Slike stranica
PDF
ePub

qualche valido paladino, il quale ribatta gli argomenti che c'inducono a negare l'identità, affinchè la questione sia definitivamente decisa in questo o nell' altro senso.

Nelle diverse sue opere Dante chiama Beatrice la donna da lui amata. Questo nome potrebbe essere il di lei nome proprio, ricevuto nel battesimo: potrebbe anche essere il nomignolo della donna amata, sinonimo di datrice della beatitudine. Tale questione non si può decidere a priori. Tutt' altro! « Se davvero Beatrice fosse il nome di battesimo della donna di Dante, ciò costituirebbe una eccezione non la regola nella storia letteraria. E non solamente fra' poeti dello stil nuovo - quantunque sia pur degno di massima considerazione il ravvicinamento che lo stesso poeta fa della sua Beatrice alla Primavera o Giovanna di Guido, e quello che si potrebbe fare di codeste due alla Selvaggia di Cino ; ma fra' poeti d'ogni tempo, da Orazio (Lalage, Lidia ecc.) al Petrarca (Lauro, Laurea, Laura), a Fazio degli Uberti (Angiola), a Giusto de' Conti (Fenice o Colomba), al Boccaccio medesimo (Fiammetta), giù giù fino alle Amarilli e alle Nici dell' Arcadia, alla Nerina ed all' Aspasia del Leopardi, alla Lidia del Carducci >> (Scherillo, I. c. p. 66 e seg.). L'argomento è tanto più grave, in quanto eziandio altri poeti, Cino da Pistoja, il Petrarca, Giusto de' Conti, ecc., adoperarono beatrice come nome comune. Ma, come in tante altre cose, Dante potrebbe essersi scostato anche in questo riguardo dall'usanza comune dei poeti e costituire veramente una eccezione nella storia letteraria. Potrebbe! Ma se n'è egli veramente scostato?

Dante incomincia la storia de' suoi amori giovanili colle parole (V. N. § 2): « Nove fiate già, appresso al mio nascimento, era tornato lo cielo della luce quasi ad un medesimo punto, quanto alla sua propria girazione, quando alli miei occhi apparve prima la gloriosa donna della mia mente, la quale fu chiamata da molti Beatrice, i quali non sapeano che si chiamare ». Tutti sanno che queste parole sono una croce degl'interpreti e furono e sono intese assai diversamente dai diversi dantisti, alcuni dei quali ne traggono indizj contro la reale esistenza della Beatrice di Dante. Non può essere di questo luogo l'esporre ed esaminare le diverse interpretazioni che del controversissimo passo furono date sin qui. Ma non potrebbero le controversie e diversità d'interpretazione avere loro sorgente in una falsa premessa? Supponiamo che Beatrice non fosse il nome di battesimo della fanciulla, ed il passo non dà più luogo a veruna controversia, il senso essendone evidente. In questo caso Dante, il quale non vuol rivelare il vero

nome della donna amata (e di ciò dovremo riparlare a momenti) direbbe semplicemente, che alcuni, e non erano pochi (molti), i quali non sapevano come la si chiamasse col suo nome di battesimo, derivandone il nome dall' impressione che la sua vista su loro faceva, la chiamavano Beatrice, cioè colei che beatifica chi la vede. Certo, le controversie non sarebbero mai nate, se i commentatori non avessero premesso come assioma indiscutibile, che Beatrice fu il vero e proprio nome della donna, per amor della quale Dante uscio della volgare schiera.

L'interpretazione oggidì più in voga del passo in questione è quella escogitata dal prof. Edoardo Boehmer: « molti la chiamavano Beatrice, i quali non sapevano quanto tal nome le convenisse, le fosse appropriato », ignoravano cioè, come si esprime il prof. Del Lungo (Beatrice nella vita e nella poesia del sec. XIII, p. 23), quanto ella abbia in sè di beatitudine, a quale e quanta ella sia riserbata. Ma dunque tutti quanti gli altri, eccettuati quei molti, non lo ignoravano? Tutti quanti gli altri, che la chiamavano Beatrice dal suo nome di battesimo, sapevano dunque quanto ella aveva in sè di beatitudine, sapevano a quanta e quale beatitudine ella era riserbata? Dubitiamo assai che Dante abbia voluto dire questo. Altri intendono col Giuliani: «Per semplice e naturale effetto che in loro al vederla si destava, la chiamavano Beatrice, indovinandone così il vero nome, come questo le convenisse propriamente ». Si stenta a credere che molti, ignorando il vero di lei nome, lo indovinassero dalla impressione che dalla sua vista ne ricevevano. Pare che, qualunque quella impressione si fosse, i molti non sarebbero andati d'accordo nel nome che le davano. Chi l'avrebbe chiamata Angiola, chi Beatrice, chi Stella, chi Splendore di viva luce eterna, chi Loda di Dio vera e chi diversamente. Ma non dilunghiamoci troppo intorno ad un passo tanto discusso. Nessuna delle tante interpretazioni date di esso sulla premessa che Beatrice fosse il vero nome della fanciulla si può accettare: onde è giocoforza concludere, che la premessa è falsa.

