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Nova canzon del mio camin, tu sei
tanto gradita per la Dio mercede,
che certa puoi di me portar novella,
venti duo millia cinquecento e sei
che aggio camminato, come vede
l'adorna donna che ancor non favella.

Quel Venti duo millia cinquecento e sei Che aggio camminato, non inteso fin ora, ch'io sappia, da alcuno, è sicuramente il cómputo, in giorni, dell' età del poeta; il quale, quando la scrisse, doveva avere sessant' un anno compiuto. Dante, in qualunque modo si pensi circa l'anno della sua nascita, non passò certo i cinquantasei. La canzone sarà dunque di Cinò, che potè averla composta nel 1331.

Or la canzone Nel dolce tempo della prima etade del Petrarca rassomi-, glia molto a codesta, non soltanto nel primo verso, ma nella lineazione generale, nel simbolismo ond'è tutta ricorsa, in qualche scorcio e in qualche immagine. Se non che il Petrarca stesso, avanti il 1331, era in età da far versi; nè si può stabilir con certezza, se il Petrarca imitasse Cino o Cino il Petrarca; benchè non paia probabile che un vecchio e illustre poeta volesse tôrre a modello le rime d'un suo scolare giovine e ignoto.

Press' a poco il medesimo accade per la canzone: Ohimè lasso quelle trecce bionde attribuita a Cino dal cod. Barber. XLV, 47; a incerto dal Riccard. 2846 e dalla Giuntina del 1527, e a Dante dalla Veneta del 1518. Ma l'autorità del cod. Barberiniano è molta: Niccolò de Rossi da Treviso, che lo compilò, fu contemporaneo a que' poeti e legato d'amicizia con Cino 1: sicchè non mi par dubbio che al pistoiese vada restituita quella canzone. In ogni modo, è certo che il Petrarca ne ricavò la mossa, l'atteggiamento, le immagini del suo primo sonetto in morte di Laura, come può vedere da sè chiunque legga e raffronti. Dice quel da Pistoia:

Ohimè, lasso! quelle trecce bionde

dalle quai rilucieno

d'aureo color i poggi d'ogn' intorno!

ohimè la bella ciera e le dolci onde....

Ohimè 'l fresco et adorno

e rilucente viso !

ohimè lo dolce riso....

Ohimè caro diporto e bel contegno!

ohimè dolce accoglienza....

ohimè 'l bello umile alto disdegno....

1 Cfr. L. DEL PRETE, Rime di ser Pietro de' Faytinelli. Bologna, Romagnoli, 1874, pref.;

e E, MONACI, Da Bologna a Palermo nell' Antologia del Morandi, 8a ediz., p. 228-229.

Giornale Dantesco

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E quel d'Arezzo:

Oimè il bel viso, oimè il soave sguardo,
oimè il leggiadro portamento altero,
oimè 'l parlar ch'ogni aspro ingegno e fero
faceva umile, ed ogni uom vil, gagliardo;
ed oimè il dolce riso ond' uscio 'l dardo

di che morte, altro bene omai non spero,

con quel che segue 1.

Alla prima canzone di Dante in morte di Beatrice (V. N., XXXI, Li occhi dolenti) rassomiglia assai nella tessitura, nel tòno, in alcune immagini, la prima canzone del Petrarca in morte di Laura. Dice Dante che, morta Madonna, non gli resta altro conforto al dolore, ond' è tratto a morte, se non il pianto :

Ora, s'i' voglio sfogar lo dolore

che a poco a poco a la morte mi mena,
convienmi parlar traendo guai;

e il Petrarca lo stesso:

Ma io, lasso, che senza

lei, nè vita mortal, nè me stess' amo,
piangendo la richiamo:

questo m' avanza di cotanta spene,
e questo solo ancor qui mi mantene.

Dante si rivolge alle donne gentili :

Ita n'è Beatrice 'n l'alto cielo,
nel reame ove li angeli hanno pace,
e sta con loro; e voi, donne, ha lassate:
nè la ci tolse qualità di gelo

nè di calore, come l'altre face,
ma solo fue sua gran benignitate;

1 Anche la mossa e qualcos' altro del sonetto

O giorno, o ora, o ultimo momento, o stelle congiurate a 'mpoverirme

del Petrarca, è ripreso da, quello di Cino:

Q giorno di tristizia e pien di danno,
o ora, o punto reo ch'io nato fui.

2 E nel son. Poi che la vista:

Poi che la vista angelica serena,
per subita partenza, in gran dolore
lasciato ha l'alma e' n tenebroso errore,
cerco, parlando, d'allentar mia pena.

e il Petrarca:

Donne, voi che miraste sua beltate
e l'angelica vita

con quel celeste portamento in terra,
di me vi doglia è vincavi pietate,

non di lei, ch'è salita

a tanta pace.

Dante afferma di Beatrice com' ella fu chiamata in cielo dall' « eterno Sire perchè vedea ch' esta vita noiosa

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Non era degna di sì gentil cosa;

e il Petrarca:

Ahi orbo mondo ingrato!

