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v'è la postilla aliter, venemur. Correzione buona e alla quale se ne possono anche aggiungere alcune altre del medesimo genere e della medesima scrittura gotica corsiva che sono intercalate in vari luoghi del testo medesimo.

Ora veniamo alle note della terza categoria.

Al capitolo 4 del libro I, il ms. ci, somministra la lezione seguente:

D

Nunc quoque investigandum esse existimo cui hominum pri» mum locutio data sit, et quid primitus locutus fuerit, et ad quem, et ubi et quando, nec non et sub quo idiomate primiloquium emanavit, secundum quidem quod in principio legitur genesis, ubi de » primordio mundi sacratissima scriptura pertractat, mulierem in» venitur ante omnes fuisse locutam, scilicet praesumptuosissimam Evam, cum dyabolo sciscitanti respondit: de fructu vero ligni quod » est in medio Paradisi praecepit Deus ne comederemus, nec tan» geremus, ne forte moriamur. Sed quamquam mulier in scriptis prius inveniatur locuta, rationabile tamen est ut hominem prius locutum fuisse credamus, et inconvenienter putatur tam egregium humani » generis actum ut prius e viro quam a femina profluisse ».

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D

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Il fine, dall' ut prius al profluisse è puro guazzabuglio; il rimanente s'intende bene, e al principio l'autore fa divisioni aristoteliche e distingue il cui, il quid, l' ad quem, l' ubi e il quando.

Sul cui, non v'era dubbio, o almeno il dubbio non poteva esistere per chi non fosse epilettico o imbecille. La Biblia dice che Adamo diede i nomi agli animali, e che poi, nascendo Eva, disse: «< Questa è carne delle mie carni, ecc. ». E anche se non si leggesse questo nella Biblia, chi può strapazzare e analizzare le storie scritturali in modo così inconsistente e volere che nessuno abbia parlato prima dell'istante in cui Eva rispose al serpente? Bisognerebbe anche ammettere che la prima parola d' Eva ad Adamo fosse per consigliargli di mangiarsi il pomo, e che nei giorni precedenti tutti e due rimanessero in gran silenzio, non avendo coraggio di dir niente.

Sull' ad quem, si osserva che il glossatore non si occupa di quello che Dante esamina nel capitolo seguente, quando dimostra che Adamo dovette rispondere a Dio piuttosto che fargli qualche domanda. E veramente è cosa ch'egli non intese, giacchè fece questa maledetta intercalazione: « Nam in homine sentire humanius » credimus quam sentire, dummodo sentiatur et sentiat tamquam ho» mo ... Ergo .. rationabille nobis apparet nobilissimum » animal non ante sentire quam sentiri cepisse ». Questo è precisamente il contrario di quello che Dante dice nelle altre frasi del

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medesimo capitolo. Del resto è una gran bestialità il voler dimostrare che l'uomo fa atto più nobile quando parla che quando ascolta. Tutto dipende dalle circostanze. Un imbecille come il nostro glossatore farà sempre meglio a tacere e ad ascoltare quelli che ne sanno più di lui.

E l'ubi passa prima del quando, mentre Dante, dopo che ha finito coll' ad quem, lascia stare l'ubi come cosa inutile e tratta del quando. Ma il glossatore aggiunse lo studio dell' ubi dopo quello del quando, dicendo: « Et hinc penitus eligere possumus locum illum » ubi effutita est prima locutio, quoniam si extra Paradisum affidatus » est homo, extra, si vero intra, intra fuisse locum prime locutio con» vicimus ». Bella invenzione in verità, come se Iddio, volendo dare all'uomo il Paradiso terrestre, fosse tanto ingenuo da crearlo in altro luogo, per dovere poi metterlo in ferrovia e mandarlo in treno lampo alla porta del suo giardino.

