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tori. Non a' principianti però: e, forse, il Casini non avrebbe fatto male a dare, almeno di alcuni termini filosofici d'allora, più lucida spiegazione. Che proprio i giovani nostri dicendo loro, come il principio formale ne' corpi è la forma sostanziale costituente la specie e la virtù de' singoli corpi, essi, avvezzi a tutt' altro indirizzo di pensiero, capiscano chiaro il dantesco: Virtù diverse esser convengon frutti

di principi formali ?

Non so ma forse spiegare una volta un po' chiaramente questa barbara terminologia scolastica e poi rimandare ad essa, quando fosse necessario, l'alunno, potrebbe essere non di datticamente inopportuno.

Bene anche ha fatto il Casini a riportare intere le referenze dottorali, patristiche o bi bliche cui gli è occorso rimandare, e non semplicemente citarle, come, molto spesso, fa lo Scartazzini. Certo, questi, di referenze è più ricco; ma che importa, ad esempio, a proposito di quel bizzarro ortolano eterno, che è Iddio, citare san Giovanni, se non si soggiunge anche, come fa il Casini, il passo intero: Io sono la vera vite e il padre mio è il vignaiuolo? Biz. zarra metafora da secentista (che il Passerini non mi rammenti il mio promesso secentismo in Dante!), che produce in noi un tal quale disagio mentale, di cui la critica moderna deve conoscere anche l'ultima ragione fisiologica.

E così, senza volerlo e senza addarmene, sono sdrucciolato, anche questa volta, nel campo infido dell' estetica.

Disse bene Francesco Torraca: col Casini « per la prima volta in un commento del poema di Dante entra largamente l'esame estetico delle maggiori bellezze di esso: e vi entra principalmente con le citazioni e i richiami delle maravigliose analisi del De Sanctis ».

Forse il Torraca poteva rammentare, e il Casini usare di più, Niccolò Tommasèo, che ha tratti svisceratori della sovrana bellezza dantesca; io, per me, a far gustare a' giovani la poesia più alta cui lo spirito umano sia arrivato, i commenti estetici li vorrei anche più larghi. Ma, purtroppo, in fatto di estetica molto ancora è da fare presso di noi; purtroppo nessuno le ha dato ancora quella severa base psicologica e fisiologica che le compete.

Entrerà, speriamo, così nel libro del Casini, quando, tra alcuni anni, potrà l'egregio uomo interamente rifare come è suo desiderio l'opera faticosa, specchio fedele di quello che sarà allora la letteratura dantesca.

Terni, 4 di gennaio 1894.

COSMO.

Carolina Marimò.

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La pedagogia nella divina Commedia : lettura alle alunne d'una scuola normale. Parma, L. Battei, 1893, in 16.o, di pagg. 50.

0. Tesini. Note di pedagogia per gli allievi - maestri. Migliarino, tip. P. Bertelli, 1893, in 16.o, di pagg. 78.

Ecco due opuscoletti buoni nell'intenzione, se non tutti e due, almeno in egual misura, nel contenuto. Tutti e due han per soggetto la pedagogia nella divina Commedia, e, certo, l'idea di cogliere nel campo fecondo del sacro poema quanto si riferisce alla scienza pedagogica è idea bella, se non nuova, e, sopratutto, buona ed utile. Però dobbiam congratularci colla signora Marimò e col signor Tesini dei loro tentativi, se bene così l'una come l'altro abbian voluto limitare le loro fatiche solo ad una scelta assai sobria dei pensieri danteschi

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che possono avere qualche applicazione pedagogica, e a riprodurli semplicemente, quasi senza alcuna nota dichiarativa, in certi luoghi indispensabile, e senza nessun commento, che tanto più sarebbe apparso utile dacchè si tratta di raccolte fatte ad uso di giovinetti delle scuole normali. Anzi a me pare che il signor Tesini abbia talvolta rimpicciolito l'ampio e grave significato di alcuna frase dantesca, per volerlo troppo tirare e accomodare alle idee sue: nè forse avrebbe nuociuto al suo lavoro una forma più semplice ed eletta, e meno imbrattata di modi e di locuzioni francesi. Nonostante, il lavoro del Tesini, che è frutto di una accurata e amorosa ricerca, potrà essere utile: come certo sarà caro alle alunne delle scuole normali il garbato libretto della signora Marimò, che ad una larga dottrina pedagogica mostra di unire assai buon gusto artistico e buona conoscenza delle tre cantiche dantesche. Ma tanto l'uno che l'altro lavoro, sono, ripeto, insufficienti; e voglio sperare che, così sembrando anche agli autori, essi porranno mano ad una compiuta trattazione della importante materia della quale, intanto, ci hanno fornito due saggi soddisfacenti.