Questa conclusione è confermata da un fatto che per sè solo a noi sembra decisivo. Racconta Dante quanto gli stava a cuore e quanta premura egli si diede che nessuno venisse a sapere chi fosse il vero oggetto de' suoi amori. Egli voleva del tutto celarlo ad altrui, onde, domandatone, sorride e non risponde (V. N. §. 4). Accortosi che alcuni si ingannano in proposito, si conforta molto, assicurandosi che il suo secreto non è comunicato << ed imman tanente pensai di fare di questa gentile donna ischermo della veritade; e tanto ne mostrai in poco di tempo, che il mio segreto

D

fu creduto sapere dalle più persone che di me ragionavano. Con questa donna mi celai alquanti anni e mesi; per più fare credente altrui, feci per lei certe cosette per rima (V. N. §. 5). E quando a questa donna, primo schermo della veritade, conviene partire della città « pensando che, se della sua partita jo.non parpartitajo.non lassi alquanto dolorosamente, le persone sarebbero accorse più tosto del mio nascondere, proposi adunque di farne alcuna lamen tanza in un Sonetto >> (V. N. §. 7). Quindi si cerca una seconda donna dello schermo, e, trovatala, « la feci mia difesa tanto, che troppa gente ne ragionava oltra li termini della cortesia » (V. N. §. 10).

L'aumentare citazioni sarebbe fatica gettata. È un fatto indiscutibile, che Dante si dette la massima premura di tener celato, non la sua passione amorosa, chè ciò non gli era possibile, ma l'oggetto di essa, il vero nome della persona amata. È un fatto indiscutibile, che le sue relative premure gli riuscirono al di là del proprio suo desiderio, onde egli divenne l'oggetto degli oziosi pettegolezzi a segno da sentirsene offesa persino la donna amata.

E quello stesso uomo che si dà tanta premura di occultare il vero nome della sua amante, che ha tanta paura che non s'indovini, quello stesso uomo avrebbe nel medesimo tempo rivelato, senza complimenti, quel nome, lo avrebbe pubblicato allegramente ai quattro venti? Diciamo contemporaneamente, chè non fu soltanto dopo la di lei morte che Dante venne fuori col nome di Beatrice, anzi lo fece già lei vivente ancora. Il nome è lì nel Sonetto del S. 24 della Vita Nuova, dettato e senza dubbio eziandio pubblicato mentre Beatrice era tuttora vivente. Il nome è lì nel Sonetto Guido, vorrei che tu e Lapo ed io, il quale, se è veramente di Dante, risale pure ad un tempo anteriore alla morte di Beatrice. Quel nome, divulgato in componimenti poetici durante la vita di Beatrice, è a parer nostro prova provata, che non era il vero nome della donna di Dante, il quale gli stava tanto a cuore di tener celato.

Dopo la morte della sua donna il poeta la chiama costantemente Beatrice, non solo nei componimenti poetici, ma anche nella prosa della Vita Nuova e del Convivio. In quanto al Convivio si potrebbe dire che quando Dante lo dettava gli era indifferente se il suo mistero fosse o non fosse svelato, nè all'osservazione si potrebbero opporre argomenti da non ammettere replica. Ma in quanto alla Vita Nuova, dettata, al dire del Boccaccio, « duranti ancora le lagrime della morte della sua Beatrice », in ogni caso a Firenze prima del 1300, il fatto è ben diverso. Non è in verun

YHA

modo ammissibile che il Poeta, dopo essersi dato tanto da fare colle due donne dello schermo, tanta premura per impedire che il suo mistero non si rivelasse, continuasse poi rivelandolo egli stesso subito che la sua donna ebbe chiusi gli occhi. Quindi ci vediamo di necessita spinti alla conclusione, che la donna amata da Dante poteva avere nel secolo qualsiasi altro nome di battesimo, escluso rome di Beatrice.

Procediamo oltre. Dopo aver mostrato che Beatrice non fu il nome di battesimo della donna di Dante, ma un nomignolo dal Pocta datole, intendiamo di mostrare che la Beatrice di Dante non fu figlia di Folco Portinari, non potendo essere stata sua vicina, non potendo essere morta già circa sei mesi dopo morto il di lei padre e non potendo essere stata una donna maritata.

