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Una lettera inedita di O. F. MOSSOTTI.

Di su l'autografo donato cortesemente alla direzione del Giornale dantesco dal dottor Rodolfo Volpicelli, siamo lieti di publicare la seguente lettera colla quale Ottaviano F. Mossotti, insigne professore di matematica nell' Ateneo pisano, accompagnava al principe d. Baldassare Boncompagni una sua copia manoscritta dell'opuscolo del Bottagisio: Osservazioni sopra la fisica del poema di Dante [Verona, Merlo, 1807].

Pregiatissimo Signore,

Secondo le sue intenzioni gli invio, col mezzo della posta, la copia manoscritta dell'opuscolo del Bottagisio sulla Fisica del Poema di Dante.

Avendo stamane aperto a caso quest' opuscolo mi cadde sott' occhio il comento al verso 97 del Canto II del Paradiso, e come parmi che lo spositore non abbia bene reso il pensiero di Dante che racchiude un principio teorico molto più interessante di quello notato. glielo accennerò in breve per dar altro argomento a questa lettera. A me pare che Dante coll'esempio dei tre specchi ha voluto segnalare il principio che le superficie piane luminose, od illuminate in egual grado, appaiono della stessa chiarezza a qualunque distanza siano poste, perchè la grandezza dell'immagine e le quantità di luce che riceve la pupilla da ciascun punto diminuendo l'una e l'altra nella ragione inversa del quadrato della distanza, vi è un compenso, ed ogni elemento d'egual estensione dell'immagine apparente è sempre rappre sentato da una stessa quantità di luce nell'occhio a qualunque distanza si osservi la superficie. Il lume che stia dopo 'l dosso deve essere supposto ad una distanza molto maggiore com. parativamente a quello a cui sono gli specchi tra loro, come il sole lo è rispettivamente alle distanze delle diverse parti delle superficie lunaie, onde tanto gli specchi che queste parti siano sensibilmente illuminate in modo eguale.

Certamente la spiegazione di Beatrice è falsa perchè non tiene conto della luce assor. bita, ma il principio teorico di Dante è giusto, e per quell'epoca doveva essere una verità sublime e di non comune cognizione.

La prego a dar le mie memorie al di lei cognato Massimi, al prof. Tortollini', ed a te nermi, come sono, per un

Suo Osseq. Servo
O. F. MossOTTI

Pisa, li 9 Luglio, 1847.

P. S. Il sig. A. Torri, che ebbe la compiacenza di far fare la copia dell'opuscolo del Bottagisio, essendosi offerto di farla pervenire a lei per mezzo del Consolato Austriaco ho preferito di valermi di questa via per togliere di mezzo le difficoltà della posta che non avrebbe potuto prenderlo come alle condizioni di un libro stampato. La spesa della copia è stata di 16 paoli toscani.

1 Barnaba Tortolini, professore di calcolo sublime nell'Università romana.

N. d. D.

RIVISTA CRITICA E BIBLIOGRAFICA

RECENSIONI

Dante Alighieri. La divina Commedia riveduta nel testo e commentata da G. A. Scartazzini. Milano, Ulrico Hoepli editore, (Firenze, tip. dell'Arte della stampa »), 1893, in 8o, di pagg. XVI, 945, CXXIV.

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Quando l'illustre dottore Scartazzini mandò fuori il suo bel Commento lipsiense della divina Commedia, oneste e liete furono le accoglienze che quel lavoro si ebbe tra noi: ricchezza grande e acconcia disposizione de' materiali, uso sicuro — segnatamente per le due ultime cantiche de' molti speciali lavori stampati in questi ultimi anni, erano troppo grandi e troppo palesi pregi, perchè alcuno li volesse o potesse negare. Non che tutto fosse buono; ma il domandare, in opere di così vasta mole, la perfezione, sarebbe stata davvero pretesa soverchia; soverchia anche perchè non erano ancora usciti i Prolegomeni, che dell'opera dovevano essere compimento e corona. E i Prolegomeni vennero; ma in verità più povera cosa un dantista di alto valore, come lo Scartazzini è certo, non avrebbe potuto fare. La critica nostra gli fu dunque severa: severissimi il Torraca, G. L. Passerini e Vittorio Rossi.

