Slike stranica
PDF
ePub

E qui degli iracondi.

Ed anche vo' che tu per certo credi,
che sotto l'acqua ha gente che sospira
e fanno pullular quest' acqua al summo
come l'occhio ti dice u' che s' aggira.
Fitti nel limo dicon: Tristi fummo

nell' aer dolce che del sol s' allegra,
portando dentro invidioso fummo.
Or ci attristiam nella belletta negra.

E qui si parla degli Invidiosi.

Come s'è visto, io leggo invidioso in cambio d'accidioso che io reputo lezione errata. In fatto quelli che per ispiegare in qualche guisa l'accidioso definiscono l'accidia l' opposito dell'ira, che è quanto: la colpevole impassibilità in faccia del male e dell'ingiustizia, non mi pare che colgano nel segno. Lasciando stare che dell'accidia pigliata in questo senso non penso che faccia parole nessuno degli scolastici, la cui sentenza segue il Poeta; ma il senso intimo di que' versi non vi parla in chiaro modo dell'invidia? Noi, dicono quegli sciagurati, nel mondo allegrato dal sole, fiorente di mille sparse bellezze, noi senza goderne una, ci rodemmo colla invidia il cuore, e tristi fummo colà dove Dio ci chiamava a esser lieti. Dove tu noti il sovrano contrapposto dell'allegra bellezza del mondo, colla cupa tristezza di quegli invidiosi, e il loro disperato rimpianto ai bei giorni trascorsi di cui non seppero godere. Tristi fummo. E l'invidia appunto, a detta di san Tommaso, est tristitia de alienis bonis. Al contrario, accettando l'accidioso, e mettendo che per accidia s'intenda l'opposto dell'ira, come tutto questo tratto ti riesce freddo e dissonante!

Quel verso

Nell' aer dolce che del sol s' allegra,

che in bocca degli invidiosi fa tanta passione, detto da questi altri diventa non più che un'arcadica perifrasi per dire nell' altro mondo.

Altri vorrebbero vedere in quell' accidioso fummo designata un'altra specie d'ira, cioè l'ira compresa e seco stesso ruminata; la quale spiegazione invero non sarebbe spregevole, se vi fosse il diritto di farla: ma il vocabolo accidioso non dà questo diritto. Gli è vero che san Tommaso fra le conseguenze dell'accidia pone una specie di rancore (rancor) che si intende per una certa avversione dell'accidioso contro coloro che s'adoprano a promuovere il bene di cui egli soffre noia: ma nessuno vorrà credere che Dante abbia fatto di questo rancore uno speciale peccato da punirsi nel cerchio degli Iracondi. Egli ha punito coll'accidia le conseguenze di essa. Bisogna che pongano mente quelli che avessero difficoltà ad accettare il mio invidioso, che se non si ritrova qui punita l'invidia, sarà impossibile trovarla punita altrove ed anche di questo va tenuto conto, perchè, come dissi, non è da supporre nemmanco per sogno che Dante abbia voluto escludere dall' Inferno un peccato capitale, e qual peccato! Uno di quelli contro cui e' si scatena più violentemente. Sin dal principio del poema, parlando della malnata Lupa, e' dice che la mise al mondo l'invidia, ed altamente invoca un vendicatore che la rimetta

nell' inferno

là onde invidia prima dipartilla.

E volendo dir corna de' suoi fiorentini, che dice egli ?

la tua città ch'è piena

d' invidia si che gia trabocca il sacco

Superbia, invidia ed avarizia sono

le tre faville ch' hanno i cori accesi.

Che poi l'ira possa a diritto considerarsi in relazione stretta colla superbia, e l'invidia colla superbia e coll'ira, è agevol cosa il vederlo. Anzi l'invidia può dirsi una specie d'ira, dacchè il rattristamento dell'invidioso vedendo prosperare altrui, gli è una sorta di sdegno contro questi, quasi che i beni degli altri sieno un male ed un'offesa per sè. Se adunque in questo cerchio noi vediamo punite la superbia, l'ira e l'invidia, non ne faremo le maraviglie; e nemmeno vedendo che vi si punisce l'eresia, dacchè come ci dice il Buti, l'eresia è specie di superbia.

