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neanco diceva il vero. La rinomanza di Dante crebbe e si diffuse rapidamente dopo la morte di lui, e più che altrove, in Bologna, dove nel 1324 ser Graziolo Bambagiuoli dichiarava pubblicamente il divino poema. Giusto appunto in quell'anno anche il Petrarca in Bologna studiava legge; possibile che non avesse trovato il modo di leggere il « libro » che molti ammiravano, o d'ascoltare le lezioni di ser Graziolo; lui, che già forse poetaval o si preparava a poetare in volgare; lui, l'amico di Cino da Pistoia, il quale a Dante era stato stretto di reverente amicizia; lui infine, che de' poeti toscani di parte bianca, persin de' minori, dimostra sempre negli scritti suoi pratica grande? A me pare difatti che l'azione della Commedia si riveli in altri scritti del Petrarca, oltre che ne' Trionfi, su' quali egli ancor faticava nel 1374', quando morte improvvisamente lo colse. Se non che la Commedia era forse un modello non troppo acconcio a sole poesie d'amore; per le quali il Petrarca ebbe piuttosto sott' occhi, a mio credere, altri scritti volgari di Dante, segnatamente la Vita Nuova e le Rime. E ancora nel cinquecento, che fu forse il secolo della massima rinomanza di Francesco Petrarca, racconta il Domenichi: « Ragionavasi in Roma in casa della Tullia d'Aragona in una raunanza d' alcuni gentilhuomini virtuosi che 'l Petrarca, come persona destra, s'era saputo valere de' suggetti di alcuni rimatori antichi Provenzali, e Toscani, et havevasene fatto honore ». Più tardi, qualche ravvicinamento fra le poesie volgari del Petrarca e quelle di Dante fu fatto; ma così alla ventura e senza quel rigore di metodo, che solo può dar modo d'affermare ciò che noi intendiamo dimostrare con la presente trattazione: la Vita Nuova e le Rime di Dante doversi tenere le fonti più larghe e più immediate onde il Petrarca derivò al suo canzoniere atteggiamenti e scorci, motivi lirici e situazioni affettive, materiali fantastici e stilistici, immagini e versi.

Se non che, badiamo. La ricerca delle fonti, come dicono, d'un poeta, a poco a poco va diventando una sorta d'inquisizione rabbiosa contro di lui; e non dovrebb'esser altro che lo studio spregiudicato degli elementi, onde pure bisogna che si componga un'opera d'arte. In un poeta lirico,

1 Si ricava dalla postilla al f. 19" del Vat. 3196: « 1374. dominico ante cenam 15 Jan. » sul Trionfo della divinità. Per isbadataggine io già lessi 1368 in luogo di 1374. (Cfr. Su l'ordinamento delle poesie volgari nel Giorn. stor. d. lett. ital. XIX, p. 240 n.); ma che veramente la data giusta sia 1374, come parve al signor C. APPEL, Z. Entwickelung ital. Dichtung. Petrarca's, Halle S., Niemeyer, 1891, p. 110, è provato dalla stessa crono. logia. Il 15 gennaio 1368 cadde di sabato; non di domenica, com'è detto nel testo. Cfr. il MAS LATRIE, Thrésor de chron., p. 391.

L. DOMENICHI, Facetie, motti et burle, Venezia, 1558, p. 332.

poi, codesta ricerca non ha valore se non è confortata di molte prove; giacchè per una o due o dieci volte che due poeti convengono in una stessa idea o in una stessa espressione, sarebbe temerario tirare in ballo l'imitazione o la derivazione. Finalmente, il Petrarca, se anche metteva a profitto l'opera d' altri poeti, lo faceva da par suo; vale a dire rinnovando, trasformando e sopratutto ravvivando del proprio spirito tutto ciò che gli venisse fra mano.

E giova qui porre un' altra avvertenza. Fra i riscontri che andremo notando, alcuni sono di scuola; vale a dire non sono luoghi che occorran soltanto negli scritti di Dante e del Petrarca, ma anche in quelli d'altri poeti provenzali e siciliani o dello stil nuovo. Lasciando i primi da parte, molte immagini e molti pensieri adoperò da principio Guido Guinizelli, il padre di quanti mai

Rime d'amore usar dolci e leggiadre;

e Dante o Cino o il Cavalcanti imitarón da lui: nè sempre si può dire se il Petrarca avesse l'occhio a Dante, o al primo inventore, o a qualche altro derivatore.