Non è difficile ammettere che un uomo capace di tali sdilinquimenti, potesse anche dimenticarsi delle prime parole d'Eva al serpente. Ma poi se ne accorse, e scrisse in margine la postilla che fu tagliata dal legatore e nel presente stato del codice si legge così:

fructu lignorum
sunt in paradi-

vescimur.

É ovvio che manca al principio della prima linea il de, alla seconda que e alla terza so, che è l'ultima sillaba della parola paradiso.

Tutto questo dimostra come l'uomo che fabricava quelle postille in margine fosse il glossatore e come quell' uomo fosse diverso dal copista. Infatti, egli scriveva in margine le cose dimenticate, mentre l'amanuense aveva il vizio di scriverle nel testo, in modo bestiale e senza curarsi della offesa del senso. Per la citazione provenzale al foglio 19, la cosa era evidente, ma per la frase Nunc de tertio . . .., al capitolo 14 del libro II, l'errore fu riprodotto fino ai nostri giorni da tutti gli editori dell'Eloquenza Volgare.

In generale, quando il glossatore aggiunge nel margine cose che mancano nel testo, questo è segno di guazzabuglio terribile e d'invenzioni degne del manicomio, che si sono introdotte nell'opera di Dante. Il povero copista, maltrattato da quell'uomo, non sapeva più ove avesse il cervello, e saltava linee intere.

Di questo principio citeremo subito un'eccellentissima prova al capitolo 2 del libro II. Dice il codice:

« Dicimus dignum esse quod dignitatem habet, Sic nobille quod » nobilitatem et si cognito habituante habituatum cognoscitur in quan» tum hujus ubi cognita dignitate cognoscemus et dignum esset enim dignitas meritorum effectus sive terminus ».

19

Il Corbinelli fece sforzi inutili per dare un senso a quella frase. Ma poi ne abbiamo un' altra, che s'intende bene, ed è degna di Dante, e in quella il copista si era dimenticato delle parole seguenti, che il lettore può ritrovare nelle edizioni, e che il glossatore scrisse in margine: « profectum esse dicimus, cum male vero, » ad mali, puta bene militantem ad victoriae dignitatem » ; ma il Corbinelli mutò profectum in perventum, poichè voleva uniformarsi esattissimamente all'italiano del Trissino che disse pervenuto, mentre nel verbo profectum c'è un'idea di perfezionamento dell' uomo, che aggiunge al pensiero una forza e una bellezza di prim'ordine.

Nel capitolo 8 del medesimo libro, Dante dimostra che nella Canzone, colui che canta può essere attivo o passivo. Sarà attivo l'autore, quando dice come Virgilio Arma virumque cano, poichè allora tiene in mano e governa a suo modo le idee, le parole, le rime, e ne fa quel che vuole. Sarà passivo quello che canta l'opera altrui, o anche l'autore stesso, quando canta il suo componimento, poichè in quel caso, la Canzone esiste e signoreggia il pensiero e la voce di quello che la proferisce e non può mutarvi

niente.

Ora, nel testo, noi leggiamo che la Canzone è ipse canendi actus vel passio, e fin qui tutto va bene; ma l'infelicissimo pedante aggiunse nel testo medesimo Vel actus legendi, e poi non gli parve che la sua idea fosse ben definita e scrisse in margine, per leggersi prima di Vel actus legendi, le parole seguenti: sic lectio, passio. Giunse dunque a credere che il lettore potesse esser passivo o attivo, ciò che passa ogni limite di bestialità; il lettore ubbidisce al suo testo e non può esser altro che passivo.

Il quarto esempio è quello che si vede nell'ultimo capitolo del libro I.

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<«< Nam sicut quoddam vulgare est invenire quod proprium est >> Cremone, sid quoddam est invenire quod primum est lombardie (et sic est invenire aliquod quod si proprium lombardie est inve»> nire aliquod quod sit totius sinistre ytalie proprium, et sicut om>> nia hec est invenire sic et illud quod totius ytalie est), et sicut il» lud cremonense, ac illud lombardum (et tertium semilatinu vul» gare vocatur) »

Desidero che il lettore mi faccia la gentilezza di assicurarsi soltanto che questo è guazzabuglio tremendo, e di lasciar stare le

parentesi, poichè le parentesi non le metteva il copista; le metto io, e presto si vedrà perchè.