In tutto questo ch' io ho detto sui puniti nel cerchio della palude stigia, io non ho fatto, si può dire, che estendere quanto a questo punto annota il Tommasèo nel suo commento. Se non che egli colloca nella palude stigia anche gli accidiosi che noi abbiamo posti altrove, e non è che per un certo temperamento che poi soggiunse annotando l'accidioso fummo: perchè accidia vale anche una certa malinconia maligna, perciò può comprendere anche l'invidia iraconda. Ma e' parmi che se qui l'accidioso sta per invidioso, non possa significare anche accidioso; perchè, ammesso ancora che la parola possa pigliarsi in questi due sensi, Dante non può essersi al certo servito d'una parola sola per esprimere a un tempo due cose diverse. O dunque l'accidioso qui sta nell' un senso o nell'altro; e in qual dei due che voglia pigliarsi, l'uno resta escluso. Vero è che il Tommasèo, sulla autorità di Piero di Dante, e per ragioni di analogia, trova-qui gli invidiosi senza che Dante li nomini: ma io domande rei il perchè, volendo Dante qui punirli, si sia trattenuto dal dirlo e dal mostrarlo, ed abbia voluto che i lettori lo indovinino; e questo perchè, chi me lo dirà? Con tutto il rispetto all'illustre filologo, io da questo viluppo trovo un'uscita molto più naturale cangiando in invidioso l'accidioso ch' io credo errore d'uno de' primi copisti della Commedia lasciato correre poi da tutti gli altri. E così mi sembra che si mettano d'accordo Dante, Piero di Dante, il Tommasèo, la critica e il buon senso. Oh profanazione! esclamerà qualcuno: questo gli è un racconciare il latino a Dante; vergogna! Zitti; perchè Dante n'ha sofferto delle peggio. E poi, vedete, io ci scommetterei il capo contro un nocciolo di pêsca, che in qualche codice questa variante dell' invidioso la ci ha a essere. Ma, se dopo tutto,

Qoesta la vi paresse un' eresia

lasciatemela dire: e cosi sia ».

Luigi Grisostomo Ferrucci, nell'interno del cartoncino d'uno di quegli opuscoli, scrisse di sua mano: «A pag. 30 notisi: il cav. Luigi Grisostomo Ferrucci trovò già che per accidioso debba leggersi astidioso (aschioso, astioso, astidioso); come imperator, induperator, lat ».

Pubblicò mai la cosa il Ferrucci? E se si, dove la pubblicò? L'esemplare con quell' annotazione (lo conservo ancora) io non l'ebbi direttamente dal Ferrucci, ma per mezzo d'un amico; e non ebbi agio o mi sfuggì di fargliene domandare. Forse se ei diede fuori quella congettura, ciò fu negli . Opuscoli religiosi, letterari e morali di Modena o nel Giornale arcadico.

Nel merito della cosa, si può domandare se la parola astidioso è mai esistita e s'è usata mai. Sarebbe, a ogni modo, esempio unico. Dante usò in altri luoghi astio per invidia, e astioso per invidioso, ma astidioso non usò in nessun luogo, ch' io sappia. Ma, domando io, non si potrebbe ritenere addirittura l'astioso o l'aschioso, leggendo

Dentro portando aschioso fummo,

Giornale Dantesco

non elidendo l'o di portando, conforme all'uso dantesco di non elidere quasi mai?

Un'altra domanda: Per me è certo che lì Dante parla degli invidiosi. Ma è egli escluso che la frase accidioso fummo possa significare l'invidia? Potrebbe l'emulazione definirsi o qualificarsi per un operoso fuoco? Parrebbe di si. E allora perchè non si potrebbe chiamare l'invidia un accidioso fumo?

Rivolgo la domanda ai dantisti: io non sentenzio. E già, più vado avanti negli anni e più mi si rigira pel capo la massima che la verità... è nel pozzo.

Certo oggi, almeno nei più de' casi, non scriverei colla baldanza che hanno le mie parole del "63. Ma allora ero un ragazzo (bel difetto! d' altronde).

Ed ora concedimi, o caro Lando, ch' io mi lagni un pò col signor Ronchetti.

Egli, seguendo, pare, il signor Faucher (dico pare, perchè io non conosco l'opuscolo del Faucher) attribuisce a Alessandro D' Ancona la proposta dell' altra lezione congetturale (Purg., V, 39)

[merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small]

Io son certo che se il D' Ancona ha letto lo scritto ronchettiano, se n'è stizzito. Dio buono! Il D'Ancona ama le lezioni congetturali, a un dipresso, come il fumo negli occhi. E mi ricordo ch' egli, allorchè in uno dei primi numeri del Fanfulla della domenica io proposi quella lezione (perchè fui io che la proposi1, e mi pareva che il signor Ronchetti lo dovesse

1 Io proposi la lezione:

Ne solcar lampo nuvole d'agosto

In uno dei numeri seguenti del Fanfulla della domenica il prof. Camillo Bechi propose di variare :

ch'è forse meglio.

Ne solca lampo nuvole d'agosto,

sapere, tanto più che la cosa nel campo dantesco levò un certo rumore) il D'Ancona, dico, mi scrisse giudicando la lezione molto ingegnosa, ma non approvandola. Non dissimilmente mi scrisse il Carducci. Dunque unicuique suum, massime che si tratta di cosa che parecchi valenti disapprovano, e fra questi il signor Ronchetti.