Nè degno eri, mentr' ella

visse quaggiù, d'aver sua conoscenza,
nè d'esser tocco da' suoi santi piedi;1
perchè cosa sì bella

devea 'l ciel adornar di sua presenza 2.

Dante si rappresenta così il trapasso di Beatrice:

Partissi de la sua bella persona
piena di grazia l'anima gentile,
ed è si gloriosa in loco degno;

e il Petrarca quello di Laura:

L'invisibil sua forma è in paradiso,
disciolta di quel velo

che qui fece ombra al fior degli anni suoi.

Altre corrispondenze si notano fra la canzone di Dante e piu componimenti del Petrarca in morte di Laura. Dante confessa che, pensando

Cfr. anche Petrarca, canz.: Tacer non posso:

Com'ella venne in questo viver basso
ch' a dir il ver, non fu degno d'averla;

e ́altrove, son. Deh porgi mano:

Se vertù, se beltà non ebbe eguale
il mondo che d'aver lei non fu degno.

E altrove, son. Quel che d'odore:

Allor che Dio, per adornarne il cielo,
la si ritolse: e cosa era da lui.

alla morte, gliene viene « un disio tanto soave »; e al Petrarca le immaginazioni della morte di Laura

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Ce n'è, parmi, abbastanza per conchiudere che la deploratoria di Dante per Beatrice, quella che Dante chiama nel commiato: « Pietosa mia canzone », non fu ignota al Petrarca, quand'egli scrisse la canzone che nel commiato chiama « Canzon mia_no, ma pianto », e le altre rime in morte di Laura.

L'argomento trattato nel c. XXXIII della Vita Nuova e nella canzone che vi si contiene, vale a dire il rimpianto dell'amata, il desiderio di morte per la morte di lei, la maraviglia e la gioia de' beati davanti la nuova spiritale bellezza 1; questi e altri somiglianti pensieri sono gran parte del materiale, così riccamente e variamente adoperato, della seconda parte delle poesie volgari del Petrarca; ove non di rado immagini e versi darebber luogo a raffronti con altri di Dante; se non fosse che in questi casi è malagevole lo sceverare la derivazione voluta dalla concordanza casuale. Tanto più che il Petrarca è stato, come tutti sanno, così abile assimilatore e rimaneggiatore di motivi altrui, oltre agl'infiniti che son proprio suoi, da non potersi, se non rare volte, sorprender la schietta sorgente della sua ispirazione.

IV.

Che l'amore quasi teologico per la donna angelicata, per la donna stella, non impedisse poi a' poeti dello stil nuovo di cercarsi ripeschi un po' più ter

1 Cfr. la chiusa di codesta canzone col son. del Petrarca: Gli angeli eletti e l'anime beate.

reni, si può affermare con piena certezza. Ma que' poeti avevan anche trovato la maniera di metter d'accordo la contemplazione celeste e gli scianti della carne; di salvare, come si dice, la capra e i cavoli. Si scusarono, e forse il primo fu Dante, di quegli altri amori, col sopraffino pretesto del ritrovare, nelle sembianze della nuova venuta, quelle oltrammirabili della beata beatrice; e il giuoco piacque tanto che, dopo Dante, troppi altri ne seguiron l'esempio. Dante dunque, invaghitosi d'una gentile donna, dopo la morte di Beatrice (V. N., XXXV), non si ritrae; ma si contenta di dire nell'anima trista:

Ben è con quella donna quello Amore
lo qual mi face andar così piangendo;

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vale a dire l'amore della donna gentile e quello di Beatrice, ond'io piango, son tutt'una cosa. E nel capitolo seguente dichiara « questa donna... molte fiate mi ricordava de la mia nobilissima donna »; e nel sonetto che v' è inserito:

Color d'amore e di pietà sembianti

non preser mai così mirabilmente
viso di donna...

come lo vostro...

sì che per roi mi ven cosa a la mente,

ch' io temo forte no lo cor si schianti.

Insomma la donna gentile, negli atti, nel colore perlaceo del viso, neila pietà e gentilezza, gli ricorda la morta Beatrice; ond' egli ama questa in colei. Casistica del sentimento!

Guido Cavalcanti, pellgrino nella chiesa della Dorada a Tolosa, s' innamora nella Mandetta. E quell' altra donna, forse la Giovanna « aulente primavera », ch'egli avea lasciata in Firenze? Non importa; questa le rassomiglia:

Una giovane donna di Tolosa

bella e gentil, d'onesta leggiadria,
tant'è diritta e simigliante cosa,
ne' suoi dolci occhi, de la donna mia,
ch'è fatta dentro al cor disiderosa

l'anima in guisa, che da lui si svia,
e vanne a lei...

Lo stesso caso occorse a Cino, se è sua veramente la canzone: Di nuovo gli occhi miei, la quale, per l'appunto, s'apre con quella dichiarazione:

Di nuovo gli occhi miei per accidente

una donna piacente

miraron, perchè mia donna simiglia.

Codest'artifizio faceva troppo buon giuocò al Petrarca, il quale si confessò da sè medesimo eccessivamente inclinato a' traviamenti d'amore (Senil.

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