Al vocatur c'è un rinvio, e nel margine si legge, mutilata dal legatore e racconciata dal Corbinelli, la postilla seguente, nella quale si sono stampate in lettere capitali le sillabe che sono di mano moderna; è ovvio che quelle sillabe mancavano al principio delle linee:

Sic istud quod TOT-
ius ytalie est LATI-
num vulgare

Ciò premesso, cancellando tutto quello che è rinchiuso nelle parentesi e aggiungendo al testo la postilla marginale, si ha una frase che è chiarissima, semplicissima e tale da non lasciar nemmeno l'ombra d'un sospetto:

Nam sicut quoddam vulgare est invenire quod proprium est >> Cremonae, sic quoddam est invenire quod primum est Lombardiae, et sicut illud cremonense ac illud lombardum vocatur, sic >> istud quod totius Italiae est, latinum vulgare » .

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Qui dunque abbiamo il glossema preso sul fatto, l'intercalazione bestiale, la confusione del copista; e se alcuno volesse dubitare, osservi quanto sia matta e inconsistente l'invenzione di quelle due lingue italiane, la lingua sinistra che sarebbe quella degli Istriani, Veneziani, Lombardi, Piemontesi, Romagnuoli e parte dei Napoletani, e la lingua destra che sarebbe comune agli altri Napoletani, ai Siciliani, ai Sardi, ai Romani, ai Toscani e ai Genovesi.

Quasi tutti i glossemi dell' Eloquenza Volgare sono tali da potersi ritrovare e dichiarare facilmente. Conosciuto il principio che si dimostra in questo lavoro, si vedrà che almeno la decima parte di quello che si legge nelle edizioni è opera del pedantė.

DOTTOR PROMPT

PER DUE LEZIONI CONGETTURALI

A G. L. PASSERINI.

CARO LANDO.

Discorrendo il signor Ferdinando Ronchetti, nel 1° numero del tuo Giornale dantesco, d'un opuscolo del signor Gennaro Faucher, dove questi propone e sostiene la lezione congetturale invidioso in luogo della volgata accidioso (Inf., VII, 123), egli ha queste parole: « L'assunto invero non è » nuovo. Ricordo d'averlo enunciato fin dal "78 in un opuscolo: Ve..ticinque appunti su Dante (Roma, libreria Manzoni); e lo ricordo unica» mente per mostrare ai dantisti e quanto poco ci conosciamo a vicenda, » e come l'assunto riceva rincalzo dall' essercisi incontrati in due senza sa» pere uno dell'altro ».

Ora io per meglio ancora rincalzare l'assunto (e anche un pochino per dimostrare ch'è assai più vero di quel che il signor Ronchetti non creda, che i dantisti non si conoscono troppo tra loro) dirò, che a fare la proposta della lezione invidioso, ci trovammo in tre. Infatti, sin dal 1863 in uno scritto Del sesto cerchio nell' inferno dantesco, io proponeva quella lezione; e sono molto contento d'essermi riscontrato colle ragioni che, quantunque più ristrettamente, esibì poi il signor Ronchetti, nel 1878. Ecco quel ch'io scriveva allora :

La palude stigia da alcuni espositori è considerata come il Cerchio de' Superbi, da altri come quello degli Iracondi. Chi ha ragione di costoro? Tutte e due le parti, a parer mio; e aggiungerò che qui inoltre si punisce l'invidia :

Quanti si tengono or lassù gran regi

che qui staranno come porci in brago

di sè lasciando orribili dispregi !

Qui è evidente che si parla de' superbi.

Or vedi

l'anime di color cui vinse l'ira.

1 Bologna. Tipografia all'insegna di Dante, via Malcontenti, 1863.

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