A. C.

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Maria Cenni. I due Guidi: studio critico-letterario. Aquila, tip. sociale di A. Elisèo, 1893, in 16o, di pagg. 45.

L'autrice comincia dal tratteggiare brevemente lo stato della coscienza medievale pervasa dall' ascetismo e dal feudalismo e impersonata nel cavaliere feudale « ibrida fusione di culto religioso, di devozione al suo re, di amore per la sua dama ». Parla dell'amore nella vita, di quel tempo, e nell'arte: come quivi si immobilizzi, diventi la « gaia scienza del Troubar» e come, di conseguenza, debba poi trasformarsi. Dice quindi dello stato della letteratura italiana nel 1200: della imitazione provenzale, della poesia siculo-provenzaleggiante, della poesia popolare; e, più a lungo, si diffonde sui poeti classicheggianti o di transizione, considerando Guittone non già come precursore della nuova scuola che sta per sorgere, perchè, « per rispondere a questo, occorrerebbe nel poeta una nuova intuizione o filosoficamente superiore, o reazionaria all'alta letteratura medioevale, oppure un maggiore sentimento dell'arte »; ma come colui che qualcosa senta di nuovo e indeterminato e la cui poesia abbia almeno un certo senso di indipendenza da quella comune nel secolo: la vuota stereotipata poesia provenzale.

Per giudicare dello spirito del medioevo e del carattere delle scuole letterarie del tempo, l'autrice parte sempre dal concetto dell'amore, come quello che informa e guida i sentimenti, i pensieri, le azioni degli uomini. E da l'amore secondo cavalleria, e da l'amore secondo che lo considera Guittone, viene a parlare dell'amore concepito dal Guinizelli, quale si rivela nella famosa canzone Al cor gentil ripara sempre amore: concetto, non nuovo nella sua essenza, ma, per la prima volta, messo come legge. E l'amore giunge alla sua più alta glorificazione; diventa anello di unione fra l'anima e Dio, e la donna è scala per salire al supremo fattore; fusione di mistico e di cavalleresco, cui un soffio di greca filosofia atteggiava.

Ma la profonda filosofia non arrestò compiutamente nel Guinizelli il libero prorompere della ispirazione, si che in lui troviamo voli lirici, fine psicologismo, sentito realismo.

L'autrice non attribuisce al Guinizelli il merito di una radicale riforma, perchè troppo sopravvisse in lui della poesia anteriore, ma ammette che le nuove consapevolezze dell'anima sua sieno qualche cosa di più di una semplice riforma di stile, e determinino quella scuola, che avrà grande influenza su chi, a ragione, ne fu chiamato il poeta; su Guido Cavalcanti.

Intimamente legate sono la scuola toscana e la bolognese, della quale il Cavalcanti subì la potenza filosofica e moralizzatrice; così ch' ei nella concezione d'amore doveva risentirsene; ei toglie di mezzo anche la donna presa come simbolo (Guinizelli) e, obliando l'essenza di amore, umana e poetica, lo considerava dottrinalmente come aspirazione morale della virtù. Ma tutto ciò che riguarda le speculazioni filosofiche forma la parte negativa nel Cavalcanti, mentre la positiva è rappresentata principalmente dalle sue ballate.

E quivi l'autrice si diffonde a parlare di questi componimenti poetici, e dice efficacemente e veracemente. Afferma che nella famosa, ultima sua ballata, il Cavalcanti risolve nel sentimento religioso quel momento di angoscioso, inconsapevole dubbio, balenato alla mente del Guinizelli là in quel sonetto che incomincia «Sì son io angoscioso e pien di doglia e che preludia, come dice con troppo ardito pensiero l'autrice, al tormento della coscienza moderna.

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Guinizelli e Cavalcanti posero le basi della dottrina di quell'amore spirituale che con Dante doveva assorgere ad altezze sublimi; essi, da un lato, diedero giovinezza e originalità a una poesia già vecchia in sul nascere, perchè imitatrice; da l'altro, tolsero ad essa sponta neità, pervadendola di elementi riflessi e antipoetici, che pur non impedirono intieramente il libero manifestarsi della ispirazione poetica. I lampi di vera poesia, che si trovano nei due Guidi, sono quelli ai quali spetta la vittoria avvenire, poichè ha vita duratura tutto ciò che è nella natura e nella coscienza. Come dalla parte negativa dell'opera loro, verrà la reazione potente nella quale vivo rifulgerà tutto ciò che di umano fu compresso, e soffocato durante l'inflessibile ascetismo medioevale. « E l'un Guido preludia l'altro, e l'altro toglie la gloria a l'uno ed entrambi giungono a noi avvolti in simpatica luce. D.