Tutto sommato, noi non vogliamo dar per sicura ogni singola concordanza; ma d'altra parte non sapremmo negare come la copia di riscontri, talvolta parallelamente consecutivi e coordinati a un concetto medesimo, ci abbia indotti nella certezza che l'azione della poesia di Dante su quella del Petrarca fu continua e profonda.

II.

Per un caso bizzarro, i due più grandi poeti della nostra letteratura s'invaghirono di due donne, le quali moriron prima di loro; ond' ei si trovarono entrambi a doverne lodar la memoria: di qui molte rispondenze, le quali non si può giudicare se dipendano da altro, che da somiglianza di situazione.

Tanto la Vita Nuova e le rime connesse, quanto il Canzoniere del Petrarca, sono, insomma, due sorta di poemi lirici, ne' quali è adombrata, più che narrata, una storia d'amore. Dante s'innamorò di Beatrice, e il Petrarca di Laura; entrambi, secondo una consuetudine tutt'altro che rara a quel tempo, piegarono il nome della lor donna a una significazione più

1 Così fa troppo soventi il BIAGIOLI, nel suo commento al Petrarca, Milano, 1823; che, letto con discrezione, riesce, del resto, profittevole.

alta e più spiritale; e, come Beatrice fù per Dante la sua « beatitudine » (V. N. ed. Casini, V), così Laura fu per il Petrarca quel « lauro » che gli simboleggiava la gloria. Dopo molti anni di contrasti amorosi l'una e l'altra perirono; ma il cuore de' due poeti fu sempre con la donna morta; benchè non meno l'uno che l'altro s'impigliasse talvolta nelle reti d'un altro amore. Dante infatti racconta d'una « gentile donna », la quale l'accese alquanto per averlo guardato pietosamente; oltre che accenna a altri amori nelle canzoni pietrose e in quella per la casentinese: il Petrarca non rimane insensibile a' vezzi d'una giovine di Ferrara 1. A buon conto, codesti traviamenti durano poco: e, come Dante s'accinge a celebrare la donna sua nella Commedia, così il Petrarca, ma con forze troppo minori, ne' Trionfi. Non è il caso di far paragoni; per altro non si può, cred' io, dubitare che, nello svolgimento de' due amori, i capp. I-XXIX della Vita Nuova corrispondano alle rime in vita di Laura; i capp. XXX-XLII a quelle in morte; e la Commedia a' Trionfi.

Ma, oltre la lineazione esterna, molte circostanze di fatto e di sentimento concordano, in codesti due amori, singolarmente.

È noto che Dante nella Vita Nuova (XXIX), sforza le date riguardanti la sua Beatrice per modo da dimostrare che « questa donna fue accompagnata da questo numero del nove» nella cui radice si contiene il mistero della Trinità. Non troppo diversamente il Petrarca, a cui Laura mancò il 6 d'aprile 1348, si compiace di raccontare, come anche il suo amore avesse principio da un altro 6 d'aprile:

Mille trecento ventisette appunto

su l'ora prima, il dì sesto d'aprile
nel labirinto entrai;

com' egli dice nel son. Voglia mi sprona; e tali indicazioni ripete nel Trionfo della Morte, (I, 133 e segg.). Il 6 d'aprile 1327 fu un lunedì; ma perchè al poeta conveniva di contrapporre le pene dell'amor suo a quelle di Cristo morto in croce; e, secondo il calendario cristiano, Cristo spirò di venerdì, il poeta si riportò al giorno storico del gran supplizio secondo il rito giudaico, e potè cantare:

Era 'l giorno ch' al sol si scoloraro
per la pietà del suo Fattore i rai
quand' i' fui preso;

1 Di qui il sonetto estravagrante Antonio cosa ha fatto la tua terra, indirizzato al maestro Antonio da Ferrara. Cfr. FRACASSETTI, Famil, III, p. 185. Allo stesso amore si riferiscono due componimenti del canzoniere: la canz. Amor se vuoi, e il son. L'ardente nodo. Cfr. il mio scritto Su l'ordinamento delle poesie volgari di F. P. nel Giorn. stor. d. lett. ital. XX, p. 110 e n.

al modo stesso che Dante (V. N., XXIX) si richiamò all' usanza d' Arabia e a quella di Siria per far morire in un nono giorno d'un nono mese Beatrice, la quale veramente trapassò il 19 di giugno del 1290 1.