Ricompare egli ora tra noi con questa sua edizione minore della Commedia; pare aspetti sereno il giudizio d'Italia. Ottimo pensiero il suo di rivolgersi a un pubblico più largo che con l'altre sue opere non facesse, robile vita quella che è consacrata tutta al culto di Dante Alighieri! Già il Commento lipsiense in troppe parti - specie della prima cantica era invecchiato; ahimè, che in questi nostri studi, con questa ricerca affannosa del vero, un libro non è appena venuto alla luce, che già il pensiero scientifico l'ha sorpassato e tu senti il bisogno di correre a nove fonti, se vuoi spengere la sete che ti strugge.

Sfrondare dunque il soverchio, riassumere e rimaneggiare ogni parte, mettere a novo l'invecchiato, ecco ciò che volle fare lo Scartazzini: che in pareccchio, in molto anzi, ci sia riuscito è giustizia il riconoscerlo; che in tutto non lo potremmo asserire.

Del testo non vo' dir nulla perchè temerei troppo di cadere nel soggettivo. Come in coscenza affermare che questa piuttosto che quella è la lezione genuina, se l'edizione critica della Commedia non è, per ora, che un sogno?

Altri del resto ha osservato che di alcuni fra' più certi risultati cui il Moore è venuto, lo Scartazzini non ha fatto punto tesoro; forse a lui parve bastasse citare l'Inglese nella « Tavola delle abbreviature ». Si potrebbe anche notare che se i suoi criteri nella scelta della lezione peccano in qualche cosa, non è certo nel rigore scentifico: il verso 111 del canto XXVII del Purgatorio, per portare un esempio lo Scartazzini confessa che i più de' codici

lo leggono così:

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Quanto tornando albergan più lontani;

ma perchè la lezione sua contiene un concetto più famigliare a Dante, e' ti legge, senza scrupolo:

Quanto tornando albergan men lontani.

Ora, in una edizione che, se non vuol essere critica, pur pretende di essere condotta con severe norme scientifiche, possono i criteri subbiettivi dello studioso sovrapporsi all'autorità e alla testimonianza palese de' codici?

Migliore anche avrei voluta la punteggiatura; la punteggiatura ch'è tanta parte nell'armonia del verso e dove data la poca o nessuna autorità de' codici in siffatta questione il critico può mostrare e l'intelligenza e più anche il gusto suo estetico. Un solo esempio, che vale per mille:

al dolce nido

vengon per l'aere; dal voler portate
cotali.

e così, appioppando addosso a quel per l'aere un disgraziato punto e virgola, si strozza tutta intera una similitudine stupenda, non solo per l'affetto che l'avviva, ma per l'armonia anche che la colora tutta quanta. Non è a credere bensì che lo Scartazzini l'abbia fatto senza le sue brave ragioni, no; ma è che pur troppo la sottigliezza scolastica non di rado uccide in lui - e non in lui solo il sentimento del bello.

Ma venendo più particolarmente a discorrere del commento, piace la disposizione nitida del materiale, piace quel riassumere ad ogni rinnovare di senso o cambiamento o passaggio di concetto che sia, il contenuto de' versi che verranno: il farne una spiegazione 'generale, scioglierne l'allegorie, quando ci sieno, notare i testi medievali o gli altri luoghi del poema, che possono, per avventura, dilucidare le oscurità. Così chi legge supera più [facilmente gli ostacoli che gli si parano dinanzi e sente più viva l'emozione estetica, se è vero, come pare, che essa è tanto maggiore quanto minore è lo sforzo intellettuale che si mette nel comprendere.

Peccato che la parola del poeta non trovi sempre nel commentatore un interprete felice; peccato che il fatto o il personaggio storico non abbiano sempre, come pur vorrebbero, fedele, e più anche, adeguata spiegazione. Falsato a volte il significato di parole che l'indagine scentifica ha già precisato; dati per vivi vocaboli già morti da un pezzo nell'uso; se anche il volere, o dietro l'etimologia o dietro una falsa analogia, tirare una parola, una locuzione a esprimere cosa che in realtà non può significare, non spinga il commentatore a spiega zioni inaccettabili 1.

