13)». Trovandosi tale distinzione anche in S. Tommaso, a me pare, che la diretta derivazione, di cui discorre il Moore, meno, mettersi in dubbio.

possa, per lo

zia e di dolo: « sicut dolus consistit in executione astutiae, ita etiam et fraus. Sed in hoc differre videntur, quod dolus pertinet universaliter ad executionem astutiae, sive fiat per verba, sive per facta: fraus autem magis proprie pertinet ad executionem astutiae, secundum quod fit per facta. » In quanto poi alla maggior gravità attribuita da Dante ai peccati di frode, in confronto di quelli per violenza, il poeta sembra scostarsi da S. Tommaso. A proposito della rapina, S. Tommaso scrive, che essa è più grave peccato che il furto; e ciò per due ragioni: la prima, perchè la violenza, con la quale si toglie ad altri il proprio nella rapina, più direttamente s' oppone alla volontà del derubato, che non l'ignoranza, della quale il ladro approfitta nel furto semplice; la seconda, che la rapina, oltre il danno nella sostanza, include anche l'ingiuria nella persona. Dante, invece, la pensa diversamente: la ragione, egli dice, è propria dell'uomo soltanto; e la frode è abuso della ragione: l'uomo adunque, che pecca con frode, abusa d' un dono che Dio ha fatto a lui solo; e perciò il suo peccato è più grave, che non quello commesso con violenza. Onde i peccati ex malitia per violentiam ei li punisce nel 7.o cerchio; quelli ex malitia per vias dolosas nell' 8.o Evidentemente, il Poeta è stato indotto dalla sua magnanima natura, sdegnosa di tutto ciò che sa d' occulto e perciò di pusillanime, ad accostarsi piuttosto ad Aristotile e a Cicerone, che non all' Angelico Aristotile scrive: « Ex insidiis agere ad quandam pusillanimitatem pertinere videtur. Magnanimus enim in omnibus vult manifestus esse »1; e Cicerone : « Cum autem in duobus modis, id est aut vi, aut fraude, fiat iniuria, fraus quasi vulpeculae, vis leonis videtur; utrunque alienissimum ab homine est; sed fraus odio digna maiore >>

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Oltre che dalla frode, il peccato ex malitia è aggravato dalla condizione della persona contro cui si pecca: « conditio personae in quam peccatur aggravat peccatum »: e di qui l'altra distinzione di Dante, in peccati ex malitia contro colui che non si fida, e in peccati ex malitia contro colui che si fida: i quali ultimi son puniti nel 9.° ed ultimo cerchio.

1 S. Tomm., Summa, II, II, q. LV, art. 5.

2 Ivi, q. LXVI, art. 9.

3 Inf., XI, 25-26.

▲ cit. da S. Tomm. in Summa, II, II, q. LV, art. 8.

5 Cic., De off, I, 13.

S. Tomm., Summa, I, II, q. LXXIII, art. 9.

Anche il popolo, adunque, che possiede il basso inferno è dal Poeta distinto con S. Tommaso. Ma il lettore ne sarà ancor più convinto, dopo una rapida scorsa, che, con S. Tommaso alla mano, faremo per quest' ultimi tre cerchi dell' Inferno dantesco.

a) Peccati ex malitia per violentiam.

(VII cerchio).

Nel 1° girone del VII cerchio son puniti i tiranni, che dièr nel sangue e nell' aver di piglio, gli omicidi, ciascun che mal fece, i guastatori e i predoni.

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I tiranni scontano due peccati, la crudelitas e la saevitia o feritas (si ricordi che Dionisio è detto fero nel v. 107 del C. XII dell'Inf.). La crudelitas è « atrocitas animi in exigendis poenis >> « feritas vel saevitia dicitur, secundum quam aliquis in poenis inferendis. non considerat aliquam culpam ejus qui punitur, sed solum hoc quod delectatur in hominum cruciatu. Et sic patet quod continetur sub bestialitate nam talis delectatio non est humana, sed bestialis » « Saevitia vel feritas continetur sub bestialitate unde non directe opponitur clementiae, sed superexcellentiori virtuti, quam Philos. (1. 7. Ethic. circa princ. to. 5) vocat eroicam vel divinam, quae secundum nos videtur pertinere ad dona spiritus sancti » 3.

Nulla da notare intorno agli omicidi. Nè occorre dimostrare, che l'omicidio è peccato men grave che la crudelitas e la saevitia o feritas; e che giustamente, perciò, i tiranni sono « sotto infino al ciglio», mentre gli omicidi sono nel sangue «< infino alla gola » 5.

<< Ciascun che mal fere» (ed anche ciò è evidente) è reo di men grave peccato, che l'omicida; quindi, anche giustamente, « ciascun che mal fere» è con la testa e con tutto il petto fuori del sangue

I guastatori e i predoni sono rei di ruine, incendii e tollette dannose quest' ultime corrispondono alla rapina. La rapina e il furto non sono lo stesso peccato; anzi son due specie diverse di peccato: «<< finis remotus rapinae et furti idem est. Sed hoc non

1 Summa, II, II, q. CLIX, art 1.

2 Ivi, art. 2 circa med.

3 Ivi, circa fin.

4 Cfr. Summa, II, II, q. LXIV. art. 7 e 8.

5 Inf., c. XII, v. 103 e v. 116.

6 Ivi, 121 e 122.

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