La scuola bolognese-toscana, che fu detta dello stil nuovo, arricchì e rammodernò, oltre il resto, anche il materiale decorativo e fantastico della poesia lirica. La bellezza, la virtù, la cortesia dell' amata; la sua perfezione quasi celeste; la sua crudeltà o insensibilità; la gioia di trovarsi tra' fedeli d'amore; le figure degli angioli, delle stelle, del cuore mangiato, della calamita, della fenice, chiamate a rappresentare o a esaltare madonna, sono i luoghi soliti della poesia d'amore siciliana e provenzaleggiante; nè qui è il caso di tenerli a calcolo; tanto più che il Petrarca nè anco infuse in codesta materia quella nuova spirital significazione, ond' ella spesso ci apparve tutt' altra di prima nelle poesie di Guido Guinizelli, del Cavalcanti e di Dante. Il Petrarca si riconnette a' poeti dello stil nuovo soltanto per le forme esterne della sua lirica; ma egli non intese o non accettò la profonda teoria dell' amore pensata e praticata da' maggiori poeti di quella scuola.

Fra le nuove immaginazioni, che si cercherebbero invano avanti lo stil nuovo, è quella del saluto. Si comincia dal Guinizelli, (ed. Casini):

Lo vostro bel saluto e 'l gentil sguardo
che fate, quando ve 'ncontro, m'ancide;

perchè Amore gli lancia una saetta, onde l'amante non può parlare e rimane quasi percosso dalla folgore, immobile, <«< come statua d'ottono », Ove spirto nè vita non ricorre,

se non che la figura d'uomo rende.

Questa rappresentazione nel c. II della Vita Nuova acquista importanza d'episodio. Beatrice, passando per via, volge gli occhi verso quella parte ov' egli era molto pauroso, e, per la sua ineffabile cortesia, lo saluta molto virtuosamente. Ma là dove lo sbigottimento del Guinizelli era tragico, quasi d'uomo « che sua morte vide», quello di Dante è immensamente soave, onde gli par di vedere « tutti li termini della beatitudine »; benchè anche il suo corpo, per soverchio di dolcezza, si muove « come cosa grave inanimata ».

Anche il Petrarca si giova di codesta immaginazione del saluto; e proprio alla maniera di Dante. Laura, vedendo il poeta così pallido

Che fa di morte rimembrar la gente,

1 Cfr. DEL LUNGO, Beatrice nella vita e nella poesia del sec. XIII. Milano, Hoepli, 1891, p. 99 e segg., n. 68.

benignamente lo saluta; ond' egli si sente tornare in vita (ball. Volgendo gli occhi). In un altro sonetto è narrato, press' a poco, lo stesso caso: il poeta, vedendo la bella donna, le muove incontro con fronte reverente e smorta; ella lo saluta e passa oltre, e il poeta rimane pieno di contentezza:

Or mi ritrovo pien di sì diversi
piaceri, in quel saluto ripensando,
che duol non sento, nè sentii ma' poi.

(son. La Donna che 'l mio cor).

Come non per mero caso codesta immaginazione del saluto, trovata dal Guinizelli, ricompare ne' versi di Dante giovine; così non senza cagione i due sonetti del saluto di messer Francesco son tanto più concordanti, per il tono, per il disegno, per l'espressione psicologica, con quelli dell'Allighieri, che con l'altro di Guido.

Gli effetti d'amore si manifestano press' a poco i medesimi ne' due poeti. Dante (Vita Nuova, IV), diviene in picciol tempo di sì facile e debole condizione» che a molti amici rincresceva della sua vista «<e molti pieni d'invidia già si procacciavano di sapere di me quello ch'io voleva del tutto celare ad altrui » ; e nella canz. Morte poi ch' io, dichiara:

Canzon, tu vedi ben com'è sottile

quel filo, a cui s' attien la mia speranza,

è quel che sanza questa donna io posso.

Anche il Petrarca se ne va dove alcuno nol vegga:

Altro scherno non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger delle genti

(son. Solo e pensoso),

e confessa, quasi con le parole di Dante :

Si è debile il filo a cui s' attiene

la gravosa mia vita,

che, s'altri non l'aita,

ella fia tosto di suo corso a riva.

Il son. I' sentia del Petrarca a me par tutto un'abile tessitura sul tema del c. I e del son. Spesse fiate, c. IX, della Vita Nuova. Avverte l'Allighieri « In quel punto dico veramente che lo spirito de la vita, lo qual

È un pensiero richiamato di poi al c. XXXII nella canz. Gli occhi dolenti:

E sì fatto divento

che dalle genti vergogna mi parte.

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