Migliore, per questa parte, è quasi sempre il Casini, che lo supera anche nell'abbondanza e giustezza delle notizie storiche. Il Casini, che ha dato tanta parte de' suoi studi al due e trecento, che ha collazionato tanti codici, pubblicato tanti versi di poeti antichi, gli è naturale mostri maggior confidenza colla materia, si sappia sbrigar meglio, ogni volta l'officio suo lo porti a trattare una questione di letteratura o di storia. Basti, per portare qualche esempio, - chè lo spazio mi vieta di far una critica analitica come pure avrei voluto - confrontare ne' due commentatori il canto inspirato dal dolce stil novo, (Purgatorio, XXIV) o quello ove il poeta riconosce il padre suo e degli altri a lui migliori

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Basti l'episodio di Brunetto, nello Scartazzini povera e, per una brutta ipotesi sua, vorrei quasi dire immorale cosa.

Di molti recenti e speciali lavori insomma l'egregio dantista non si è potuto valere: e chi del resto, in così operoso risveglio de' nostri studi, potrebbe, con certezza, asserire che nulla gli sfugge, che tutto egli vede e di tutto tien conto?

Difettoso nella parte letteraria e nella storica, il Commento invece pare a me assai buono e utile in quello che concerne il simbolismo e il pensiero filosofico e teologico. Spiace, è vero, il vedere mandata a una futura Dantologia la trattazione di parecchie questioni che in forma sobria si sarebbero dovute trattare nel commento stesso; ma sol per questo togliergli la lode meritata sarebbe ingiustizia.

Assai buona, per esempio, è, a mio vedere, l'esposizione di tutto il paradiso terrestre (Purgatorio, canti XXVII e XXXIII); e se il simbolismo dantesco non è forse mai, nè qui nè altrove, arte vera e feconda, come non è, del resto, nè in Lucrezio, nè in Göthe, nè in Schelley, perchè si stacca dall' esperienza psicologica della vita, pure si deve conoscere, da chi voglia ammirare in tutta la vastità sua l'arte sovrana del poeta divino.

Degno di lode dunque l'interprete, che, col cacciar lo viso a fondo, meglio ha saputo leggervi per entro. E lo sguardo a fondo lo Scartazzini l'ha ficcato anche in tutto il pensiero filosofico e teologico: le referenze molte, i passi riportati accomodati al proposito e bene dilucidanti quelle mille aggrovigliate e sottili questioni ove Dante profuse i tesori del suo genio per rivestire di forme poetiche una materia ribelle. Qui il commentatore si sente come dentro nel suo campo e lo passeggia da signore; par quasi che il pensiero sia tutto per lui, nulla la forma, cui poco bada, o che non abbia tempo, o non voglia, o non ne senta in sè l'efficacia.

Perchè io avrei voluto che anch' egli, come il Casini, all'estetica avesse fatto posto di molto più largo; citare qualche volta i Saggi del De Sanctis o le Osservazioni del Venturi non sembra che basti. Dio mi scampi e liberi dal « mira bellezza di frase, osserva efficacia di costrutto», onde i nostri buoni e vecchi padri infiorettavano i loro magri commentarioli; e mi scampi pure da quella che il Renier, con imagine felice, chiamò « la vuota volgarità della ciarla estetica de' facili dilettanti ». Ma spiegare perchè e come quel tale gruppo di fenomeni si converta in noi in quella determinata serie di emozioni estetiche, questo mi pare nobile e alto officio della critica moderna. Ora da una sobria critica estetica un compiuto commentatore di Dante pare a me non si possa esentare: commenti così l'episodio di Francesca, ad esempio, e poi se n'è persuaso scriva anche ch'esso è poco morale, se non immorale addirittura. Squisitezza armonica di verso, splendore d'imagini, compostezza di parti, gentilezza pietosa d'affetti, lacrime di donne innamorate rapite a così divina bellezza, persuaderanno il lettore che l'immoralità, in arte, è un controsenso, chè essa si purifica nell'emozione estetica che suscita, qualora sia arte veramente, cioè arrivi a suscitarla. Lo persuaderanno che l'arte dell' Alighieri ne' ritmi, ne' colori, ne' suoni riflette ogni aspetto del bello e scote internamente e intensamente i centri nervosi anche di noi uomini moderni, senza affaticarli quasi mai, senza consumarne l'attività.