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Non nuovi concetti, non nuove vedute sono nello scritto della signorina Cenni; ma la conoscenza che vi appare vasta e sicura del tempo del quale tratta; il pieno possesso della ma⚫ teria; la serietà dei giudizi; l'accuratezza, l'ordine, la proporzione, rendono lo scritto uno studio critico-letterario degno di lode. Per questo scritto l'autrice rivela ingegno acuto e vivace; solo sarebbe da desiderare, a volte, maggiore semplicità di stile, e, spesso, precisione e chiarezza maggiori di elocuzione. Ma queste son mende minori ai pregi : e però noi possiamo congratularci con la gentile scrittrice dalla quale aspettiamo altri e più forti lavori quali certamente la sua molta coltura e il suo agile ingegno possono darci.

Alberto.

Vincenzina Inguagiato. Nota al verso 28. del XX canto dell' « Inferno ».
Formica e Gaglio, 1891, in 16o, di pagg. 68.

Girgenti, tip.

In mezzo al fuorviamento letterario del nostro tempo, nel quale, per la manìa del giun. ger presto e di cogliere facili allori, si considerano gli studi classici con sarcasmo e scettici. smo, è un conforto trovare un ingegno nobile, colto, robusto, che sappia, conservandosi moderno, dai classici modelli trarre invidiosi veri. Tale conforto si accresce e, per la parte ma schile dei letterati, diviene una benefica umiliazione, quando, come nel caso presente, è una donna, una signorina che sa tornare all' antico, secondo il concetto del Verdi, e dall' antico trarre le conclusioni volute dalla critica moderna.

La signorina Vincenzina Inguagiato prende a tema dei suoi studi il 28° verso del XX canto della Commedia laddove l'autore, piangendo di pietà per vedere negli indovini la nostra imagine umana si torta, si fa rimproverare da Virgilio:

Ancor sei tu degli altri sciocchi ?

Qui vive la pietà quand'è ben moria...

Quest'ultimo è il verso preso in esame: e la studiosa signorina siciliana lo interpreta come va interpretato, nel suo senso esclusivamente civile e filosofico, serenamente spoglia da quei pregiudizi teologici religiosi, dei quali non sanno svestirsi tanti e tanti degli interpreti del divin poema. Nella Commedia la filosofia e la teologia sono bene distinte in due simboli diversi, in Virgilio cioè e Beatrice, che rappresentano le due guide necessarie all'uomo in questa valle di lagrime al raggiungimento della sua doppia felicità temporale e spirituale; Virgilio abbandona il suo discepolo sul culmine del purgatorio, nel terrestre paradiso, donde viene rapito a quello celeste da Beatrice. Tutti i dubbi, tutte le questioni che vengono risolte da Virgilio nelle due prime parti del viaggio, lo sono al lume della filosofia, della pura ragione. Virgilio stesso lo dice al suo discepolo nel XVIII del Purgatorio:

Quanto ragion qui vede

dir ti poss' io da indi in là t'aspetta
pure a Beatrice, ch'è opra di fede.

Questo concetto fondamentale, semplice, esatto è spesso trascurato da molti commentatori: i quali, commentando i dettagli verso per verso, dimenticano che i dettagli stessi devono esser coordinati, armonizzati con i principii che reggono tutto l'insieme. Siccome la filosofia, o scienza morale, secondo il linguaggio dell' amore nell' Amoroso Convivio non può contradire ai principi della teologia o scienza divina, cosi va da sè che, obbedendo l'autore ai precetti filosofici appresi da Virgilio, obbedisce egli, in uno, ai precetti teologici che gli sono più avanti appresi da Beatrice nella sfolgorante letizia del paradiso. Ammesso questo, non ne viene che Virgilio possa arrogarsi officio a lui non commesso, quale sarebbe quello di insegnare ciò che insegnar deve la donna beata e bella che, mossa da amore, dalle luminose sublimità dell' Empireo era discesa al Limbo a richiederlo di aiuto per l'autore che l'aveva amata tanto ed era per lei uscito dalla volgare schiera. Se l'autore si fosse fatto insegnare precetti teologici da Virgilio, oltre che commettere un anacronismo, avrebbe violata l'economia del lavoro, che si svolge secondo i principii da lui stesso fissati dai due primi canti dell'opera.