La famiglia dei Portinari fu una di quelle che da Fiesole discesero a Firenze (cfr. Lord Vernon, Inferno, II, 555), il qual fatto non poteva certo essere ignoto a Dante. Eppure con profondo ed amaro disprezzo egli inveisce contro quell' ingrato popolo maligno, Che discese da Fiesole ab antico, E tiene ancor del monte e del macigno, chiamandolo una brigata di bestie Fiesolane, le quali dovrebbero fare strame di lor medesime e non accostarsi a que' che discesero dai Romani, fondatori di Firenze (Inf., XV, 61-78). La cosa sarebbe terribilmente enorme, se la Beatrice di Dante fosse stata una Portinari. Dante avrebbe, in tal caso, impreso un gran poema per esaltare la sua Beatrice, per dire di lei quello che mai non fu detto d' alcuna donna, e nello stesso poema avrebbela messa tra le bestie Fiesolane, popolo ingrato e maligno, che tiene ancor del monte e del macigno! Ma chi mai può capacitarsi che il Poeta della rettitudine agisse in tal modo? No, se la sua donna fosse stata oriunda di casa i Portinari è fuor di dubbio che quella sfuriata contro le bestie Fiesolane non si leggerebbe nel Poema sacro. L'amore per la sua Beatrice, il rispetto, avrebbero assolutamente impedito al Poeta di schernire si sanguinosamente coloro, dai quali ella discendeva, ad onta di tutti i possibili odi e di tutte le possibili rabbie di parte. Quei versi tremendi provano che la donna di Dante non apparteneva per niente alle bestie Fiesolane, non era oriunda da famiglia discesa da Fiesole ab antico, non era quindi nè la figlia nè una consanguinea di Folco di Ricovero

Portinari.

Se poi veramente, come credono i più dei commentatori antichi e moderni, il Poeta allude a sè stesso là dove parla della pianta in cui rivive la sementa santa dei Romani fondatori di Fi

renze (Inf., XV, 73 e segg.), la cosa diventa ancora più stravagante. Dante avrebbe amato perdutamente la figlia di una di quelle bestie Fiesolane e poi avrebbe lanciato contro tutte quelle bestic Fiesolane la parola di superbo dileggio: « Voi altri fate strame di voi medesimi; inquanto a me non mi toccate, chè io non sono della vostra razza ! » Ma buon uomo », gli si avrebbe potuto rispondere, «<tu somigli un po' troppo alla volpe che, non potendo con tutti i suoi sforzi attingere l'uva, se ne andò via dicendo: Nondum matura est; nolo acerbam sumere. Quando tu corteggiavi la bella figlia di Folco Portinari saresti stato ben lieto se le bestie Fiesolane avessero voluto toccare una pianta tua pari » . Veramente questo linguaggio sarebbe ridicolo in bocca dell'amante di una figlia di gente discesa da Fiesole ab antico, onde non possiamo non concludere, che tale non era la donna di Dante: dunque non figlia di Folco Portinari.

La gloriosa donna della sua mente apparve al Poeta la prima volta quando egli si trovava nell'età di nove anni (V. N. §. 2) ed essendo già diciottenne ne udì la prima volta la voce (V. N. S. 3), benchè durante quell'intervallo di nove anni egli cercasse molte volte di vederla e ne ammirasse le bellezze (V. N. §. 2). Ciò esclude assolutamente la possibilità di ammettere che Dante amasse una sua vicina. Due fanciulli che dimorano un cinquanta passi distanti l'uno dall' altro (chè tale era la distanza delle case degli Alighieri da quelle dei Portinari), non si vedono la prima volta a nove anni. Lo stesso Boccaccio si accorse della grave difficoltà e provò di scioglierla coll' osservazione che Beatrice apparve a Dante, « non credo primamente, ma prima possente ad innamorare ». Ma, per tacere che una fanciulletta di otto anni è appena già possente ad innamorare, il credere e non credere del Certaldese non regge di fronte alla solenne affermazione di Dante, che quella fu veramente la prima volta che Beatrice gli venne dinanzi. L'idillio Boccaccesco del calendimaggio poi è dimostrato semplice invenzione dall'altra solenne affermazione di Dante, che solamente ai diciotto anni sentì la prima volta la voce di Beatrice. Dalle due affermazioni risulta che la donna di Dante non aveva sua dimora in prossima vicinanza, ma in tutt' altro sito della città (ciò che si ha pure dalla frase: « nella mia puerizia molte fiate l'andai cercando » V. N. §. 2); che Dante la vide per la prima volta a caso, non sappiamo dove, senza parlarle ed udirne la voce, da lui primamente udita a diciotto anni, benchè nel corso di quei nove anni egli la rivedesse, chi sa dove, molte fiate. Non era quindi sua vicina, dunque non la Portinari.

« PrethodnaNastavi »