E poichè sono a discorrere d'arte, non paia pedanteria se finisco col dire qualche cosa del modo onde il libro è scritto. Non mi piacciono i lecchezzi di lingua, le capestrerie fiorentine, le pretensiose e affettatuzze eleganzioncelle; ma tra queste e la trascuratezza dello Scartazzini sta pure in mezzo qualche cosa. Sta quell' eleganza severa, quella signorile disinvol tura, onde la scienza vuol sempre rivestirsi, segnatamente quando parla di Dante e si rivolge ai giovini d'Italia.

COSMO.

Giosuè Carducci. Studi letterari. (Vol. VIII delle Opere). Bologna, N. Zanichelli, 1893,

in 16o.

Di grande importanza per gli studi danteschi è questo recentissimo volume, nel quale, oltre ad altri due scritti, trovansi nuovamente editi due notevoli lavori del maggiore nostro poeta vivente e sommo critico intorno alle rime e alla varia fortuna di Dante.

Si tratta di discorsi pubblicati già la prima volta negli anni 1866 e "67, sparsamente nella Nuova Antologia, e più tardi in Studi letterari (Livorno, Vigo, 1874): ora, insieme raccolti in volume, meglio si leggono e si gustano, tantopiù che sobrie appendici, e note, rendono conto del cammino fatto dalla critica letteraria da quegli anni ad oggi. L'illustre autore avverte le molte nuove pubblicazioni venute in luce sull'argomento, e non nasconde di avere qua e là mutato opinione, o di essere oggi in caso di dire diversamen'e o di aggiungere dell'altro: a me pare onesto rilevare che al progresso di questi studi, fatta la debita larga parte ai dotti stranieri, in ispecie tedeschi, e ai letterati italiani, hanno pure in non scarsa misura contribuito il Carducci stesso e molti valenti ed operosi fra i suoi scolari e seguaci. Procedendo ora ad un cenno brevissimo

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poichè si parla di lavori notissimi a tutti i cultori di Dante dirò che nel primo studio il Carducci esamina da pari suo le condizioni della lirica prima dell' Allighieri, soffermandosi sulle rime de' provenzali, sulle canzoni di gesta, sui romanzi francesi, sulle scuole poetiche italiane, sui precursori e contemporanei di Dante. Passa quindi a dilucidare il formarsi, lo svolgersi, il progredire o retrocedere, il perfezionarsi o decadere della lirica dantesca, entrando a discuterne il contenuto e i metri, a difenderne o a combatterne l'autenticità, a spiegarne i vari periodi, e i successivi ideali e sentimenti che l'informarono, in modo da darci, anche come lirico, un Dante vero e genuino, nella propria luce dell'età sua.

Tre sono gli studi intorno alla varia fortuna di Dante, i quali, preceduti da una intro. duzione sulla bibliografia dantesca, si dipartono dalla morte del poeta, e giungono alla metà del XIV secolo. Il Carducci, dimostrata la popolarità di Dante ancora in vita, e rammentato il grande rimpianto che lo seguì nella tomba, si trattiene intorno agli amici di lui, agli am. miratori, ai maledici e persecutori; passa poi a discorrere degli editori e de' primi commen. tatori della divina Commedia, cominciando dai figli Piero e Jacopo Allighieri - parte questa che è stata maggiormente rinnovata dai più recenti studi; e chiude, infine, con i poeti ammiratori e imitatori di Dante, diffondendosi sopratutto intorno a Petrarca e Boccaccio.

Qua e là, come per incidente, addita il Carducci nuove indagini da farsi, e le promuove: egli stesso lascia sperare di voler condurre a termine l'esame della varia fortuna di Dante, spingendone la narrazione fino al secolo XIX e agli studi contemporanei; ciò che non mancherà di essere accolto da tutti col più grande e vivo compiacimento.

GIACOMO GORRINI.

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G. Cesare Carraresi. — Le origini di Montevarchi e della sua chiesa maggiore studiate sopra alcuni autentici documenti dei secoli XIII e XIV. San Giovanni Valdarno, tip. di M. Righi e c., 1892, in 8°, di pagg. 47.

Con una dotta monografia, arricchita di documenti autentici de' secoli XIII e XIV, il dotto autore illustra, fra altro, la parte avuta nella fondazione e ampliamento della città di Monte

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