Fatte queste premesse, cessa il bisogno di dire che l'opinione della gentile cultrice di studi così severi è perfettamente all' unissono colla nostra, e che noi pure intendiamo il verso preso in esame com'essa lo intende, cioè così: qui nell' «Inferno» esiste pietà (umanità, ossia pietà in senso filosofico civile e non teologico religioso) pur quand' essa non si manifesta per nulla; quando cioè questa medesima pietà rimane qui tetragona, irremovibile, come morta.

L'ammirazione che ci desta il libretto della signorina Inguagiato, oltre che per l'esat tezza di interpretazione del passo controverso, è viva in noi per la vastità e sodezza della sua classica cultura e per la profonda conoscenza che mostra di avere di tutto il mirabile capolavoro della nostra letteratura e per il modo rigorosamente scientifico col quale essa propone la questione, enuncia le ragioni sulle quali si fonda, e la risolve. Alla proposta della sua interpretazione premette un rapido esame di quelle dei più celebri commentatori antichi e moderni, quali il Buti, Talice da Ricaldone, il Landino, il Lombardi, il Cesari, il Frati celli, il Bianchi, l' Andreoli, il Camerini, il Costa, il Venturi, il Biagioli, il Trissino: e confrontando il verso in disputa con altri di consimile senso del Petrarca, del Boccaccio, del

Tasso, del Giusti e del Manzoni di questi pure mostra di conoscere le opere come si conviene e di rettamente intenderle. Facendo poi suo centro del verso esaminato, la brava scrittrice liberamente spazia per tutto il poema citando, raggruppando ed interpretando molti altri passi che essa fa bellamente concorrere alla migliore chiarezza d'interpretazione di quello scelto a tema dei suoi studi e delle sue indagini.

Oltrechè nei campi letterario e filosofico, la signorina Inguagiato si diffonde in quello giuridico con preziose osservazioni e confronti specialmente fra alcune teoriche penali del poeta ed altre del Beccaria e giustamente espone che, come la società nel punire non deve esser mossa da ira ma da giustizia, così tutte le pene, anche infernali, si originano da amore, dal primo amore che è appunto mosso da giustizia e guidato da somma sapienza giusta il

terzetto:

Giustizia mosse il mio alto Fattore

fecemi la divina Potestate

la Somma Sapienza e il Primo Amore.

Quanti letterati che con tutta disinvoltura vanno per la maggiore, potrebbero imparare da questa modesta signorina che si mostra al corrente coi risultati ultimi e più recenti ai quali è pervenuta la critica dantesca! Ma e se la giovine autrice non fosse modesta, come potrebbe essere sapiente? Il poeta ama coloro che, studiandolo, umilmente s'accostano a lui. Egli ama tutti coloro che nella diuturna lotta della vita, nella quale a retro va chi più s'affanna, hanno saputo conservare intatte le ingenue speranze dell' età infantile, poichè il suo canto, come già quello d' Orazio, amorosamente predilige la modestia delle donzelle e l'innocenza dei fanciulli.

SILVIO SCAETTA.

NOTIZIE.

Il fascicolo 5 [vol. I della nuova serie] del Bullettino della Società dantesca italiana, diretto dall' egregio M. Barbi, contiene: R. Fornaciari. A. Ghignoni. Nuova costruzione d'un passo del Paradiso [XX, 73-78]. F. Pellegrini. G. Trenta. La tomba di Arrigo VII imperatore. N. Zingarelli. L. Filomusi-Guelfi. Il contrappasso in Dante. A. Fiammazzo. E. Bertana e C. Posocco. Per l'interpretazione letterale del verso Chi per lungo silenzio parea fioco. F. Pellegrini. L. Filomusi-Guelfi e A. Moschetti. Il verso Che quel dinanzi a quel di retro gitta. [Paradiso, XII, 117]. Varietà: N. Zingarelli. Il libro della memoria. Annunzi bibliografici. Libri pervenuti in dono alla società.

- Della Collezione di opuscoli danteschi inediti o rari sono usciti testè alla luce altri due volumetti le Chiose a luoghi filosofici della divina Commedia di C. P. Paganini, a cura del prof. Franciosi, e lo studio sopra Dante e il Petrarca di M. G. Ponta con prefazione di Carmine Gioia.

Alla direzione del Giornale dantesco son pervenuti in dono i seguenti libri:

Baooi Vittorio.

in 8°. (Dall' autore),

Castruccio scène storiche. Roma, Soc. editr. Dante Alighieri, 1894,

Bellezza Paolo. Idee di Dante e del Rosmini sul galateo: primo saggio di studio dantesco-rosminiano. Milano, tip. L. F. Cogliati, [1890?], in 8°. (Dall' autore).

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