Io credo di sapere qual'è la ragione profonda per cui molti sono e si professano acerrimi nemici delle lezioni congetturali in Dante, anche in que' luoghi dove, per dare un' apparenza di ragionevolezza al testo, bisogna tirarlo peggio della gomma elastica. Ammettendo che tutti i testi conosciuti siano errati in qualche luogo (ciò ch' io credo fermamente) și viene a togliere la vagheggiata possibilità di ricostruire il testo vero della divina Commedia, mediante la genealogia dei codici.

Se tu, caro Lando, me lo concederai, un'altra volta io mi proverò a esporre quelle che a me paiano ragioni da non buttar via, per le quali, a mio avviso, si prova che quel vagheggiato disegno si riduce a una magnanima impossibilità.

Per intanto, finchè non mi sarà provato (ma provato davvero) che il verso

Nè sol calando, nuvole d'agosto

ha un senso ragionevole, anzi ha un senso, io me ne starò colla mia congettura che, sia detto senza vanto, rende quella terzina chiarissima e bellissima. Io non ripeterò quanto altra volta dissi in proposito, ma bene dirò che il fatto solo di vedere che ciascun commentatore aguzza i ferruzzi dell'ingegno per scavizzolare un senso a quel verso, e ciascuno trova un senso differente, dovrebbe, se non essere sufficiente a provare, almeno a mettere i lettori in sospetto, che in quel luogo il testo è corrotto. Il signor Ronchetti trae anch' egli in campo una sua spiegazione. E sicuramente afferma che il verso volgato corre benissimo « pur che si legga:

Ne sol, calando, nuvole d'agosto,

purchè cioè si faccia sol nominativo, e si sottintenda fendere, intendendo di quei fasci di raggi che scappano talvolta di tra le nuvole, che accompagnano il sole nel tramonto ». Lascio stare se quel calando messo a quel modo abbia sapore di stile dantesco e trecentistico, e se il verso letto con quella specie di parentesi del calando, abbia la snellezza e celerità di che dovrebbe essere espressivo. Ma dato pure (ciò che, del resto, non è vero) che il fenomeno di che parla il Ronchetti sia frequente e tale da offrirsi facile a trarne una similitudine, chi mai ne trarrebbe la similitudine che

E di che cuore!

Il Direttore.

ne trae il Ronchetti? Chi mai direbbe che un tale corre veloce come i raggi del sole che scappano al tramonto? Si direbbe egli, per esempio, che un tale entri in casa colla stessa velocità con che entra la luce in una stanza oscura, allorchè s'aprono d'improvviso le finestre?

Quelli poi che fanno il sol calando una specie dì ablativo assoluto, mi pare che non abbiano mai pensato che una siffatta forma non s'è mai usata nella lingua italiana: nessuno disse mai per dire: mentre apparve la luna, luna apparendo, o per dire: mentre fiocca la neve, neve fioccando. Nell'uso quotidiano moderno non c'è di simile che la frase tempo permettendo ; ma nemmeno vuol dire mentre il tempo lo permette, sebbene se il tempo lo permette.

È inutile: a me seguita a parer chiarissimo, evidente, che la ragione e la estetica del passo vogliano il lampo. Dante si serve di due similitudini per esprimere la velocità d'una corsa. Ognun vede che la seconda similitudine deve essere intensa, espressiva quanto la prima o più della prima. E le similitudini i veri poeti le pigliano dai fatti, ovvii, cogniti, vivi. Prima, dunque, le stelle cadenti, poi il lampo. Non ti pare? Ogni altra spiegazione (vuoi proprio che te lo dica?) parmi arzigogolo da lasciare al Buti, al Lana, all' Ottimo e agli altri commentatori antichi, che se per molte cose sono da studiare e seguire, per altre (per molte altre) non possono destare in noi che un discreto e benigno sorriso.

Del resto il verso

Nè solca lampo nuvole d'agosto

è, se non vogliam dire la traduzione, una molto stretta imitazione del vergiliano

Ignea rima micans percurrit lumine nimbos 1.

Tu, caro Lando, non hai bisogno ch' io ti noti e ti spieghi còme, sotto la diversità delle due arti, la vergiliana e la dantesca, i due versi esprimano lo stesso concetto, la stessa immagine e si riscontrino appuntino nelle loro parti. E quanto Dante fosse studioso e imitatore di Vergilio questo non solamente è noto a te, studiosissimo dell' Alighieri, ma anche a quelli che di Dante non sanno se non quel tanto che hanno imparato nel Liceo. Un' affettuosa stretta di mano dal tuo

[merged small][merged small][ocr errors][merged small]
« PrethodnaNastavi »